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Scoperto come gli esseri umani generano un campo di ossidazione

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Scienziati hanno scoperto che gli esseri umani generano un “campo di ossidazione”, cioè un gradiente di concentrazione di sostanze ossidanti distribuito nelle vicinanze

Il Cnr si ‘arricchisce’ di una nuova ricercatrice, Nora Zannoni, che arriva nella sede bolognese dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima dal Max Planck Institute dove ha svolto una importante ricerca sull’inquinamento indoor e il ruolo del radicale ossidrile, ‘spazzino’ di inquinanti dell’atmosfera, prodotto anche dal nostro corpo in ambienti confinati. Lo studio è pubblicato su Science. Negli ambienti chiusi, quali casa, ufficio o mezzi di trasporto, siamo esposti a una moltitudine di composti chimici, tra i quali inquinanti ambientali provenienti dall’esterno e i prodotti delle nostre stesse attività come la cucina o le pulizie domestiche. Un team internazionale di ricerca condotto dal Max Planck Institute per la chimica, a Mainz, in cooperazione con ricercatori degli Stati Uniti e della Danimarca, ha scoperto che in tali contesti confinati, l’interazione fra le persone e l’ozono riesce a generale il radicale ossidrile (OH), ovvero lo ‘spazzino’ di inquinanti e sostanze gassose in atmosfera, che normalmente è presente all’aperto. Come? Le persone sono in grado di generare uno specifico “campo di ossidazione”, cambiando i processi chimici nell’aria degli ambienti indoor. Lo studio induce anche a ripensare la chimica degli ambienti indoor, perché il campo di ossidazione che noi generiamo trasforma molte sostanze chimiche vicino a noi, le quali potrebbero avere effetti sulla nostra salute. Lo studio è pubblicato su Science.

“La scoperta che noi, esseri umani, generiamo un nostro “campo di ossidazione”, cioè un gradiente di concentrazione di sostanze ossidanti distribuito nelle nostre vicinanze, ha sorpreso anche noi”, racconta la Zannoni. “La forza e la forma di questo campo dipendono dalla concentrazione di ozono presente nell’ambiente e dalle caratteristiche della ventilazione dell’ambiente interno”. I livelli di concentrazione di OH misurati dagli scienziati sono addirittura comparabili alla concentrazione di OH in atmosfera esterna.

La sorpresa deriva dal fatto che tra le mura domestiche, ad esempio, contrariamente a ciò che avviene in atmosfera, la radiazione solare e la pioggia sono parzialmente schermati.  Le finestre funzionano da filtro per i raggi UV. “Si è sempre pensato che le concentrazioni di radicali OH siano inferiori negli ambienti confinati rispetto all’aperto, e che al contrario l’ozono, penetrando dall’esterno, risulti l’ossidante principale negli ambienti interni”, continua la ricercatrice.

Ciascuno di noi costituisce una sorgente emissiva di composti chimici (potente, mobile e variabile) sia attraverso il respiro che dalla pelle.  “Un ruolo fondamentale per la produzione di OH è giocato da olii e grassi sulla nostra pelle, in particolare dallo squalene, un triterpene insaturo che costituisce il 10% dei lipidi della pelle proteggendola, che reagisce con l’ozono nell’aria sviluppando radicali OH e quindi un campo di ossidazione” prosegue Nora Zannoni. “Questa reazione rilascia una serie di composti chimici in fase gassosa contenenti doppi legami, che sono in grado di reagire ancora con l’ozono nell’aria generando livelli sostanziali di radicali OH.  Tali prodotti di ossidazione dello squalene, sono stati identificati e quantificati individualmente utilizzando strumenti basati sulla spettrometria di massa con reazione a scambio protonico (PTR-MS) e accoppiati a gas cromatografia rapida (fast GC-MS). Oltre a queste osservazioni di composti organici volatili, la misura diretta della reattività totale del radicale OH, ha permesso di quantificare la concentrazione del radicale OH nell’aria”.

Lo studio aiuta anche a riflettere sull’ interazione tra tale processo chimico, i materiali presenti in ambienti confinati e la relazione sulla nostra salute. “Al momento, le emissioni di sostanze chimiche di materiali e arredi interni vengono testate in isolamento prima di essere approvate per la vendita. Sarebbe invece consigliato testare questi prodotti in presenza di persone e ozono”, spiega il chimico dell’atmosfera Jonathan Williams del Max Planck Institute, a Mainz. “Questo perché i processi di ossidazione possono portare alla formazione di sostanze irritanti se inalate, come 4-oxopentanal (4-OPA) e altri prodotti ossigenati generati dal radicale OH, così come particelle di piccole dimensioni generate nella vicinanza del tratto respiratorio. Queste sostanze possono avere effetti nocive soprattutto su soggetti fragili come i bambini o persone già affette da altre patologie”.

I risultati fanno parte del progetto ICHEAR (Indoor Chemical Human Emissions and Reactivity Project) che ha permesso la collaborazione fra gruppi di ricerca internazionali danesi (DTU), americani (Rutgers University), e tedeschi (MPI). La modellistica che ha contribuito allo studio è parte del progetto MOCCIE, fra le Università della California, Irvine e Pennsylvania State University. Entrambi i progetti sono stati finanziati dalla fondazione americana A. P. Sloan.

Nora Zannoni, Pascale S. J. Lakey, Youngbo Won, Manabu Shiraiwa, Donghyun Rim, Charles J. Weschler, Nijing Wang, Lisa Ernle, Mengze Li, Gabriel Bekö, Pawel Wargocki, Jonathan Williams, The human oxidation field, Science. 377, 1071–1077 (2022),

https://www.science.org/doi/10.1126/science.abn0340

https://www.mpg.de/19157061/0902-chem-oxidation-field-152990-x

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