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Due o tre caffè al giorno tolgono il Parkinson di torno

Il caffè, se consumato più di tre volte al giorno, può abbassare il rischio di ammalarsi di cancro della prostata secondo un nuovo studio

Un consumo moderato di caffè (2/3 tazzine die) ritarda l’età d’esordio della malattia di Parkinson che, qualora si presenti, ha comunque una sintomatologia meno grave

Giovanni Defazio, docente di neurologia dell’Università di Cagliari ha coordinato un ampio  studio multicentrico appena pubblicato su Parkinson’s & Related Disorders (1) cui hanno partecipato  anche le Università di BariCataniaRoma e Verona, oltre all’Albert Einstein College of Medicine di New York, al dipartimento di neurologia dell’ASST Pavia-Voghera e all’IRCCS Neuromed di Pozzilli in uno sforzo collettivo che corona un decennio di studi secondo cui un consumo moderato di caffè (2/3 tazzine die) ritarda l’età d’esordio della malattia di Parkinson che, qualora si presenti, ha comunque una sintomatologia meno grave.

A novembre 2020 gli stessi autori (2) fra 31 possibili fattori di rischio/protettivi per lo sviluppo di tale malattia valutati in quasi 1400 soggetti, fra malati e sani di controllo, ne avevano individuati  6 di rischio e 3 protettivi (tra cui il consumo di caffè).

ATTIVITA’ FISICA Simile effetto benefico ha anche una moderata attività fisica quotidiana precedente all’esordio della malattia che ne migliorerebbe soprattutto la sintomatologia non motoria come dolore, incontinenza, ipotensione ortostatica, stipsi, disturbi del sonno, affaticamento, ansia, depressione, ecc.

CONFERME Lo stesso gruppo nel febbraio 2020 aveva pubblicato uno studio simile su Neurobiology of disease (3) in cui fra 11 fattori di rischio e/o protettivi individuati come potenzialmente in grado di influenzare lo sviluppo della malattia di Parkinson, la caffeina e l’attività fisica, se presenti prima dell’esordio dei sintomi. ne miglioravano anche la progressione.

LUNGHI STUDI Gli Autori italiani sono impegnati da tempo nello studio di questi aspetti e il primo studio di Defazio fu presentato al convegno nazionale 2017 dell’Accademia Limpe-Dismov per il parkinson e i disturbi del movimento: una review su 797 studi da cui risultavano a carattere protettivo:

attività fisica

fumo

caffè

NON UN SOLO PARKINSON Un importante risultato di questa serie di studi, dice il Prof. Defazio, è che la distribuzione dei vari possibili fattori di rischio individuati  (ad es. familiarità per malattia di Parkinson, dispepsia, ecc.) non è uniforme, ma possono variamente presentarsi, individuando così vari sottotipi eziologici.

Ciò supporta la possibilità (spesso ventilata negli ultimi anni) che non esista una sola, ma diverse malattie di Parkinson con diverse eziologie e probabilmente diverse evoluzioni, ognuna delle quali risponde a diversi fattori di rischio e/o di protezione.

CAFFEINA COME FARMACO Un autore che ha molto studiato gli effetti della caffeina su questa malattia è Ronald Postuma dell’Università di Montreal secondo il quale il caffè è non solo un fattore protettivo sullo sviluppo della malattia (4), ma agisce come farmaco potenzialmente in grado di ritardarne l’evoluzione una volta che i sintomi si sono manifestati (5).

CAUTELA Siamo ancora nell’ambito delle forti probabilità –commenta Defazio– Dalle nostre ricerche emerge una plausibilità biologica evidente dal punto di vista epidemiologico secondo cui alcuni fattori, come ad esempio i pesticidi, sono a rischio, mentre altri, come l’attività fisica o il caffè, sono protettivi, ma sembrano esserlo anche il thè, la vitamina E o i FANS.

Va ancora capito come indirizzare l’azione di ognuno di questi fattori per una migliore riduzione del rischio: già altri Autori hanno visto, ad esempio, come non tutti i dosaggi di caffeina siano efficaci allo stesso modo.

Occorre soprattutto attenzione a non ricavare da questi studi l’impressione che il caffè sia una sorta di panacea neuro-protettiva, perché c’è ancora molto da studiare.

Si può dire che il caffè non solo può prevenire (come indicano nostri studi precedenti), ma anche ritardare l’età di esordio della malattia e, probabilmente, indure anche una più lenta evoluzione della sintomatologia motoria.

BIBLIOGRAFIA

  1. https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S1353802022001134
  2. https://doi.org/10.1212/WNL.0000000000010813
  3. https://doi.org/10.1016/j.nbd.2019.104671
  4. https://doi.org/10.1212/WNL.0b013e318263570d
  5. https://doi.org/10.1016/j.nbd.2019.104671
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