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Nel microbioma intestinale l’evoluzione del diabete

Quattro specie batteriche chiave del microbioma intestinale sono state identificate come predittori dello sviluppo del diabete di tipo 2

Quattro specie batteriche chiave del microbioma intestinale sono state identificate come predittori dello sviluppo del diabete di tipo 2

Quattro specie batteriche chiave del microbioma intestinale sono state identificate come predittori dello sviluppo del diabete di tipo 2 e possono essere potenzialmente utili per scoprire nuovi bersagli terapeutici per la malattia, secondo i risultati di uno studio finlandese di follow-up a lungo termine su oltre 5.000 persone pubblicato sulla rivista Diabetes Care.

«Non siamo a conoscenza di precedenti trial prospettici a lungo termine sull’associazione tra il diabete di tipo 2 e il microbioma intestinale simili allo studio attuale» hanno scritto gli autori. «Anche se richiedono un’ulteriore convalida, i risultati costruiscono ed estendono le precedenti evidenze e supportano ulteriormente le connessioni tra abitudini alimentari, malattie metaboliche e diabete di tipo 2 che sono modulate dal microbioma intestinale».

Batteri intestinali associati allo sviluppo del diabete
I risultati provengono da uno studio prospettico sui dati relativi ai campioni fecali di 5.572 persone in Finlandia incluse nella coorte dello trial nazionale FINRISK basato sulla popolazione. Nel 2017, i campioni sono stati inviati per il sequenziamento come follow-up. Lo studio ha escluso i soggetti con diabete al basale, compresi quelli in trattamento con farmaci antidiabetici come la metformina.

In un follow-up mediano di 15,8 anni, 432 (7,8%) partecipanti hanno avuto una diagnosi di diabete di tipo 2 e la presenza di quattro specie microbiche e due cluster al basale era significativamente associata allo sviluppo della malattia.

Le quattro specie erano Clostridium citroniae (hazard ratio, HR, 1,21, P non aggiustato = 0,02), C. bolteae (HR 1,20, P non aggiustato = 0,01), Tyzzerella nexilis (HR 1,17, P non aggiustato = 0,03) e Ruminococcus gnavus (HR 1,17, P = 0,04). I due cluster associati positivamente erano costituiti principalmente dalla stessa specie (entrambi HR 1,18).

È importante sottolineare che le associazioni erano quasi le stesse tra i partecipanti nella Finlandia orientale e occidentale, che hanno differenze genetiche e di stile di vita uniche che influiscono sulla morbilità e sulla mortalità.

«Tre di questi taxa potrebbero essere raggruppati insieme in base all’abbondanza proporzionale in entrambe le aree geografiche e la combinazione dei quattro taxa è risultata predittiva del diabete di tipo 2 incidente» hanno riportato gli autori. Hanno fatto presente che le specie identificate sono state precedentemente associate al diabete di tipo 2 e sembrano essere collegate in qualche modo alla qualità della dieta e ad altre malattie metaboliche, come la steatosi epatica.

C. citronae, ad esempio, è stato associato alla trimetilammina N-ossido (TMAO), un composto probabilmente legato all’assunzione di carne rossa, e da oltre 15 anni è nota un’associazione diretta tra l’assunzione di carne rossa e il rischio di diabete di tipo 2. TMAO è stato anche associato all’infiammazione del tessuto adiposo e all’interferenza con la segnalazione epatica dell’insulina, entrambi coinvolti nell’aumento della resistenza all’insulina, nei livelli elevati di glucosio nel sangue e nel diabete di tipo 2.

R. gnavus è stato precedentemente associato all’obesità negli esseri umani e negli animali. Questa specie batterica è anche potenzialmente correlata alla regolazione del metabolismo del glucosio e all’aumento delle citochine infiammatorie, entrambe associate alla fisiopatologia del diabete di tipo 2.

Un punto di partenza per le ricerche future
«Mentre studi precedenti hanno collegato il diabete di tipo 2 a caratteristiche distintive della composizione del microbioma intestinale, la maggior parte non ha incluso dati prospettici e mancano studi a lungo termine» ha osservato l’autore senior Teemu Niiranen del Turku University Hospital in Finlandia. «Inoltre molti degli studi potrebbero essere stati confusi dall’uso di farmaci antidiabetici che potrebbero influenzare la composizione del microbioma intestinale, inclusa la metformina, che è stata esclusa da questo studio».

«Anche se abbiamo dimostrato che alcuni cambiamenti del microbioma intestinale sono associati a un rischio maggiore di sviluppare il diabete in futuro, siamo ancora abbastanza lontani dall’uso clinico» ha aggiunto. «Oltre a dover replicare i risultati in altri gruppi etnici e altri luoghi, avremmo bisogno di trovare cut-off clinici ottimali per il processo decisionale clinico e dimostrare l’aumento della capacità predittiva del diabete rispetto a quella dei fattori di rischio convenzionali».

Lo studio serve tuttavia come trampolino di lancio verso una migliore previsione e lo sviluppo di trattamenti efficaci per il diabete di tipo 2 attraverso la modifica del microbioma intestinale, hanno scritto gli autori. Altre ricerche hanno fatto luce sui batteri intestinali che sembrano essere legati alla prevenzione piuttosto che allo sviluppo del diabete, identificando le specie che aiutano a produrre butirrato, un acido grasso a catena corta che può infatti fornire protezione contro la malattia.

Ulteriori studi suggeriscono potenziali implicazioni cliniche. Stanno facendo progressi anche gli sforzi per migliorare la sensibilità all’insulina attraverso il trapianto microbico fecale, con una formulazione in capsule orali che ha mostrato benefici nei pazienti con obesità grave.

Bibliografia

Ruuskanen MO et al. Gut Microbiome Composition Is Predictive of Incident Type 2 Diabetes in a Population Cohort of 5,572 Finnish Adults. Diabetes Care. 2022 Jan 31;dc212358. 

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