Site icon Corriere Nazionale

Artrite psoriasica: la dieta può aiutare sui sintomi

Secondo un nuovo studio alcuni aggiustamenti della dieta potrebbero giocare un ruolo nel trattamento dei pazienti affetti da artrite psoriasica

Per la scienza ormai è certo: masticare bene giova al corpo e alla mente, aiuta digestione e umore ma, aspetto inedito, frena anche il progredire delle demenze e perfino l’insorgere della malattia.

Secondo un nuovo studio alcuni aggiustamenti della dieta potrebbero giocare un ruolo nel trattamento dei pazienti affetti da artrite psoriasica

L’argomento non è nuovo ma un trial di recente pubblicazione su Advances in Rheumatology l’ha riportato alla ribalta: alcuni aggiustamenti della dieta potrebbero giocare un ruolo nel trattamento dei pazienti affetti da artrite psoriasica (PsA), contribuendo ad un migliore controllo dell’attività di malattia.

I presupposti dello studio
Gli outcome articolari e cutanei della PsA sono notoriamente associati a diverse comorbilità, tra le quali la sindrome metabolica, l’obesità, l’ipertensione e il diabete, ricordano i ricercatori nell’introduzione allo studio. Ciò suggerisce l’esistenza di un possibile legame tra l’adiposità e la PsA, probabilmente da ascrivere all’esistenza di un asse adipe-articolazione-cute mediato da cellule e da citochine pro-infiammatorie, stress ossidativo, disbiosi e inadeguatezza nutrizionale.

Più recentemente, è stato dimostrato che un aumento del BMI è causa di un rischio 50 volte superiore di andare incontro a PsA, come pure a minori chance di raggiungere la remissione di malattia, insieme ad un peggioramento della risposta alla terapia farmacologica, incluso un tasso più elevato di ricorso a switch terapeutico.

Alcune strategie non farmacologiche, come la perdita di peso e la supplementazione con antiossidanti, hanno avuto effetti benefici sull’obesità, la dislipidemia, la steatosi epatica non alcolica e il diabete. Tuttavia, solo due trial clinici controllati hanno valutato l’impatto della perdita di peso sull’attività di malattia dei pazienti con PsA.

“E’ stato osservato, ad esempio – continuano i ricercatori – che una riduzione ponderale compresa tra il 5% e il 10% aumenta le possibilità di remissione di malattia, mentre un altro studio ha dimostrato che la combinazione di dieta ipocalorica ed esercizio fisico rappresenta un intervento utile a migliorare l’attività di malattia, nonché la depressione e la fatigue.

Sulla base di un possibile effetto adiuvante del calo ponderale al miglioramento della risposta clinica dei pazienti affetti da PsA, è stato concepito il nuovo studio che si è proposto di valutare se una variazione del pattern dietetico, aggiunto a supplementazione con antiossidanti o ad una perdita di peso del 5-10%, potesse essere in grado di migliorare l’attività di malattia in pazienti con PsA, inclusi gli outcome cutanei e articolari e i marker di infiammazione.

Disegno dello studio
Il trial, controllato in doppio cieco, ha randomizzato 97 pazienti adulti con PsA, ha randomizzato 97 pazienti adulti con PsA in 3 gruppi:
– dieta ipocalorica associata a 3 g/die di supplementazione con acidi grassi omega-3
– dieta ipocalorica e aggiunta di placebo
– placebo

I ricercatori hanno analizzato l’assunzione di alimenti, la composizione corporea e l’attività di malattia sia all’inizio dello studio che a 12 settimane.

E’ stato impiegato un registro per monitorare il pattern dietetico seguito, insieme all’indice HEI (NdR: Healthy Eating Index o ‘indice di alimentazione sana= una misura della qualità della dieta utilizzata per valutare quanto un insieme di alimenti si allinea con le raccomandazioni chiave delle linee guida dietetiche per gli americani) e all’indice DII (NdR: the Dietary Inflammation Index è uno strumento che misura il potenziale infiammatorio della dieta individuale) per valutare l’assunzione di alimenti.

La composizione corporea è stata determinata mediante DEXA, come pure in base al peso corporeo e alla circonferenza toracica.

L’attività di malattia era misurata in base agli indici PASI, alla BSA, alla minima attività di malattia (MDA), all’indica BASDAI e ai punteggi DAS28-CRP e DAS28-ESR.

