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Colangiocarcinoma: nuovi dati sui benefici di pemigatinib

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Colangiocarcinoma localmente avanzato o metastatico con alterazioni del gene FGFR2: pemigatinib conferma i suoi benefici su risposta e sopravvivenza

Nei pazienti che hanno un colangiocarcinoma localmente avanzato o metastatico e presentano alterazioni del gene FGFR2, il trattamento con un farmaco orale, l’inibitore di FGFR pemigatinib, conferma di offrire un beneficio rilevante. La conferma arriva dai risultati dell’analisi finale dello studio registrativo di fase 2 FIGHT-202, appena presentata al congresso ESMO-GI, nella quale il farmaco ha dimostrato di produrre alti tassi di risposta, con risposte durature e una sopravvivenza globale (OS) prolungata, a fronte di un profilo di sicurezza gestibile, in pazienti con colangiocarcinoma localmente avanzato/metastatico portatori di alterazioni (fusioni o riarrangiamenti) di FGFR2, già sottoposti a trattamenti precedenti.

Infatti, il tasso di risposta obiettiva (ORR) è risultato quasi del 40%, con una mediana della durata della risposta superiore a 9 mesi. Inoltre, l’OS mediana è risultata di quasi un anno e mezzo.

«I risultati aggiornati dello studio FIGHT-202 presentati all’ESMO-GI confermano i dati già pubblicati in precedenza riguardo all’efficacia e alla tollerabilità di pemigatinib … nei pazienti con colangiocarcinoma avanzato precedentemente trattati con almeno una linea di terapia, e con traslocazioni di FGFR2. Questi dati sono estremamente importanti, perché hanno un lungo follow-up; sono, quindi, dati maturi e pemigatinib è un farmaco oggi disponibile in Italia», afferma Lorenza Rimassa, Professore associato di Oncologia Medica, presso l’Humanitas University e l’IRCCS Humanitas Research Hospital di Rozzano (Mi). Inoltre, «i dati confermano che anche nel colangiocarcinoma si sta andando verso la medicina di precisione, rispetto a un trattamento ad ampio spettro per tutti i pazienti come la chemioterapia; quindi, dati estremamente importanti e che supportano un cambio di paradigma nel trattamento dei pazienti con colangiocarcinoma».

Pemigatinib già disponibile in Italia
Il colangiocarcinoma è un tumore epiteliale aggressivo del dotto biliare caratterizzato da una prognosi sfavorevole e un’elevata eterogeneità genomica. Infatti, il 40-50% dei colangiocarcinomi presenta almeno un’alterazione genetica che può costituire un bersaglio terapeutico. Fra i driver oncogenici identificati per questo tumore ci sono le alterazioni dei geni FGFR1, 2 e 3.

Pemigatinib è un inibitore orale, potente e selettivo dell’FGFR 1, 2 e 3m sviluppato per il trattamento di pazienti adulti con colangiocarcinoma non resecabile, localmente avanzato o metastatico, già trattato e portatore di una fusione di FGFR2 o un altro riarrangiamento.

Dal giugno scorso, il farmaco è disponibile in Italia e rimborsato dal Sistema sanitario nazionale per il trattamento di soggetti adulti affetti da colangiocarcinoma localmente avanzato o metastatico che presentano fusioni o riarrangiamenti di FGFR2, e che hanno manifestato una progressione della malattia dopo almeno una linea precedente di terapia sistemica.

L’approvazione delle autorità regolatorie si deve proprio ai risultati dello studio FIGHT-202, di cui all’ESMO-GI sono stati presentati, in una sessione orale, i risultati dell’analisi finale da Arndt Vogel, dell’Università di Hannover. I risultati dell’analisi primaria dello studio sono stati, invece, pubblicati nel 2020 su Lancet Oncology.

Lo studio FIGHT-202
FIGHT-202 (NCT02924376; EudraCT 2016-002422-36) è uno studio multicentrico internazionale a braccio singolo, in aperto, in ci si sono valutate sicurezza ed efficacia di pemigatinib in pazienti di almeno 18 anni, con colangiocarcinoma localmente avanzato/metastatico, non resecabile, in progressione dopo almeno una terapia precedente, e di cui si conosceva lo stato dei geni FGF ed FGFR. Inoltre, i pazienti dovevano avere un performance status ECOG non superiore a 2 e una funzionalità renale ed epatica adeguate.

I pazienti sono stati trattati con pemigatinib (dose di partenza 13,5 mg once daily) per 2 settimane, seguite da un settimana senza trattamento, fino alla progressione della malattia o al manifestarsi di una tossicità non accettabile.

