In Italia esiste ancora una forte necessità di nuovi trattamenti per le donne con tumore della mammella che hanno seguito la terapia standard adiuvante, cioè successiva all’intervento chirurgico. Più del 20% delle pazienti (23%) va incontro a recidiva a 10 anni, per questo è necessario rendere disponibili quanto prima nel nostro Paese opzioni per potenziare ed estendere le cure dopo la chirurgia, come neratinib, una terapia mirata in grado di ridurre il rischio di recidiva, di morte e di metastasi cerebrali nelle pazienti con tumore della mammella in stadio iniziale con recettori ormonali positivi e iperespressione della proteina HER2.

Lo studio ExteNET su neratinib ha dimostrato che l’estensione della terapia adiuvante permette di ridurre del 42% il rischio di recidiva a 5 anni. Non solo. Dati aggiornati dello studio hanno evidenziato che neratinib può dimezzare il rischio di morte ed è in grado di ridurre di due terzi il rischio di sviluppare metastasi cerebrali. Lo studio ExteNET ha coinvolto 2.840 donne con carcinoma della mammella in stadio iniziale, positivo ai recettori ormonali e che sovraesprime la proteina HER2, trattate per 12 mesi con neratinib, dopo aver completato il trattamento adiuvante standard di un anno con una terapia anti-HER2 (trastuzumab). Le conseguenze cliniche di questo approccio in grado di aumentare le guarigioni sono approfondite oggi in una conferenza stampa virtuale.

La maggior parte delle pazienti, ogni anno in Italia circa 46.200 (84% del totale), presenta la malattia in stadio iniziale (I-II-III) e circa 4150 (il 9% di queste ultime) sono caratterizzate sia da sovraespressione della proteina HER2 (HER2+) sia dalla co-espressione dei recettori ormonali.

“In questa popolazione – spiega Paolo Marchetti, Ordinario di Oncologia all’Università La Sapienza di Roma e Presidente della Fondazione per la Medicina Personalizzata -, il trattamento sistemico adiuvante con la chemioterapia, la terapia ormonale e un anno di terapia biologica con l’anticorpo anti-HER2 trastuzumab rappresenta oggi lo standard di cura ed è in grado di ridurre il rischio di recidiva e di morte. Trastuzumab ha infatti migliorato ma non eliminato il rischio che la malattia si ripresenti. Una percentuale di pazienti infatti continua a recidivare con un picco di incidenza a 18-24 mesi dall’intervento chirurgico, anche se alcune presentano recidive tardive anche a 10 anni di follow-up. L’evento più rilevante dal punto di vista clinico, nel carcinoma mammario operato radicalmente, è proprio la comparsa di recidive a distanza, che si associa ad un drammatico peggioramento prognostico”.

“Nello studio ExteNET, a un follow up di 5 anni, neratinib ha dimostrato di ridurre il rischio di recidiva del 42% – afferma Michelino De Laurentiis, Direttore del Dipartimento di Oncologia Senologica e Toraco-Polmonare, Istituto Nazionale Tumori IRCCS Fondazione ‘G. Pascale’ di Napoli -. Questo significa che neratinib può ridurre quasi alla metà le recidive a distanza nei primi 5 anni. La molecola, quindi, è potenzialmente in grado di guarire 4 su 10 delle donne che altrimenti svilupperebbero recidive. Si tratta di risultati di grande impatto e sulla cui rilevanza clinica non si può dubitare. Peraltro, il ‘Pascale’ è il centro in Italia e in Europa che ha maturato la maggiore esperienza su pazienti trattate con neratinib. È importante sottolineare, inoltre, che al recente ‘San Antonio Breast Cancer Symposium’, il più importante congresso internazionale dedicato a questa neoplasia, sono stati presentati i dati aggiornati su una sottopopolazione dello studio ExteNET. Questi dati indicano che il neratinib è in grado di ridurre il rischio di metastasi cerebrali di ben due terzi. Questo dato è estremamente rilevante, visto che le metastasi a livello del sistema nervoso centrale sono quelle a prognosi peggiore”.

Le pazienti che riescono a completare il trattamento adiuvante esteso di 12 mesi con neratinib ottengono il massimo beneficio, in termini di prevenzione delle recidive a distanza. L’aderenza terapeutica è fondamentale, infatti il beneficio clinico assoluto in termini di sopravvivenza libera da malattia invasiva a 5 anni passa dal 5,1% al 7,4% per chi completa il trattamento di 12 mesi con neratinib, e la riduzione delle recidive aumenta da un terzo alla metà. Inoltre, dati aggiornati dello studio ExteNET presentati lo scorso giugno al Congresso della Società americana di oncologia medica (ASCO) hanno dimostrato che neratinib, a un follow up mediano di 8 anni, dimezza il rischio di morte nelle pazienti che non hanno avuto la risposta patologica completa dopo la chirurgia.

Quali sono le vie da seguire per mantenere le pazienti in trattamento? “La risposta viene dai risultati finali di un altro studio (CONTROL) presentato al Congresso di San Antonio – spiega il prof. Marchetti -. Sappiamo che la diarrea è l’evento avverso più comune. Sia la prevenzione medica con profilassi antidiarroica che la titolazione iniziale della dose di neratinib possono ridurre drasticamente l’incidenza della diarrea e le relative interruzioni del trattamento. In particolare, il progressivo incremento della dose con regime settimanale è l’approccio più promettente e di facile implementazione. Nello studio CONTROL le discontinuazioni definitive dal trattamento a causa della diarrea sono diminuite dall’11,7% al 3,3%. Questi risultati sono supportati dalla pratica clinica. Infatti, l’analisi dello studio ELEANOR, condotta sui primi 100 pazienti registrati in Germania, Austria e Svizzera, conferma l’abbattimento della frequenza di diarrea di Grado 3 grazie all’adozione spontanea della profilassi da parte della maggioranza dei medici coinvolti in questo studio osservazionale e, in una percentuale minore, della titolazione della dose”.

“Le percentuali di guarigione sono ancora lontane dal teorico 100% a cui, idealmente, vogliamo tendere – continua il prof. Marchetti -. L’estensione delle terapie adiuvanti rappresenta l’unica via per ridurre le possibilità di ricaduta e aumentare la sopravvivenza delle pazienti con carcinoma mammario HER2 positivo operato. Si stanno aprendo nuove strade grazie a studi che indagano l’aggiunta di terapie mirate, estendendo così l’approccio adiuvante dopo lo standard di cura. Neratinib è già stato approvato in Europa in questa popolazione di pazienti ed è rimborsato in diversi Paesi, ma non ancora in Italia. È importante che, anche nel nostro Paese, le pazienti possano accedere quanto prima alla terapia adiuvante estesa”.

“L’evoluzione della malattia da stadio iniziale a ricorrente o metastatico ha un impatto negativo non solo sulla sopravvivenza delle pazienti, ma anche sulla loro qualità della vita – conclude il prof. De Laurentiis -. Ridurre le recidive significa, inoltre, contenere il considerevole costo per il sistema in termini di farmaci, visite e ospedalizzazioni necessari quando la malattia metastatizza, oltre alle conseguenze negative sulla qualità di vita di pazienti e care giver. Non consentire a una paziente di iniziare una terapia potenzialmente curativa che non peggiora la qualità di vita, con la possibilità di prevenirne e gestirne la tossicità, è contrario all’evidenza scientifica, poco sostenibile in termini di programmazione sanitaria e difficilmente spiegabile sotto il profilo sociale ed etico”.