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Salutequità chiede di aggiornare il Piano Nazionale Cronicità

Covid: i pazienti in trattamento per un tumore sono più esposti al rischio di credere a fake news presenti soprattutto nei social.

A 6 anni dall’approvazione, Salutequità lancia un appello per aggiornare il Piano Nazionale Cronicità, rivedere i PDTA e agire sul fattore umano

Sono passati 6 anni dall’approvazione dell’Accordo Stato-Regioni sul Piano nazionale Cronicità (PNC).

Una priorità di sanità pubblica, visto che le malattie croniche in Europa si stima siano responsabili dell’86% di tutti i decessi e di una spesa sanitaria annua di circa 700 miliardi , ambito nel quale la sanità digitale, sulla quale il PNRR investe importanti risorse, dovrebbe dare un significativo apporto per migliorare le risposte da parte del nostro SSN, considerando anche che in Italia, secondo l’Istat, i cronici sono almeno 22 milioni.

“Eppure – sottolinea Tonino Aceti, Presidente di Salutequità, Associazione per la valutazione della qualità delle politiche per la Salute –  guardando ai programmi elettorali in vista delle prossime elezioni politiche, stupisce come l’attenzione alla presa in carico delle cronicità sia purtroppo ancora troppo residuale. Per questo chiediamo al nuovo Parlamento e al prossimo Governo di rilanciare la strategia del Piano Nazionale della Cronicità attraverso un suo finanziamento specifico nella prossima Legge di Bilancio, un suo aggiornamento che tenga conto delle innovazioni intervenute durante la pandemia e della traiettoria tracciata dal PNRR, nonché mettendo in campo un’attenta e rigorosa attività di monitoraggio nei confronti delle Regioni per la sua attuazione in tutto il paese. Se infatti è il PNRR a creare le infrastrutture per l’assistenza territoriale i cui standard sono definiti dal Decreto Ministeriale 77/2022, è altrettanto vero che è il PNC a definire i processi assistenziali per la presa in carico dei malati cronici e per questo il suo rilancio è irrinunciabile – aggiunge Aceti -. La sanità digitale, sulla quale il PNRR investe importanti risorse, dovrebbe dare un significativo apporto per migliorare le risposte da parte del nostro SSN alle persone con cronicità, ma ancora diversi i coni d’ombra”.

Ecco le principali evidenze messe in luce dall’analisi “Sanità digitale e cronicità” di Salutequità.

La digitalizzazione del SSN è uno degli obiettivi strategici del PNRR, dei suoi investimenti (es. 1 miliardo per la piattaforma di telemedicina, 18 milioni per la formazione manageriale digitale) ed è uno degli strumenti per attuare il Piano Nazionale Cronicità (PNC), in questi anni rimasto troppo spesso fermo al palo, tranne in alcune realtà regionali. Il quadro attuale della sanità digitale così come descritto dal Piano Nazionale Cronicità è rappresentato da luci e ombre che Salutequità ha messo in fila nella sua analisi (la prima di 4 dedicate alla cronicità).

Sono 369 esperienze e 669 i servizi di telemedicina nel 2021; l’incremento medio annuo di investimenti per ICT in sanità registrato da AGID è del 13,8% dal 2019 ad oggi.

L’ 80% delle regioni ha meno del 50% dei documenti indicizzati nel Fascicolo Sanitario Elettronico. Nel secondo trimestre del 2022 solo in Sicilia (19%), Umbria (27%) e Valle d’Aosta (57%) ci sono medici che alimentano il FSE con il profilo sintetico del paziente. Il 73% di pazienti cronici/oncologici conosce il FSE; solo il 37% lo utilizza.

Sul fronte formativo sono 308 gli eventi ECM organizzati sulla sanità digitale nel 2021; nei primi sei mesi del 2022 ne sono già stati promossi 156. Lazio, Lombardia, Sicilia, Toscana e Trentino-Alto Adige erogano corsi di telemedicina almeno una volta all’anno.

Sono più di 350.000 le app per la salute nei principali app store del mondo e 259 tra terapie e cure digitali, ancora non autorizzate in Italia (dati IQVIA).

L’indice DESI (Indice Digitalizzazione dell’Economia e della Società) ci pone molto al di sotto della media europea per il fattore umano (siamo terzultimi nella “classifica europea” e facciamo meglio solo rispetto a Romania e Bulgaria). Dati Istat mostrano che le persone con età 65-74 anni che usano almeno una volta a settimana internet sono poco meno del 50%, ma lo svantaggio femminile è di circa 10 punti percentuali dai 65 anni in su (il digital divide è anche una questione di genere!). E 1 milione di anziani over 75 vive solo oppure con altri familiari anziani senza supporto o con un livello di aiuto insufficiente.

Il risultato è la preoccupazione che la digitalizzazione possa aumentare le disuguaglianze nell’accesso ai servizi sanitari: il timore riguarda il 46,1% dei cittadini (dati LSCube-Quorum/YouTrend).

Il Piemonte è la prima Regione che ha aggiornato la programmazione per attuare il Piano Nazionale Cronicità, inserendo indicatori concreti per applicare e misurare la telemedicina nella presa in carico delle persone con cronicità.

Sono questi alcuni elementi che caratterizzano il contesto attuale emerso dalla prima analisi dell’”Osservatorio permanente assistenza pazienti Non-Covid. Focus su cronicità” di Salutequità realizzata grazie al contributo non condizionato di UCB, Bristol Myers Squibb, Gruppo Menarini, Sanofi e Beigene.

Salutequità ha messo a punto sei proposte:

PROPOSTE DI SALUTEQUITÀ PER SANITÀ DIGITALE E CRONICITÀ

1.     Aggiornare il Piano Nazionale Cronicità, viste anche tutte le novità intercorse rispetto alla sanità digitale, modificando gli obiettivi e le azioni prioritarie in esso previste, nonché l’elenco delle patologie della parte seconda (restano fuori patologie molto impattanti come sclerosi multipla, psoriasi, cefalea cronica, OSAS, poliposi nasale, asma anche nell’adulto, ecc.)

2.     Definire le tariffe specifiche per tutte le prestazioni di telemedicina; inserire la telemedicina ufficialmente nei LEA e misurarla nel Nuovo Sistema di Garanzia. Ciò permetterà di renderla strutturale, aggiornata e adeguatamente finanziata e sostenibile anche oltre il PNRR.

3.     Definire i criteri di valutazione e rimborsabilità delle digital therapies per renderle una vera risorsa e integrarle con il processo di digitalizzazione in atto.

4.     Misurare gli esiti della telemedicina anche con un aggiornamento del PNE, guardando a dimensioni come equità e qualità di vita di pazienti e caregiver (i PREMS e i PROMS devono diventare un valore assoluto per il SSN), impatto sul territorio, umanizzazione.

5.     Assicurare che gli investimenti del PNRR per la telemedicina non generino disparità tra pazienti affetti da diverse patologie (privilegiando solo alcune patologie a discapito delle altre) e che incentivino il co-design con professionisti sanitari e pazienti. Creare meccanismi incentivanti l’integrazione informativo/gestionale sociale e sanitaria, attualmente solo una possibilità.

6.     Rivedere da subito i PDTA indicando dove/per chi/quando/come sono consigliate le prestazioni di telemedicina e supportando i clinici nelle valutazioni sulle modalità erogative (tele o tradizionali), anche considerando aspetti importanti per la medicina di genere come mostrano le esperienze di alcune regioni (es. farmaci e gravidanza in ambito dermatologico e per patologie auto-immuni) e ambiti clinici complessi, come quello carcerario.

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