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La neurostimolazione può ridurre gli attacchi di fame

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L’applicazione di un dispositivo di neurostimolazione nel cervello è in grado di ridurre gli attacchi di fame e far perdere peso alle persone affette da binge eating

L’applicazione di un dispositivo di neurostimolazione nel cervello è in grado di ridurre gli attacchi di fame e far perdere peso alle persone affette da disturbo da alimentazione incontrollata (il cosiddetto binge eating). È questo il risultato di un piccolo studio preliminare condotto da ricercatori della Stanford University e dell’University of Pennsylvania pubblicato su Nature Medicine. “Il binge eating è il disturbo alimentare più comune e colpisce fino al 3% degli adulti statunitensi”, scrivono i ricercatori. È caratterizzato da episodi in cui si assumono grandi quantità di cibo in un tempo relativamente breve con la sensazione di perdere il controllo su cosa e quanto si sta mangiando.

Nello studio, sostenuto dai National Institutes of Health (Nih), i ricercatori hanno verificato in due pazienti affetti dal disturbo da alimentazione incontrollata e da obesità se l’utilizzo di un sistema di neurostimolazione già impiegato per l’epilessia potesse contribuire a controllare gli attacchi di fame. Il sistema è attivato dall’attività elettrica del cervello nei momenti in cui scatta il desiderio impulsivo di cibo, il cosiddetto craving. In queste circostanze, stimola una regione cerebrale denominata nucleus accumbens interrompendo questo segnale.

I primi risultati sono stati positivi: dopo sei mesi dall’applicazione del dispositivo, i due volontari hanno riferito ridotto di circa l’80% gli episodi di abbuffate incontrollate e perso peso (rispettivamente circa 5 e 8 kg). “Questo è stato un primo studio di fattibilità in cui stavamo principalmente valutando la sicurezza, ma certamente i benefici clinici che questi pazienti ci hanno riferito sono davvero impressionanti ed entusiasmanti”, ha affermato in una nota il coordinatore dello studio Casey Halpern. I ricercatori stanno continuando a seguire i due pazienti e hanno iniziato l’arruolamento dei volontari per uno studio più ampio.

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