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Tumori solidi con fusioni del gene NRG1: seribantumab efficace

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In pazienti con tumori solidi che presentano fusioni del gene NRG1, il trattamento con seribantumab produce tassi di risposta globale incoraggianti

In pazienti con tumori solidi che presentano fusioni del gene NRG1, il trattamento con l’anticorpo monoclonale umano anti-HER3 seribantumab produce tassi di risposta globale (ORR) incoraggianti, con una tollerabilità accettabile. Sono i primi risultati dello studio di fase 2 CRESTONE, presentati al meeting annuale dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO).

In una coorte di 12 pazienti in cui è stata valutata l’efficacia, il trattamento con seribantumab ha prodotto un ORR del 33%, con un tasso di risposta completa del 17% e di risposta parziale del 17%. Inoltre, il 58% dei pazienti ha ottenuto una stabilizzazione della malattia e solo l’8% è andato incontro a progressione. In questa popolazione, il tasso di controllo della malattia (DCR) ottenuto con seribantumab è risultato del 92%.

In particolare, nel sottogruppo di pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule appartenenti alla stessa coorte (11 pazienti), l’ORR ottenuto con seribantumab è risultato del 36%, con un 18% di pazienti che ha raggiunto una risposta completa e il 18% una risposta parziale. Inoltre, il 55% dei pazienti ha ottenuto la stabilizzazione della malattia e nel 9% la malattia è progredita. In questo gruppo, il DCR è risultato del 91%.

«Questi risultati sono coerenti con i dati di precedenti studi in cui si è valutato seribantumab in una popolazione che non presentava fusioni del gene NRG1», ha dichiarato l’autore principale dello studio Daniel Carrizosa, dell’Atrium Health Levine Cancer Institute (North Carolina), durante la presentazione dei dati.

Le fusioni di NRG1
Le fusioni di NRG1 sono alterazioni rare che si osservano nello 0,2% di tutti i tumori solidi. Le proteine prodotte dalle fusioni di NRG1 con altri geni si legano al recettore HER3 e sono in grado di attivarlo. Purtroppo, i pazienti che hanno tumori che presentano queste alterazioni ottengono scarsi risultati con le attuali opzioni terapeutiche standard, come la chemioterapia e l’immunoterapia, e ad oggi non esistono terapie mirate (target) approvate per questa popolazione di pazienti.

In modelli preclinici, seribantumab ha mostrato di inibire la crescita tumorale e di indurre la regressione del tumore a concentrazioni che possono essere impiegate nell’uomo. Con lo studio CRESTONE, Carrizosa e i colleghi si proponevano di approfondire le conoscenze sulle proprietà antitumorali e la sicurezza di questo nuovo agente.

Lo studio CRESTONE
Lo studio CRESTONE (NCT04383210) è un trial multicentrico internazionale, in aperto, in cui si è valutato seribantumab in pazienti adulti con tumori solidi recidivati, localmente avanzati o metastatici che presentavano fusioni di NRG1 ed erano stati sottoposti in precedenza ad almeno una terapia sistemica.

Lo studio prevedeva tre coorti. Nella coorte 1, i pazienti non dovevano avere tumori con altre alterazioni oncogeniche e neppure aver ricevuto in precedenza una terapia mirata pan-ERBB, HER2 o HER3. Nella coorte esplorativa 2, i pazienti, senza altre alterazioni oncogeniche, dovevano avere una malattia recidivata/refrattaria a seguito del trattamento con una terapia target pan-ERBB, HER2 o HER3. Infine, nella coorte esplorativa 3 sono stati arruolati pazienti portatori di una fusione del gene NRG1 privo del dominio di segnale EGF-like o una fusione di NRG1 con altre alterazioni molecolari oppure per i quali non era disponibile tessuto sufficiente per eseguire un test di conferma delle fusioni di NRG1.

I pazienti arruolati in tutte e tre le coorti dello studio sono stati trattati con seribantumab per via endovenosa alla dose settimanale di 3 g.

L’endpoint primario per i pazienti della coorte 1 era l’ORR valutato mediante revisione radiologica centralizzata indipendente sulla base dei criteri RECIST v1.1. Gli endpoint secondari includevano la sicurezza, l’ORR valutato dagli sperimentatori, la durata della risposta (DOR), la sopravvivenza libera da progressione (PFS), la sopravvivenza globale (OS) e il tasso di beneficio clinico (CBR).

I pazienti della coorte 1 (15) sono stati inclusi nella popolazione in cui è stata effettuata l’analisi primaria dell’efficacia, mentre la sicurezza è stata valutata nei pazienti di tutte e tre le coorti.

Le caratteristiche dei pazienti
Nella coorte 1, l’età mediana era pari a 61 anni (range: 44-76), il 67% dei pazienti era di sesso femminile e il 67% di razza bianca. I pazienti avevano un ECOG performance status di 0 o 1 (rispettivamente, il 33% e il 67%). In particolare, 14 avevano un tumore polmonare non a piccole cellule, mentre un paziente aveva un tumore pancreatico.

I partner di fusione di NRG1 rilevati nella coorte erano rappresentati dai geni ATP1B1 (7%), CD74 (40%), SDC4 (13%), SLC3A2 (33%) e altri partner (1%).

