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Nuovo studio su leucemia linfoblastica e trapianto di staminali

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Leucemia linfoblastica: buoni risultati con un regime di condizionamento di intensità ridotta prima del trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche

Un regime di condizionamento di intensità ridotta prima del trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche ha prodotto risultati di sopravvivenza molto buoni e «migliori del previsto» in pazienti adulti con leucemia linfoblastica acuta ad alto rischio, alla prima remissione completa, in un’analisi dello studio UKALL14, pubblicata di recente su The Lancet Haematology.

Nella coorte analizzata, su quasi 250 pazienti, l’impiego di un condizionamento di intensità ridotta con fludarabina, melfalan e alemtuzumab si è associato a tassi di sopravvivenza libera da eventi (EFS) e sopravvivenza globale (OS) a 4 anni rispettivamente del 46,8% (IC al 95% 40,1-53,2) e 54,8% (IC al 95% 48,0-61,2).

Inoltre, questi outcome di sopravvivenza si sono ottenuti a fronte di tassi relativamente bassi di malattia del trapianto contro l’ospite (GVHD) cronica e di mortalità correlata al trapianto.

«Questo studio fornisce evidenze utili per la pratica clinica circa il ruolo del trapianto allogenico con un condizionamento di intensità ridotta negli adulti (sopra i 40 anni, ndr) con leucemia linfoblastica acuta alla prima remissione completa», concludono gli autori, coordinati da David Marks, dello University Hospital Bristol NHS Trust.

Outcome peggiori all’aumentare dell’età
In un commento di accompagnamento, Anjali Advani, del Cleveland Clinic Taussig Cancer Institute (in Ohio), osserva che i pazienti adulti con leucemia linfoblastica acuta hanno outcome peggiori all’aumentare dell’età e sebbene una strategia perseguita sia quella di sottoporre al trapianto allogenico i pazienti che hanno ottenuto una prima remissione completa e sono adatti per eseguire questa procedura, l’uso di regimi pienamente mieloablativi desta preoccupazione.

Tuttavia, aggiunge l’esperta, «in pochi studi si è indagata in modo sistematico la questione del trapianto non mieloablativo in modo prospettico su larga scala. Questo studio è stato impressionante per il numero di pazienti e di centri coinvolti, per il follow-up e per i risultati».

Sottostudio su pazienti sopra i 40 anni
Nell’analisi, un sottostudio a braccio singolo incorporato nello studio UKALL14, Marks e i colleghi hanno valutato gli outcome di un trapianto autologo di cellule staminali con un condizionamento di intensità ridotta con fludarabina, melfalan e alemtuzumab in tutti i pazienti di età superiore ai 40 anni che avevano un fratello o sorella o un donatore non imparentato adatto. Lo studio UKALL14 è stato condotto in 46 centri nel Regno Unito e il sottostudio ha incluso 249 pazienti (età media 50, 55% uomini), considerati non idonei per un allotrapianto mieloablativo e sottoposti, invece, a un trapianto autologo con condizionato a intensità ridotta da febbraio 2011 a luglio 2018.

Dopo un follow-up mediano di 48,9 mesi, si sono registrati 128 eventi e 112 decessi. Ottanta pazienti hanno avuto una recidiva (dopo una mediana di 9,5 mesi), con un’incidenza cumulativa del 33,6% a 4 anni. Dei pazienti che sono morti, 63 avevano recidivato precocemente.

Nei pazienti con linfociti B BCR-ABL1-positivi (il 25% della coorte), il tasso di EFS e quello di OS a 4 anni sono risultati rispettivamente del 41,7% e 57,6%, mentre in quelli con linfociti B BCR-ABL1-negativi, i tassi corrispondenti sono risultati rispettivamente del 45,4% e 51,5%.

«La presenza di una malattia minima residua prima del trapianto allogenico è risultata il principale fattore di rischio di recidiva» spiegano gli autori. Nell’ analisi multivariata, infatti, la positività della malattia minima residua (MRD) è risultata associata a una diminuzione significativa dell’EFS (HR 2,40, IC al 95% 1,46-3,93, P = 0,0005), con tassi a 4 anni rispettivamente del 27,3% nei pazienti MRD-positivi contro 60,8% in quelli MRD-negativi.

I dati di sicurezza
La mortalità correlata al trapianto è stata di 48 pazienti (in un tempo mediano di 10,5 mesi) e la causa più frequente del decesso sono state le infezioni. L’incidenza cumulativa della mortalità correlata al trapianto è risultata del 3,6% a 100 giorni e del 19,6% a 4 anni.

Una GVHD acuta di grado 2-4 si è verificata nel 12% dei pazienti e una GVHD di grado 3/4 nel 5%, mentre la GVHD cronica ha mostrato un’incidenza del 37% e il 22% dei pazienti ha sviluppato una GVHD cronica estesa.

L’incidenza cumulativa a 4 anni di un secondo tumore è risultata del 4,0%, suggerendo che «specialmente nella popolazione analizzata nello studoo, è giustificata una sorveglianza oncologica continuativa dopo il trapianto allogenico» scrivono gli autori.

Il valore aggiunto dello studio
«Per quanto ne sappiamo, questo studio prospettico su 249 pazienti è il più ampio studio effettuato finora sul trapianto allogenico con un condizionamento di intensità ridotta e dimostra una sopravvivenza libera da eventi e una sopravvivenza globale a 4 anni eccellenti, con bassi tassi di GVHD e una ridotta mortalità correlata al trapianto, in pazienti con leucemia linfoblastica acuta ad alto rischio» scrivono Marks e i colleghi. «I risultati in questo gruppo ad alto rischio hanno superato quelli che ci si sarebbe aspettati con la sola chemioterapia».

«Questo studio dimostra la fattibilità e la tollerabilità in questo sottogruppo di pazienti, all’interno di un ampio studio prospettico nazionale sulla leucemia linfoblastica acuta» aggiungono i ricercatori.

«La messa in atto di strategia atte a ridurre la mortalità correlata al trapianto dovuta alle infezioni consentirà di migliorare ulteriormente gli outcome» concludono Marks e il suo gruppo.

Bibliografia
D.I. Marks, et al In-vivo T-cell depleted reduced-intensity conditioned allogeneic haematopoietic stem-cell transplantation for patients with acute lymphoblastic leukaemia in first remission: results from the prospective, single-arm evaluation of the UKALL14 trial- Lancet Haematol 2022. Link

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