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Leucemia linfatica cronica: nuovi dati dallo studio GIMEMA

Leucemia linfatica cronica: con ibrutinib più ublituximab e umbralisib per un tempo limitato MRD non rilevabile nel 77% dei pazienti

Leucemia linfatica cronica recidivata/refrattaria: i dati dello studio GIMEMA confermano efficacia e sicurezza di regimi a base di venetoclax

Il trattamento con l’inibitore di Bcl-2 venetoclax, da solo o in combinazione con rituximab, si conferma efficace e ben tollerato nella ‘real life’ come negli studi clinici randomizzati, per il trattamento dei pazienti con leucemia linfatica cronica recidivati o refrattari. Lo evidenziano i dati di uno studio tutto italiano della Fondazione GIMEMA (Gruppo Italiano Malattie Ematologiche dell’Adulto), presentato all’ultimo congresso dell’American Society of Hematology.

Infatti, dopo un follow-up mediano di circa 15 mesi, il tasso di sopravvivenza libera da progressione (PFS) a 12 mesi è risultato superiore all’80%, con un tasso di risposta complessivo (ORR) dell’85%; inoltre, nel gruppo trattato con venetoclax più rituximab la PFS a 12 mesi è risultata di poco inferiore al 100%, con un tasso di risposte complete (CR) quasi del 60%. Il tutto in una popolazione in cui vi era una quota elevata di pazienti con caratteristiche sfavorevoli della malattia (uno su tre portatore di aberrazioni di TP53 e quasi l’80% con IGHV non mutate).

«I dati di efficacia ottenuti nel nostro studio in una popolazione meno selezionata rispetto a quella degli studi clinici si confermano sostanzialmente sovrapponibili a quelli dei trial registrativi, con un’elevata percentuale di risposta e, con l’utilizzo della combinazione venetoclax più rituximab, una quota elevata di pazienti che raggiunge una risposta completa» ha detto ai microfoni di PharmaStar Lydia Scarfò, dell’Università Vita Salute San Raffaele-IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. «I nostri risultati confermano anche il profilo di tossicità molto favorevole di venetoclax, che è un farmaco tendenzialmente ben tollerato, con pochi eventi avversi».

Venetoclax primo inibitore di Bcl2-approvato
Venetoclax è il primo inibitore di Bcl-2 approvato per il trattamento di pazienti affetti da leucemia linfatica cronica, da solo o in combinazione con anticorpi monoclonali anti-CD20.

Vari studi clinici hanno dimostrato l’elevata efficacia di questo farmaco, in monoterapia o in combinazione con l’anti-CD20 rituximab, con il quale si possono ottenere tassi di risposta complessiva del 79-92% nei pazienti con leucemia linfatica cronica già trattati.

In particolare, lo studio MURANO, grazie al quale venetoclax è stato approvato in combinazione con rituximab per il trattamento dei pazienti con leucemia linfatica cronica recidivata/refrattaria, ha mostrato una PFS a 2 anni nel braccio trattato con questa doppietta pari circa all’85%. Questo studio, che ha ormai un follow-up molto lungo (oltre 6 anni) è il primo ad aver dimostrato la fattibilità e l’efficacia e sicurezza di un regime chemo-free, quale è la combinazione di venetoclax e rituximab, di durata limitata nel tempo.

Lo studio della Fondazione GIMEMA
Al fine di valutare l’impiego di venetoclax anche nella ‘real life’, i ricercatori del GIMEMA hanno avviato uno studio osservazionale retrospettivo e prospettico volto a definire gli outcome dei pazienti con leucemia linfatica cronica ricaduti/refrattari trattati con regimi a base di venetoclax al di fuori di studi clinici in Italia.

Lo studio, che è ancora in corso, ha coinvolto finora 21 centri e prevede che i pazienti siano seguiti per 4 anni dal momento dell’arruolamento.

L’endpoint primario di efficacia è la PFS, mentre sono endpoint secondari l’ORR, il tasso di CR, il tasso di malattia minima residua non rilevabile (uMRD), il tempo al trattamento successivo (TTNT), la sopravvivenza globale (OS) e la sicurezza.

Analisi su 144 pazienti
L’analisi presentata da Scarfò al congresso americano ha riguardato 144 pazienti (97 uomini e 47 donne), con un’età mediana all’inizio del trattamento con venetoclax di 70 anni (range: 44-91) e un punteggio mediano della Cumulative Illness Rating Scale (CIRS) pari a 4 (range: 0-14). Inoltre, il 43% aveva una malattia in stadio III/IV della classificazione di Rai.

Una percentuale piuttosto rilevante di pazienti presentava caratteristiche prognostiche sfavorevoli: il 15% era portatore di mutazioni di TP53, il 22% della del(17p) e il 66% aveva IGHV non mutate.

Al momento dell’inizio del trattamento con venetoclax, i pazienti erano già stati trattati con una mediana di due terapie precedenti (range: 1-8) e il 58% era stato precedentemente esposto a inibitori di BTK.