I pazienti erano stati trattati in precedenza con un numero mediano di terapie sistemiche pari a uno (range: 1-5) e il 93% dei partecipanti era portatore di una fusione di NRG1 confermata. Solo per un paziente lo stato di fusione di NRG1 non era noto.

Altri risultati
Carrizosa ha riferito che il 92% dei pazienti portatori di fusioni di NRG1 ha ottenuto una riduzione del tumore rispetto al basale secondo i criteri RECIST v1.1. La DOR mediana non è stata ancora raggiunta (range: 1,4-11,5). Inoltre, il 75% delle risposte si è osservato già al momento della prima valutazione del tumore, effettuata a 6 settimane (± 2 settimane). In particolare, l’autore ha sottolineato che il 75% dei pazienti che ha risposto e il 53% del totale dei pazienti erano ancora in trattamento al momento del cut-off dei dati.

L’ORR confermato nei pazienti con fusioni di NRG1, a prescindere dal gene partner della fusione, nella popolazione complessiva è stato del 33% (quattro pazienti su 12). Nei pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule, l’ORR valutato dello sperimentatore è risultato del 36% (quattro pazienti su 11).

Due casi clinici
Durante la presentazione, Carrizosa si è soffermato anche sui casi di due pazienti trattati con seribantumab. Il primo caso si riferisce ad un uomo di 70 anni, affetto da adenocarcinoma, che era stato trattato in precedenza con tre linee di terapia, incluse una chemioterapia a base di platino, un’immunoterapia e un trattamento sperimentale con un immunoterapico più un farmaco mirato.

Alla settimana 12 di trattamento, il paziente ha mostrato una riduzione del tumore del 35%, che poi è aumentata fino al 42%. La DOR è risultata di 11,5 mesi e al momento della presentazione del dato il paziente era ancora in risposta. L’uomo aveva iniziato il trattamento con seribantumab nella fase di run-in di valutazione della sicurezza ed è passato a una dose settimanale di 3 g dopo l’induzione/consolidamento. Al momento della presentazione del caso, il paziente era in trattamento da 16,0 mesi.

Il secondo caso è quello di una donna di 60 anni, affetta da adenocarcinoma, anch’essa sottoposta in precedenza a tre linee di trattamento, tra cui chemioterapia a base di platino e immunoterapia. La paziente, alla sesta settimana di trattamento con seribantumab, ha ottenuto una risposta , con una riduzione del tumore pari al 68%. Alla settimana 24 gli sperimentatori hanno osservato che la risposta è diventata più profonda fino a diventare completa. In questa paziente la DOR è risultata di 9,7 mesi, con una risposta completa da 5,6 mesi. Lo sperimentatore ha riferito che la paziente era in trattamento da 11,7 mesi.

Il profilo di sicurezza
Per quanto riguarda la sicurezza, in tutti i pazienti è stato segnalato almeno un evento avverso emerso durante il trattamento con seribantumab e il 49% ha manifestato un evento di grado 3 o superiore.

Gli eventi avversi emersi durante il trattamento di qualsiasi grado più comuni sono stati diarrea (49%), affaticamento (40%), rash (31%), ipocaliemia (29%), nausea (29%), dolore addominale (23%), diminuzione dell’appetito (23%), ipomagnesiemia (23%), tosse (20%), anemia (17%) e disuria (17%).

Gli eventi avversi emersi durante la terapia di grado 3 o superiore sono stati, invece, diarrea (6%), nausea (6%), dolore addominale (6%), ipocaliemia (3%) e anemia (3%).

Inoltre, l’86% dei pazienti ha sviluppato almeno un evento avverso correlato al trattamento di qualsiasi grado, sebbene solo nel 6% dei casi di grado 3 o superiore. Le reazioni avverse di qualsiasi grado più frequenti correlate al trattamento sono state diarrea (40%), affaticamento (29%), rash (26%) e nausea (17%).

Nello specifico, è stata segnalata una tossicità dose-limitante (affaticamento di grado 2) che ha comportato una riduzione della dose durante la fase di run-in della valutazione della sicurezza. Per quanto riguarda la dose di seribantumab, il 77% dei pazienti ha ricevuto la dose ottimale identificata nella fase 2 pari a 3 g ogni settimana. In due casi, lo sperimentatore ha ritenuto di dover ridurre la dose a causa di eventi avversi: in un paziente per il quale è stato registrato un aumento dell’alanina aminotransferasi di grado 1 e un paziente che ha manifestato affaticamento di grado 2.

Da notare che nessun paziente ha dovuto interrompere seribantumab a causa di effetti collaterali.

Studio ancora in corso
Lo studio CRESTONE è ancora in corso e continuerà a valutare seribantumab come potenziale nuovo standard di cura per i pazienti con tumori solidi che presentano fusioni di NRG1.

«La profilazione genomica completa con il sequenziamento basato sull’RNA deve diventare un approccio cruciale, in modo da poter identificare i pazienti come quelli del nostro studio, ai quali fornire un trattamento personalizzato e un aiuto nel trattamento dei loro tumori», ha concluso Carrizosa.

Bibliografia
D.R.Carrizosa, et al. CRESTONE: Initial efficacy and safety of seribantumab in solid tumors harboring NRG1 fusions. J Clin Oncol. 2022;40(suppl 16):3006. doi:10.1200/JCO.2022.40.16_suppl.3006. Link

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