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Le opere di Stefan Gierowski alla Dep Art Gallery

stefan gierowski

Alla Dep Art Gallery dal 5 maggio la mostra “Stefan Gierowski – Il senso dello spazio, la scelta della luce”, a cura di Michel Gauthier

Dal 5 maggio al 7 luglio 2022Dep Art Gallery presenta la mostra Stefan Gierowski – Il senso dello spazio, la scelta della luce, a cura di Michel Gauthier e realizzata in collaborazione con la Fondazione Stefan Gierowski, dedicata a uno dei maggiori artisti polacchi del secondo dopoguerra che torna a esporre in Italia dopo la Biennale di Venezia del 1968.

Ripercorrendo i periodi e gli snodi cruciali della produzione di Stefan Gierowski (1925, Częstochowa) dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta del XX secolo, il progetto espositivo esplora il rapporto dell’artista polacco con la stagione informale italiana attraverso il confronto con alcune opere di Lucio Fontana, Mario Nigro e Piero Dorazio, rivelando analogie e parallelismi nelle rispettive poetiche nonostante non ci fui mai un vero e proprio contatto.

La mostra intende così rileggere la figura e la posizione di Gieroswki all’interno della corrente astratta del Novecento per affermare il suo ruolo di interlocutore fondamentale per la stagione informale a livello internazionale e restituire alla sua produzione quel posto eminente che gli è stato privato per varie contingenze e vicissitudini della Storia, prima tra tutti la Guerra fredda.

Nel testo che accompagna la mostra, Michel Gauthier – critico d’arte contemporanea e curatore al Centre Pompidou di Parigi dal 2010 – si riferisce alla pittura di Gierowski come a “una struttura aperta in un punto su uno spazio infinito”, individuando una caratteristica fondamentale del suo lavoro: dare profondità alla superficie pittorica. Questo desiderio di apertura del campo pittorico a uno spazio “totale”, oltre il piano ristretto del dipinto, è ciò che accomuna la ricerca dell’artista polacco con quella che negli stessi anni in Italia portavano avanti autori come Fontana, Nigro e Dorazio. Ciascuno con le proprie peculiarità, hanno approcciato l’astrazione attraverso le categorie dello spazio, della luce e del colore per superare i limiti del quadro: i tagli di Lucio Fontana, che aprono veri e propri squarci nella tela; le griglie prospettiche di Mario Nigro, che danno un’illusione di profondità spaziale, teatro di forze piuttosto che di forme; le trame cromatiche di Piero Dorazio, che estendono all’infinito il gioco di linee di diversi colori; la luce-colore di Gierowski, dapprima linea e poi nebulosità puntinista che apre e libera il campo pittorico.

Esposta soprattutto nel contesto polacco e nell’Europa orientale, l’opera di Stefan Gierowski torna in Italia dopo oltre 50 anni dall’ultima mostra. Era il 1968 e l’artista presentava un gruppo di dipinti – tra cui l’opera CLXXXI presente nella mostra a Dep Art Gallery – realizzati tra il 1963 e il 1976 nel padiglione polacco alla Biennale di Venezia. Poco distante, nella sezione “Dall’informale alle nuove strutture”, in mezzo a una ricca selezione internazionale, Lucio Fontana – morto prima della chiusura della Biennale – propose un Ambiente spaziale e Mario Nigro mostrò gli ultimi sviluppi tridimensionali del suo lavoro. Scrive Michel Gauthier: “Se la pittura di Gierowski era già stata esposta in Italia ˗ nel 1958, in ‘5 Pittori Polacchi d’oggi’ (Galleria del Milione, Milano; Unione Culturale-Palazzo Carignano, Torino; Galleria La Loggia, Bologna; Galleria L’Attico, Roma; Galleria d’Arte Minerva, Napoli) e, nel 1959, in ‘Mostra di Pittura Polacca Contemporanea’ (Ala Napoleonica, Venezia) – fu a questa XXXIV Biennale che fu possibile per la prima volta vederla non lontana da alcune delle più compiute realizzazioni dell’avanguardia europea e soprattutto italiana, non lontana in particolare da Fontana e Nigro”.

Della Biennale di Venezia del 1968, la mostra presenta l’opera CLXXXI (1964), testimone della ricerca degli anni Sessanta insieme a CXCVII (1966), una sovrapposizione di due forme oblique che sembrano estendersi oltre i limiti della tela, e CCXXXV (1968), una tela bicroma, rossa e verde, separata in due parti da una fessura verticale da cui emerge una luce bianca dallo sfondo.

Verso la metà degli anni Settanta, la pittura di Gierowski raggiunge trame generate dall’incrocio di linee di diversi colori, come in CCCLXXIII (1976), nella quale un rettangolo verticale di linee colorate galleggia su uno sfondo nero, attraverso cui passa una striscia orizzontale di luce. Allo stesso tempo, Gierowski otteneva composizioni caratterizzate da uno spazio pittorico più puntinista e nebuloso: in CCCXCIV (1977) su uno sfondo nero una miriade di punti bianchi e blu dà luogo a un campo cromaticamente instabile. Già all’inizio di quel decennio, si veda CCLXXIII (1971), la maggiore o minore densità dei punti creava sottili variazioni di intensità luminosa e cromatica. Il campo pittorico non è più una superficie, ma una porzione di spazio dove si diffonde la luce-colore: nella parte inferiore di CCLXVI (1971) ci sono, una sopra l’altra, quattro strisce orizzontali: una verde, una rossa, una blu e una gialla. Ogni banda è più larga di quella sottostante, in modo che l’occhio sia attirato dal basso verso l’alto, e presto la striscia gialla si apre in uno spazio che occupa i due terzi superiori della tela: la nuvola di punti sostituisce la superficie solida e rispecchia la sequenza cromatica sottostante.

Un esempio di spazialismo lumino-cromatico che combina due dei percorsi del lumino-cromatismo di Gierowski – la particella e il raggio, ovvero il puntinismo e la linea – è CCCXCVIII (1977): al centro della tela, un disco composto da un numero infinito di particelle di diversi colori ˗ si potrebbe dire una superficie piatta che ha subìto una qualche rivoluzione nucleare ˗ e intorno, a ventaglio, dei raggi che distribuiscono i colori dello spettro.

All’inizio degli anni Ottanta, infine, la linea che aveva fatto parte del vocabolario di Gierowski negli anni Sessanta fece ritorno in modo altrettanto dinamico. La mostra presenta tre opere di questo periodo: CDLXXIX (1982), nella quale tre linee si stagliano su uno sfondo nero, quasi come un lampo; CDXCIX (1983), che mostra due linee pressoché verticali intrecciarsi giocando con la luce e l’ombra; e DXXI (1984), nella quale diverse linee bianche convergono verso un punto centrale, come un occhio che si apre su uno spazio notturno senza limiti. Quest’ultima opera conserva il ricordo di un viaggio a Roma del 1961, durante il quale Gierowski fu colpito dall’“occhio” del Pantheon.

L’esposizione è corredata da un catalogo bilingue, italiano e inglese, con un testo critico di Michel Gauthier e la documentazione fotografica dei lavori esposti.

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