I pazienti randomizzati ai due dei tre bracci di trattamento che prevedevano il ricorso ad una dieta ipocalorica erano stati sottoposti ad un piano alimentare personalizzati, che includeva il consumo di macronutrienti e di fibre, ed erano stati incoraggiati ad avere 3 pasti giornalieri principali, 2 o 3 spuntini, aumentare l’assunzione di acqua, evitare il consumo di cibi processati ed assumere, invece, maggiori quantità di frutta e verdura.
I ricercatori hanno implementato registri alimentari giornalieri, analizzati in visite di controllo a cadenza mensile, monitorando in questo modo le fluttuazioni ponderali e di circonferenza toracica. Inoltre era richiesto ai pazienti inclusi nella sperimentazione clinica di fornire informazioni relative all’impiego di farmaci, allo svolgimento di attività fisica, alle variazioni di funzione intestinale, ai pattern relativi al sonno e agli effetti collaterali.

All’inizio dello studio era stata rilevata una sostanziale sovrapponibilità tra i gruppi relativamente alle caratteristiche demografiche dei pazienti, alla durata e all’attività di malattia, nonché relativamente ai farmaci assunti.

Risultati principali
Dopo 3 mesi, si è registrato un miglioramento del punteggio DAS28-CRP e dell’ìndice BASDAI di attività di malattia, soprattutto nei pazienti sottoposti a dieta ipocalorica non supplementata con acidi grassi omega-3 (− 0,6 ± 0,9; p = 0,004 e − 1,39 ± 1,97; p = 0,001, rispettivamente). In aggiunta, una proporzione più ampia di pazienti ha raggiunto la MDA in tutti i gruppi in studio.

Il gruppo di pazienti sottoposto a dieta ipocalorica insieme a supplementazione con acidi grassi omega-3 ha mostrato un calo significativo sia del peso corporeo (− 1,79 ± 2,4; p = 0,004), sia della circonferenza toracica (− 3,28 ± 3,5, p < 0,001), sia del peso corporeo (− 1,2 ± 2,2, p = 0,006).

Da ultimo, non è stata documentata l’esistenza di una correlazione significativa tra il calo ponderale e il miglioramento dell’attività di malattia.

A ciascun incremento unitario dell’indice HEI corrispondeva una riduzione pari al 4% della probabilità di raggiungere la remissione di malattia.

Inoltre, a ciascun incremento dell’assunzione di calorie pari a 100 cal/die corrispondeva un incremento di 3,4 volte dell’alterazione del punteggio DAS28-ESR di attività di malattia.

Limiti e implicazioni dello studio
Il trial ha dimostrato che, dopo 3 mesi di dieta ipocalorica, i pazienti con PsA sono in grado di ottenere il controllo dell’attività di malattia, mentre la supplementazione con acidi grassi omega-3 è utile per indurre modifiche della composizione corporea ma non di migliorare l’attività di malattia.

Nel commentare i risultati, i ricercatori hanno ammesso, tra i limiti metodologici intrinseci dello studio, il fatto che gli interventi non farmacologici si caratterizzano, storicamente, per bassi livelli di aderenza. Inoltre, le informazioni sulle variazioni dietetiche e di assunzione alimentare riferite era totalmente dipendenti dal reporting dei singoli pazienti (e quindi passibili di bias).

E’ stata ammessa anche la difficoltà di incoraggiare interventi salutari più stringenti e duraturi, anche in ragione del fatto che i pattern dietetici seguiti erano legati allo stato socioeconomico, emotivo e al livello di istruzione dei singoli partecipanti allo studio.

A tutto ciò si aggiunge la durata del periodo di follow-up previsto nel trial (3 mesi), considerato troppo breve.

Nel complesso, però, il trial pubblicato è stato il primo ad aver valutato l’efficacia delle modifiche della dieta, in aggiunta alla supplementazione con acidi grassi omega-3, in questa popolazione di pazienti.

Inoltre, in assenza di variazioni relative all’attività fisica svolta o ai farmaci assunti durante lo studio, è stato possibile trarre conclusioni sul ruolo specifico della dieta nel contesto dell’immunometabolismo.

“Pertanto, un counseling dietetico avente come obiettivo la riduzione o il controllo del peso corporeo potrebbe essere parte integrante di un protocollo complessivo per la gestione e il trattamento dei pazienti con PsA – scrivono i ricercatori nelle conclusioni del lavoro. Inoltre, l’esecuzione di attività fisica sotto supervisione medica potrebbe contribuire alla perdita di peso, insieme ad un guadagno di massa magra e ad un miglior controllo dell’attività di malattia”.

Bibliografia
Leite BF et al. Dietetic intervention in psoriatic arthritis: the DIETA trial. Dietetic intervention in psoriatic arthritis: the DIETA trial. Adv Rheumatol 62, 12 (2022). https://doi.org/10.1186/s42358-022-00243-6
Leggi

Exit mobile version