Dei 144 pazienti analizzati, 78 (54,1%) sono stati trattati con venetoclax da solo, mentre 54 (37,5%) con la combinazione di venetoclax più rituximab.

«Le due coorti non sono esattamente sovrapponibili, perché i pazienti trattati con venetoclax in monoterapia, in linea con il label del farmaco, erano tendenzialmente più pretrattati di quelli trattati con la combinazione» ha spiegato Scarfò.

Infatti, i pazienti trattati con venetoclax da solo erano già stati sottoposti a una mediana di tre linee di terapia, a fronte di due linee in quelli trattati con venetoclax in combinazione; inoltre, una quota maggiore era già stata trattata con l’inibitore di BTK ibrutinib (78% vs 30%).

PFS a 12 mesi elevata
Dopo un follow-up mediano di 14,93 mesi (range: 0,03-45,56), la PFS stimata a 12 mesi nell’intera coorte di pazienti è risultata dell’82% (IC al 95% 76-90%), mentre l’OS stimata a 12 mesi dell’85%(IC al 95% 79-92%).

Analizzando il dato di PFS in funzione del tipo di trattamento (monoterapia o combinazione), gli autori hanno stimato una PFS a 12 mesi molto elevata, 96%, nel gruppo di pazienti trattato con venetoclax più rituximab e un po’ inferiore, 75%, nel gruppo trattato con venetoclax da solo.

«I risultati del nostro studio, se confrontati con le valutazioni iniziali sui pazienti inclusi nello studio registrativo MURANO – che ha ora un follow-up decisamente più lungo – sono sostanzialmente sovrapponibili» ha sottolineato Scarfò.

Tasso di risposta complessiva dell’85%
Il miglior ORR nell’intera coorte è risultato dell’85%, con un tasso di CR del 43%; la migliore risposta è stata raggiunta dopo una mediana di 3,9 mesi di trattamento (range: 0,6-30,5). Analizzando i risultati in base al tipo di terapia, i ricercatori hanno osservato che l’ORR è risultati identico, 85%, nel gruppo trattato con venetoclax da solo e in quello trattato con venetoclax in combinazione con rituximab; tuttavia, il tasso di CR è risultato significativamente più alto nei pazienti trattati con la combinazione dei due farmaci (58% contro 32%; P = 0,011 ).

Terapia ben tollerata
I due trattamenti a base di venetoclax sono stati ben tollerati e non si sono registrati eventi avversi inattesi, ha detto Scarfò.

Complessivamente, 39 pazienti su 144 hanno manifestato almeno un evento avverso correlato a venetoclax.

In linea con i dati già pubblicati, l’evento avverso più frequente è stato la neutropenia, che ha avuto un’incidenza del 77,8% (58,7% di grado ≥ 3).

«Come atteso, l’evento avverso più frequente in termini numerici è stato la neutropenia di grado 3 e 4, potenzialmente correlata al farmaco, che però non si è tradotta in un aumento del rischio di complicanze infettive e che, nella maggior parte dei casi, ha avuto una buona risposta al trattamento con il fattore  di crescita granulocitario. Dunque, un dato confortante per l’utilizzo  di venetoclax nell’ambito della ‘real life’», ha sottolineato l’autrice.

Per quanto riguarda la sindrome da lisi tumorale, si sono registrati solo due casi di grado 1 e due di grado 3.

Non è stato riportato, invece, alcun decesso correlato al trattamento.

Gli sviluppi futuri
In conclusione, scrivono i ricercatori del GIMEMA nel loro abstract, l’analisi presenta i risultati di una delle più ampie coorti di pazienti con leucemia linfocitica cronica recidivata/refrattaria trattati con regimi a base di venetoclax al di fuori degli studi clinici e conferma il favorevole profilo di efficacia e sicurezza del farmaco.

In questa popolazione di pazienti, molti dei quali con caratteristiche prognostiche sfavorevoli, i regimi a base di venetoclax sono stati in grado di dar luogo a una risposta in un’alta percentuale di casi, e in tempi rapidi.

I dati, inoltre, dimostrano che l’aggiunta dell’anticorpo anti-CD20 a venetoclax permette di raggiungere risposte più profonde e aumentare in modo significativo il tasso di CR.

Lo studio, comunque, prosegue. «Il nostro intento è quello di prolungare il follow-up, per caratterizzare meglio la PFS e valutare più in dettaglio anche i dati relativi alle malattie concomitanti e alle terapie assunte dai pazienti, al fine di identificare eventuali fattori ulteriori che possono influenzare la risposta al trattamento e la sua tollerabilità» ha concluso Scarfò.

Bibliografia
L. Scarfò, et al. An Observational Study on Patients with Relapsed/Refractory Chronic Lymphocytic Leukemia Treated with Venetoclax-Based Regimens Outside Clinical Trials in Italy (GIMEMA CLL1920). Blood (2021) 138 (Supplement 1): 3746. Link
https://ash.confex.com/ash/2021/webprogram/Paper148696.html

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