Gli autori hanno diviso i partecipanti in tre coorti in base allo stato di FGF/FGFR: pazienti con fusioni o riarrangiamenti o fusioni di FGFR (coorte A), pazienti con alterazioni genetiche di FGF/FGFR (coorte B), pazienti senza alterazioni genetiche di FGF/FGFR (coorte C, solo negli Stati Uniti). All’ESMO-GI, tuttavia, sono stati presentati i risultati relativi alla coorte A, costituita da 108 pazienti.

L’endpoint primario era l’ORR nella coorte A, confermato da revisori indipendenti in modo centralizzato, mentre gli endpoint secondari comprendevano l’ORR nelle coorti A+B, B e C, la durata della risposta (DOR), il tasso di controllo della malattia, la sopravvivenza libera da progressione (PFS), la sopravvivenza globale (OS) e la sicurezza in tutte le coorti.

Le caratteristiche dei pazienti
L’età mediana dei partecipanti era di 55,5 anni e il 61% del campione era rappresentato da donne. «Erano pazienti mediamente più giovani rispetto ai tipici pazienti con colangiocarcinoma», ha osservato Rimassa.

Inoltre, il 95% aveva un performance status ECOG pari a 0 o 1, il 99% aveva un colangiocarcinoma intraepatico, l’82% aveva una malattia metastatica e il 40% era già stato sottoposto ad almeno due terapie sistemiche precedenti, e nello studio è stato quindi trattato con pemigatinib dalla terza linea in avanti.

Tasso di risposte elevato e risposte durature
Nella coorte A, con un follow-up mediano di 42,9 mesi, l’ORR è risultato del 37% (IC al 95% 28-47), con un 3% di risposte complete e un 34% di risposte parziali. Inoltre, il 45% dei pazienti ha mostrato una stabilizzazione della malattia, per cui il tasso di controllo della malattia è risultato dell’82%.

«Questo tasso di risposte e un tasso di controllo della malattia superiore all’80% sono dati estremamente positivi in una popolazione come quella dello studio, costituita da pazienti precedentemente trattati», ha sottolineato Rimassa.

Inoltre la DOR mediana è risultata di 9,1 mesi (IC al 95% 6,0-14,5).

Riguardo ai risultati di sopravvivenza, la PFS mediana è risultata di 7 mesi (IC al 95% 6,1-10,5) e l’OS mediana di 17,5 mesi (IC al 95% 14,4-22,9). «Anche i dati di sopravvivenza confermano sostanzialmente quelli già pubblicati», ha aggiunto l‘esperta.

Profilo di sicurezza confermato
Il profilo di sicurezza e tollerabilità, ha riferito Vogel durante la sua presentazione, è risultato coerente con quello riportato nell’analisi primaria e non sono emersi segnali nuovi.

Tutti i pazienti hanno manifestato almeno un evento avverso durante il trattamento, che nel 69% dei casi è stato di grado 3 o superiore.
Complessivamente, gli eventi avversi emersi più comuni durante il trattamento sono stati iperfosfatemia (56%, nessun caso di grado ≥ 3), alopecia (59%, nessun caso di grado ≥ 3) e diarrea (54%, nel 4% dei casi di grado ≥ 3).

«L’iperfosfatemia è un evento avverso tipico di questa classe di farmaci, gli anti-FGRF, non solo di pemigatinib. Poi ci sono altre tossicità, come quella cutanea o oculare. Tuttavia, non si è osservato alcun evento di grado 3 o superiore; si tratta quindi di tossicità maneggiabili e ben gestibili nella pratica clinica», ha rimarcato Rimassa.

L’importanza della profilazione molecolare
Nelle sue conclusioni, Vogel ha sottolineato che questi risultati evidenziano la necessità di sottoporre a una profilazione molecolare i pazienti con colangiocarcinoma.

«È estremamente importante avere una profilazione molecolare completa (di questi pazienti, ndr), perché ci consente di offrire loro farmaci nuovi, al di là della chemioterapia standard e che ancora si utilizza. La profilazione molecolare è cruciale per passare da una terapia ‘vecchio stile’, come la chemioterapia, a una medicina di precisione, finalmente, anche nel colangiocarcinoma», ha sottolineato Rimassa.

Ma a che punto siamo, in italia, con l’acceso a quest’indagine? »Nel nostro Paese, al di fuori dei trial clinici, la diffusione di questo test è ancora un po’ a macchia di leopardo, e c’è un ancora un dibattito in corso su come eseguirlo. Tuttavia, questa profilazione dovrà diventare di routine per tutti i pazienti con colangiocarcinoma, perché il nostro obiettivo, come clinici, è appunto di quello di arrivare una medicina di precisione anche in questa patologia», ha concluso Rimassa.

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