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Fibrillazione atriale negli anziani: stesso effetto per dabigatran e warfarin

Sindrome di marfan L'aumento delle temperature è associato a più decessi per cause cardiovascolari secondo i risultati di una nuova analisi longitudinale, pubblicata online su "Circulation"

Fibrillazione atriale nei pazienti anziani: esiti cognitivi simili con gli anticoagulanti orali dabigatran e warfarin

I punteggi su una varietà di valutazioni cognitive erano simili con dabigatran o warfarin ben controllato dopo 2 anni di trattamento, ha riferito Bruno Caramelli, dell’Università di San Paolo (Brasile).

Ricerche precedenti hanno dimostrato che l’AF è associata a un maggiore rischio di sviluppare demenza e hanno suggerito che l’anticoagulazione orale può mitigare tale rischio. Per quanto riguarda la differenza tra gli anticoagulanti orali diretti (DOAC) e il warfarin, le prove sono diversificate, anche se un’analisi pubblicata di recente indica che la demenza e il decadimento cognitivo lieve sono meno probabili con i DOAC.

GIRAF, il primo studio prospettico randomizzato per affrontare il problema, mostra che «nei pazienti più anziani con AF o flutter atriale che non hanno presentato eventi cerebrovascolari maggiori e sono stati adeguatamente trattati con warfarin o dabigatran per 2 anni, non c’era differenza nella maggior parte dei risultati cognitivi» ha detto Caramelli.

Valutazioni cardiologiche e neurologiche nello studio GIRAF
Per lo studio GIRAF, condotto in Brasile, Caramelli e colleghi hanno arruolato 200 pazienti con AF o flutter atriale che avevano almeno 70 anni di età e avevano un punteggio CHA2DS2-VASc superiore a 1, randomizzandoli a dabigatran 110 o 150 mg due volte al giorno o warfarin aggiustato a un INR da 2 a 3. Durante lo studio, il tempo medio nell’intervallo terapeutico tra i pazienti trattati con warfarin è stato del 70%.

I neurologi in cieco rispetto al gruppo randomizzato hanno valutato la funzione cognitiva al basale e a 2 anni utilizzando le seguenti valutazioni:

L’analisi si è concentrata su pazienti che hanno completato una valutazione cognitiva di 2 anni: 83 nel braccio dabigatran e 66 nel braccio warfarin. Caramelli ha fatto notare che c’erano più complicanze emorragiche e decessi correlati con il trattamento con warfarin. Nel complesso, l’età media era di circa 75 anni e il 60% dei partecipanti erano uomini.

I punteggi basali su tre delle quattro valutazioni cognitive hanno indicato una funzione leggermente migliore tra i pazienti nel gruppo dabigatran. Dopo 2 anni, non c’è stato molto cambiamento in nessuna delle valutazioni, con una differenza statisticamente significativa tra i bracci dello studio osservata solo per il MoCA (P = 0,02). La differenza favoriva il warfarin, anche se Caramelli ha suggerito che poteva essere dovuto al caso.

Quando i risultati sono stati suddivisi in specifici domini cognitivi, non ci sono state differenze significative tra i gruppi di trattamento in termini di cambiamenti nella memoria, nella funzione esecutiva, nel linguaggio o nell’attenzione.

Caramelli ha sottolineato che, indipendentemente dall’anticoagulante scelto, è importante che questo sia assunto correttamente, con un alto tasso di aderenza. Altrimenti, i risultati in termini di risultati cognitivi potrebbero non essere gli stessi visti nello studio GIRAF.

Inoltre, quando si tratta di selezionare un anticoagulante orale per i pazienti più anziani con AF, il maggiore rischio di sanguinamento con warfarin è una considerazione importante, ha sottolineato Caramelli. «Se il paziente è più incline a soffrire di una complicanza emorragica, forse è il caso di preferire dabigatran».

Possibilità di ulteriori meccanismi coinvolti
Alcuni ricercatori hanno proposto che gli infarti cerebrali silenti (asintomatici) guidino il declino cognitivo associato all’AF, il che significa che è possibile che i farmaci che offrono un’anticoagulazione più efficace possano fornire risultati cognitivi migliori, ha commentato Jim Cheung, della Weill Cornell Medicine di New York, che non è stato coinvolto nello studio.

Ha osservato che nello studio registrativo RE-LY contro warfarin, dabigatran (alla dose più alta) ha ridotto il rischio di ictus o embolia sistemica.

Ma per quanto riguarda gli esiti cognitivi, GIRAF «sembra dimostrare che, almeno se fatto in modo prospettico, forse non c’è tanto impatto come ci si aspetterebbe» dalla scelta di un DOAC rispetto al warfarin,» ha detto Cheung, che è anche membro dell’American College of Cardiology’s Electrophysiology Section Leadership Council.

Cheung ha indicato che non avrebbe letto molto nella differenza osservata nel punteggio MoCA, considerando la totalità dei risultati. «Più test sono eseguiti, più è probabile che si possa trovare una differenza con un test specifico».

È possibile che uno studio più ampio possa mostrare una differenza tra i due farmaci, ha detto Cheung, «ma questi dati fanno pensare che il meccanismo alla base del declino cognitivo associato all’AF è probabilmente multifattoriale».

Oltre agli infarti cerebrali silenti, anche l’ipoperfusione cerebrale o i microsanguinamenti (questi ultimi peggiorati dall’anticoagulazione) potrebbero anche giocare un ruolo nel diminuire la funzione cognitiva nei pazienti con AF, ha suggerito.

«Fondamentalmente, ciò che questo studio mostra è che occorre ancora capire meglio quali sono i meccanismi effettivi che guidano il declino cognitivo e che potrebbe trattarsi di qualcosa in più rispetto a una semplice scelta di anticoagulazione» ha detto Cheung. «Occorre valutare se è importante pensare al controllo del ritmo per alcuni pazienti, invece di concentrarsi solo sulle implicazioni dell’AF nel causare un ictus».

Fonte:
Caramelli B. Dabigatran versus warfarin on cognitive outcomes in nonvalvular atrial fibrillation: results of the GIRAF trial. AHA 2021.

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