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Diabete: farmaco sperimentale ripristina cellule che producono insulina

Terapia del diabete di tipo 2 carboidrati

Una nuova opzione di trattamento per i diabetici che ogni giorno devono iniettarsi l’insulina grazie a un promettente farmaco sperimentale

La scoperta che i geni che regolano l’espressione dell’insulina potrebbero essere riattivati ​​utilizzando un farmaco studiato in precedenza per il trattamento di pazienti con linfomi e mieloma multiplo, suggerisce la possibilità di una nuova opzione di trattamento per i diabetici che ogni giorno devono iniettarsi l’insulina. I risultati di uno studio sono stati pubblicati sulla rivista Signal Transduction and Targeted Therapy.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità sono circa 422 milioni le persone affette da diabete in tutto il modo e si stima che la cifra raggiungerà i 700 milioni entro il 2045. Nel 2018 circa 1 persona su 10 negli Stati Uniti aveva il diabete, che rappresenta la settima causa di decesso.

Le cellule beta che producono insulina in genere costituiscono il 50-70% delle isole pancreatiche e, tanto nel diabete di tipo 1 quanto in quello di tipo 2, si riducono significativamente a causa di una reazione autoimmune.

Le persone affette da diabete di tipo 1 e alcune con il tipo 2 devono iniettarsi insulina ogni giorno per poter sopravvivere. L’alternativa è il trapianto di pancreas o di isole pancreatiche, che è limitato dalla carenza di donatori di organi e dagli effetti collaterali associati alla terapia immunosoppressiva necessaria per evitare il rigetto. Pertanto la ricerca sulla rigenerazione delle cellule beta che producono insulina potrebbe portare allo sviluppo di una nuova terapia per le persone che dipendono dall’insulina.

Ripristino della produzione di insulina
Il team di epigenetica umana della Monash University di Melbourne, in Australia, ha scoperto che il farmaco sperimentale GSK-126 può potenzialmente ripristinare le cellule beta che producono insulina nei pazienti con diabete di tipo 1, inibendo l’enzima pancreatico EZH2 (Enhancer of zeste homolog 2).

L’enzima EZH2 inibisce i geni responsabili dello sviluppo delle cellule beta insulari e i ricercatori hanno ipotizzato che il blocco dell’attività di EZH2 possa ripristinare la produzione di insulina.

Hanno esaminato l’effetto di GSK-126, un inibitore altamente selettivo di EZH2, su geni specifici correlati alla produzione di insulina utilizzando tessuti pancreatici umani ex vivo ricavati da tre donatori, due non diabetici e uno con diabete di tipo 1. Analizzando il pancreas del donatore diabetico hanno rilevato, come previsto, la distruzione completa delle cellule beta. In questo caso i geni che regolano lo sviluppo di queste cellule e la loro capacità di produrre insulina sono stati “silenziati”.

Hanno però scoperto che la stimolazione con GSK-126 potrebbe ripristinare i geni caratteristici responsabili dello sviluppo di cellule progenitrici del pancreas, simili alle cellule staminali, in cellule beta che producono insulina. Il farmaco ha anche ripristinato l’espressione del gene dell’insulina nelle cellule prelevate dal donatore con diabete di tipo 1, nonostante la distruzione completa delle cellule beta.

Lo studio è importante perché si tratta del primo esempio riportato di ripristino della trascrizione del gene dell’insulina e perché fornisce una forte evidenza per la rigenerazione delle cellule beta.

Un potenziale nuovo trattamento per il diabete
Il professor Sam El-Osta, a capo dell’Epigenetics in Human Health and Disease Laboratory presso la Monash University e autore principale dello studio, ha descritto questo metodo per ripristinare la produzione di insulina come rapido ed economico.

«I nostri studi preliminari mostrano un’espressione vitale di insulina già dopo 2 giorni di trattamento rispetto ai 3-4 mesi richiesti da approcci alternativi che utilizzano cellule staminali embrionali umane» ha osservato. «Evitando l’uso di cellule staminali embrionali è stato inoltre possibile evitare le preoccupazioni etiche normalmente associate a queste tecniche. Un altro vantaggio di questo potenziale trattamento del diabete è che è meno vulnerabile ai rischi associati al trapianto di pancreas o delle di isole».

Limiti dello studio e prospettive future
Commentando i limiti del loro studio, gli autori hanno fatto presente di aver utilizzato le cellule di un singolo donatore con diabete di tipo 1 e quindi sono necessari ulteriori studi per determinare se questo approccio può avere successo in una popolazione più ampia con diabete di tipo 1.

Anche gli attacchi autoimmuni alle cellule beta che producono insulina rappresentano un altro ostacolo allo sviluppo di una nuova terapia, secondo il parere di Matthias von Herrath, professore e fondatore del Type 1 Diabetes Center presso il La Jolla Institute for Immunology negli Stati Uniti.

«Nel diabete di tipo 1, e in alcuni casi di diabete di tipo 2, c’è una forte reattività autoimmune diretta contro le isole pancreatiche e le cellule beta che producono insulina, che non potrà essere evitata anche aumentando la produzione dell’ormone» ha affermato. «Pertanto, anche se si tratta di un progresso interessante, dovremmo comunque affrontare il problema della reazione autoimmune, possibilmente senza ricorrere all’immunosoppressione sistemica dei pazienti, che non è un’impresa facile».

Riguardo alle possibili tempistiche di disponibilità del nuovo trattamento, «con grande attenzione, finanziamenti e fortuna, un trattamento farmacologico umano basato su qualsiasi dimostrazione precoce di beneficio come in questo caso richiede generalmente 7-10 anni» ha commentato John Buse, direttore del Diabetes Center presso l’Università della Carolina del Nord. «E in questo caso, il percorso verso lo sviluppo del trattamento è complicato dalla necessità di estrarre le cellule dall’organismo, gestirle in laboratorio per poi reimmetterle nel paziente».

Bibliografia

Al-Hasani K et al. Inhibition of pancreatic EZH2 restores progenitor insulin in T1D donor. Sig Transduct Target Ther 7, 248 (2022).

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