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Tumore del rene e melanoma: nivolumab e ipilimumab rimborsati

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AIFA ha approvato la rimborsabilità della combinazione di nivolumab e ipilimumab nel melanoma e nei tumori del rene e del polmone

L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha approvato la rimborsabilità della combinazione di due molecole immunoncologiche, nivolumab e ipilimumab, nel melanoma e nei tumori del rene e del polmone. In particolare, l’approvazione dell’ente regolatorio riguarda il trattamento in prima linea del melanoma avanzato, del carcinoma a cellule renali avanzato a rischio intermedio/sfavorevole e, in associazione con due cicli di chemioterapia a base di platino, del tumore del polmone non a piccole cellule metastatico (NSCLC) senza mutazione dei geni EGFR e ALK. L’AIFA, inoltre, ha approvato la monoterapia con nivolumab in seconda linea nel tumore dell’esofago. Siamo di fronte a cambiamenti sostanziali della pratica clinica quotidiana, a cui è dedicata oggi una conferenza stampa virtuale, promossa da Bristol Myers Squibb.

“La combinazione di nivolumab e ipilimumab consente di ottenere un meccanismo d’azione completo e sinergico, perché diretto verso due diverse proteine che inibiscono l’attivazione del sistema immunitario (PD-1 e CTLA-4) – afferma Paolo Marchetti, Ordinario di Oncologia all’Università La Sapienza di Roma, Direttore Scientifico IDI di Roma e Presidente della Fondazione per la Medicina Personalizzata -. Grazie alla duplice immunoterapia diventa concreta la possibilità di cronicizzare molte forme di tumore metastatico. I benefici offerti dalla combinazione delle due molecole immunoncologiche sono costituiti da risposte più veloci e durature e dalla sopravvivenza a lungo termine, come evidenziato anche nella metanalisi, coordinata dall’Università La Sapienza di Roma e pubblicata sul ‘Journal of Translational Medicine’, che ha considerato 7 studi, condotti fra il 2010 e il 2020, su più di 2.420 pazienti colpiti da melanoma, tumore del polmone a piccole cellule e non a piccole cellule, della vescica, gastrico, sarcoma, mesotelioma. La combinazione di nivolumab e ipilimumab ha dimostrato un’efficacia agnostica, cioè trasversale e al di là del tipo di cancro, incrementando le riposte del 68%”.

Nel 2020, in Italia, sono state stimate quasi 14.900 nuove diagnosi di melanoma. “Questo tumore della pelle ha rappresentato il modello ideale per verificare l’efficacia dell’immunoncologia – afferma Paolo Ascierto, Direttore Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative del ‘Pascale’ di Napoli -. Fino a pochi anni fa, non esistevano terapie realmente efficaci: prima dell’arrivo dell’immunoterapia la speranza di vita dei pazienti con la malattia metastatica era di circa 6 mesi e meno del 10% era vivo a un quinquennio. L’Italia ha contribuito in maniera decisiva alle ricerche che hanno permesso di rendere disponibili le terapie immunoncologiche alle persone colpite da neoplasie in fase molto avanzata. Il ‘Pascale’ di Napoli, con oltre 4.000 pazienti curati con l’immunoterapia dal 2010, si colloca fra i primi centri al mondo per numero di trattamenti. E la Campania, su proposta del ‘Pascale’, è l’unica Regione in Italia che, dal 2019, garantisce la rimborsabilità della combinazione di nivolumab e ipilimumab per tutti i pazienti colpiti da melanoma con metastasi cerebrali”. “La decisione di AIFA rappresenta una conquista di civiltà e un passo in avanti nelle cure – continua Paolo Ascierto -. Nello studio internazionale di fase 3, CheckMate -067, il 49% dei pazienti trattati con la combinazione nivolumab e ipilimumab in prima linea era vivo a 6 anni e mezzo. In particolare, la sopravvivenza globale mediana è risultata di 72,1 mesi, la più lunga finora riportata in uno studio di fase III nel melanoma avanzato. Inoltre, la duplice immunoterapia è efficace a lungo termine, visto che il 77% dei pazienti vivi a 5 anni e che hanno ricevuto la combinazione non ha più avuto necessità di ricevere un trattamento sistemico”.

Grazie all’approvazione di AIFA, la combinazione di nivolumab e ipilimumab cambia le prospettive di cura anche nel tumore del rene. Nel 2020, in Italia, sono stati stimati 13.500 nuovi casi e più di 144mila persone vivono dopo la diagnosi. “La forma più frequente è quella a cellule chiare – sottolinea Giuseppe ProcopioResponsabile Oncologia Medica genitourinaria della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano -. Oltre il 50% dei pazienti con malattia in fase precoce guarisce. Però il 30% arriva alla diagnosi già in stadio avanzato e, in un terzo, la malattia può recidivare in forma metastatica dopo l’intervento chirurgico. Storicamente, la sopravvivenza a 5 anni nella malattia avanzata o metastatica non superava il 13%. Oggi invece, grazie alla combinazione di nivolumab e ipilimumab in prima linea, il 48% è vivo a 5 anni, come evidenziato dallo studio di fase 3 CheckMate -214”. “I dati del programma di uso compassionevole sulla combinazione confermano, nella pratica clinica quotidiana, gli ottimi risultati dello studio registrativo – continua Giuseppe Procopio -. Sono stati coinvolti 324 pazienti con tumore del rene provenienti da 86 centri italiani, non ‘selezionati’ di solito negli studi randomizzati, ad esempio anziani con comorbidità e persone in fasi molto avanzate, quindi più difficili da trattare, o con particolari varianti istologiche del tumore del rene. Il programma del ‘mondo reale’ ha evidenziato, in una popolazione eterogenea e non selezionata, che l’efficacia e il profilo di tollerabilità della combinazione si mantengono inalterati e in linea con quanto emerso nello studio registrativo di fase III”.

