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Osteoporosi: bene romosozumab per le forme primarie

Gli adulti con diabete di tipo 1 da almeno 25 anni hanno una densità minerale ossea (BMD) areale inferiore rispetto a quelli senza diabete

Osteoporosi: nuovi dati su romosozumab da uno studio presentato nel corso del congresso annuale dell’American Society for Bone and Mineral Research (ASBMR)

Il trattamento con romosozumab si associa ad un incremento di densità minerale ossea (DMO) e ad una riduzione del turnover osseo in pazienti affetti da osteoporosi primaria (P-OP) o concomitante alla presenza di artrite reumatoide (OP-AR). Queste le conclusioni di uno studio presentato nel corso del congresso annuale dell’American Society for Bone and Mineral Research (ASBMR), che si è tenuto due settimane fa a San Diego (California, Usa), che avvalora le documentazioni crescenti di efficacia del farmaco (già approvato a livello europeo e prossimo ad avere il via libera anche nel nostro Paese).

Romosozumab condivide con teriparatide la neosintesi di osso, ma con un meccanismo d’azione nettamente diverso. Teriparatide determina un aumento dell’attività osteoblastica ma, contemporaneamente, aumenta il turnover, per cui determina nel medio termine un aumento dell’attività osteoclastica che, alla lunga, è causa del plateau del processo di neoformazione ossea.

Rispetto ai farmaci antiriassorbitivi, invece, romosozumab condivide l’attività osteoclastica (per quanto molto blanda), differenziandosi però per il forte stimolo dell’attività osteoblastica, per cui l’effetto netto è la produzione di osso nuovo di grande qualità.  nel trattamento dell’OP.

Disegno e risultati
Entrando nei dettagli dello studio, sono stati inclusi nella sperimentazione clinica pazienti con P-OP e OP-AR che avevano un T score densitometrico (DMO) pari o inferiore a -2,5 a livello della colonna lombare o dell’anca e con una o più fratture vertebrali di grado moderato-severo o 2 o più fratture vertebrali di grado lieve.

Tutti i pazienti sono stati trattati con romosozumab 210 mg in somministrazione mensile per più di 6 mesi. I ricercatori hanno misurato la DMO e i T-score della colonna lombare e dell’anca, come pure alcuni marker di turnover osseo quali il propeptide N-terminale del procollagene I (PINP) e la fosfatasi acida 5b resistente a tartrato (TRAP-5b) nel corso dei 12 mesi di durata dello studio.

Su 48 pazienti (14 con OP-RA e 34 con P-OP), 47 erano di sesso femminile. L’età media dei pazienti dello studio era pari a 73,4±9,3 anni, con un BMI pari a 20,4±3,8 e un punteggio del rischio di frattura (FRAX) elevato 36,4±16,8. Nei pazienti con OP-RA, inoltre, l’AR era presente almeno da 19,9±16,4 anni (malattia di lungo corso).

Tra indici relativi all’AR nei pazienti con OP-RA vi erano un livello medio di CRP pari a 0,58±0,59, un punteggio di attività di malattia DAS28-CRP pari a 3,39±0,93, e un punteggio dell’indice di disabilità HAQ-DI pari a 1,63±0,94.

Quanto alle misurazioni iniziali legate all’osso, invece, avevamo, in media, per tutti i pazienti, un livello di PINP pari a 83,2±77,9; di TRACP-5b pari a 525±291; di DMO a livello della colonna lombare e dell’anca pari, rispettivamente a 0,79±0,15 g/cm2 e a 0,57 ± 0,08 g/cm2, di T-score di DMO a livello delle colonna lombare e dell’anca pari, rispettivamente, a -2,80±1,03 e a -3,04±0,62.

Passando ai risultati, nel corso di 12 mesi è stata documentata una riduzione dei livelli di TRAC-5b e un incremento dei livelli di PINP e di DMO (a livello lombare e dell’anca) rispetto alle condizioni di partenza.

Il tasso di riduzione di TRAC-5b dal basale a 1, 3, 6 e 12 mesi è stato pari, rispettivamente a  -19,4%±25,3%, -10%±31,6%, -8,9%±51,8%, e -11,6%±60,2%.  Quello di incremento di PINP dal basale a 1, 3, 6 e 12 mesi, invece, è stato pari, rispettivamente, a 105,2%±90,8%, 87,3%±100,7%, 66,5%±143,1%, e 30,8%±146,6%.

Il tasso di incremento di DMO a livello della colonna lombare dal basale a 6 e a 12 mesi è stato pari, rispettivamente, a 10,3%±7,3% e a 14,6%±9,9%.  Da ultimo, considerando la DMO a livello dell’anca, si è avuto un tasso di incremento dal basale a 6-12 mesi pari, rispettivamente, al 3,8%±5,6% e al 6,6%±7,8%.

Alla luce di questi risultati, concludono i ricercatori, si evince che romosozumab è particolarmente efficace in clinica nei pazienti con OP-AR e in quelli con OP-P per almeno un anno e che questa opzione terapeutica ha tutte le premesse per diventare un’importante opzione nel trattamento dell’OP.

Informazioni su romosozumab
Romosozumab un farmaco con un meccanismo di azione rivoluzionario, appartenente alla categoria dei farmaci cosiddetti “bone builder”, finalizzati al trattamento dell’OP.
Romosozumab condivide con teriparatide la neosintesi di osso, ma con un meccanismo d’azione nettamente diverso. Teriparatide determina un aumento dell’attività osteoblastica ma, contemporaneamente, aumenta il turnover, per cui determina nel medio termine un aumento dell’attività osteoclastica che, alla lunga, è causa del plateau del processo di neoformazione ossea.

Rispetto ai farmaci antiriassorbitivi, invece, romosozumab condivide l’attività osteoclastica (per quanto molto blanda), differenziandosi però per il forte stimolo dell’attività osteoblastica, per cui l’effetto netto è la produzione di osso nuovo di grande qualità. Il farmaco è già stato approvato a livello europeo e si attende il via libera anche nel nostro Paese.

Bibliografia
Kanayama Y, Tsuji T, Futamura N, Ota K, Watanabe T, Teresawa K, Maeda K. Clinical efficacy of romosozumab in patients with rheumatoid arthritis and primary osteoporosis for 12 months. Presented at: ASBMR Annual Meeting 2021; October 1-4, 2021; San Diego, CA. Abstract VPP-647.

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