Nel 2020 in Italia sono stati stimati quasi 41.000 nuovi casi di tumore del polmone e le diagnosi in fase avanzata raggiungono il 70%, con scarse opzioni di cura. Infatti la sopravvivenza a 5 anni nel carcinoma polmonare non a piccole cellule metastatico si aggira intorno al 15%. “Da qui l’importanza della decisione di AIFA che rende disponibile una nuova arma molto efficace per i clinici e i pazienti del nostro Paese – spiega Cesare Gridelli, Direttore Dipartimento di Onco-Ematologia dell’Azienda Ospedaliera ‘Moscati’ di Avellino -. Nella forma più comune di tumore del polmone, quella non a piccole cellule, la duplice immunoterapia con nivolumab più ipilimumab, associata a cicli limitati di chemioterapia, cioè due invece dei ‘classici’ quattro, riduce del 28% il rischio di morte e del 33% il rischio di progressione della malattia. Inoltre, come evidenziato nello studio di fase 3 CheckMate -9LA, il 38% dei pazienti che riceve questo schema terapeutico è vivo a due anni rispetto al 26% di quelli trattati con la sola chemioterapia”. “La duplice terapia immuno-oncologica in associazione con due cicli di chemioterapia, in prima linea nel tumore metastatico – sottolinea Cesare Gridelli -, migliora sia la sopravvivenza globale che quella libera da progressione di malattia. L’ulteriore vantaggio di questo approccio è rappresentato dall’utilizzo di cicli limitati di chemioterapia, che permette di ridurre gli effetti collaterali. La chemioterapia fa ancora paura ai pazienti, anche se oggi riusciamo a controllare meglio gli effetti collaterali. Con questo schema, il paziente in meno di un mese termina la chemioterapia e prosegue il trattamento con l’immunoterapia”.

“Abbiamo creduto fortemente nel valore delle nostre terapie ed è arrivato il tanto atteso rimborso della combinazione di nivolumab e ipilimumab – afferma Cosimo Paga, Executive Country Medical Director, Bristol Myers Squibb Italia -. In questo modo aumenta il numero di pazienti che possono trarre vantaggi dall’immunoterapia, aumentando il numero dei pazienti che rispondono alla monoterapia. Basandoci sul differente meccanismo d’azione delle due molecole che agiscono su momenti diversi dell’induzione della risposta immunitaria, abbiamo studiato la loro combinazione per aumentare la potenza e quindi l’efficacia della terapia. Stiamo sviluppando altre molecole immunoncologiche, che interagiscono su target differenti del sistema immunitario, come relatlimab, un anticorpo monoclonale che interagisce con il recettore LAG-3, inibendone la funzione e quindi riattivando il sistema immunitario. Il nostro obiettivo è estendere l’efficacia dell’immunoncologia per migliorare la sopravvivenza dei pazienti”.

Altra neoplasia troppo spesso individuata in fase avanzata è il tumore dell’esofago. Nel 2020, in Italia, sono stati stimati 2.400 nuovi casi, in costante aumento. “Circa la metà è diagnosticata in stadio avanzato, con un forte impatto sulla vita quotidiana del paziente, soprattutto sulla sua capacità di mangiare e bere – spiega Stefano Cascinu, Direttore Cancer Center IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e Professore di Oncologia Medica presso l’Università Vita-Salute San Raffaele -. Oggi la chemioterapia è il trattamento standard per questi pazienti, ma la prognosi rimane sfavorevole perché la sopravvivenza non supera i 10 mesi. Da qui l’importanza di individuare nuove opzioni efficaci e tollerabili. AIFA ha stabilito la rimborsabilità di nivolumab per il trattamento del carcinoma esofageo a cellule squamose avanzato non resecabile, recidivo o metastatico in seconda linea, cioè dopo una precedente chemioterapia”. Nivolumab è stata la prima immunoterapia approvata in Europa, a novembre 2020, nel tumore gastroesofageo in base ai risultati dello studio di fase 3 ATTRACTION-3, che ha dimostrato un miglioramento statisticamente significativo e clinicamente rilevante della sopravvivenza globale nei pazienti che hanno ricevuto nivolumab rispetto alla chemioterapia.

“Nivolumab ha ridotto il rischio di morte del 23% rispetto alla chemioterapia da sola – conclude Stefano Cascinu –. L’immunoterapia, inoltre, ha evidenziato un miglioramento della qualità di vita, aspetto molto importante in pazienti spesso fragili e colpiti da altre patologie. La sfida è portare i vantaggi dell’immunoterapia anche in adiuvante, cioè in fase precoce subito dopo la chirurgia. L’uso di nivolumab negli stadi iniziali del tumore, infatti, ha il potenziale di evitare le recidive. Come dimostrato dallo studio di fase 3 CheckMate -577, il trattamento adiuvante con nivolumab ha raddoppiato la sopravvivenza libera da malattia (22,4 mesi) rispetto al placebo (11 mesi), riducendo il rischio di recidiva o morte del 31%”.

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