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Long Covid: rischio dimezzato per i vaccinati

piano pandemico

I vaccinati hanno metà della probabilità di Long Covid rispetto ai non immunizzati: lo afferma il direttore dell’UOC Pneumologia del Gemelli

“Questa malattia sta creando una nuova categoria di pazienti, quelli che presentano residui danni funzionali, prevalentemente respiratori ma non solo, a distanza dall’evento acuto del Covid-19. Sono pazienti che in questo momento si stanno studiando in tutto il mondo”. Così alla Dire il professor Luca Richeldi, direttore UOC Pneumologia alla Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e ordinario di Malattie dell’Apparato Respiratorio all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Richeldi è intervenuto alla giornata di chiusura del 75esimo Congresso Nazionale Siaarti, ospitato alla ‘Nuvola’ di Roma, con la relazione dal titolo ‘Danno funzionale respiratorio residuo e bisogni sul territorio’. “In Italia – spiega l’esperto – questi pazienti sono seguiti nelle strutture ambulatoriali di Day-hospital, finanziate e create appositamente. Le sedi congressuali sono i luoghi migliori dove confrontarsi con i colleghi, in questo caso con i colleghi anestesisti rianimatori, per cercare di capire come affrontare al meglio un problema clinico posto da questo nuovo virus che prima non era noto“.

Analizzando le principali problematiche che si riscontrano in un paziente Long Covid, Richeldi ha informato che “questi pazienti riportano sintomatologie piuttosto varie. Come pneumologo, ovviamente, mi occupo di quelle respiratorie e i pazienti riferiscono una fatica a respirare, magari per sforzi che prima facevano senza accusare alcuna fatica: una rampa di scale, una passeggiata, la corsa della domenica. Spesso questo è sostanziato da un deficit funzionale misurato dalle prove di difficoltà respiratorie, in particolare al test di diffusione al monossido di carbonio”.

Richeldi ha poi spiegato che “c’è tutta un’altra serie di sintomi che riguardano altri apparati, dal sistema nervoso centrale a quello muscolare, fino all’affaticamento e alla cefalea. Sintomi che, ovviamente, devono anche loro essere presi in considerazione e per i quali si sta cercando di capire quali possano essere le strategie migliori di gestione”. L’esperto si è poi soffermato su come sia cambiata a distanza di un anno e mezzo la gestione di un paziente affetto da Covid, dichiarando che “oggi la gestione è cambiata perché intanto siamo più attrezzati, non siamo più in una situazione di emergenza, in cui ci siamo trovati sostanzialmente aggrediti da un nemico che non sapeva nemmeno di avere in casa. Abbiamo a disposizione le strutture ambulatoriali, abbiamo le strutture di ricovero, quelle di terapia intensiva, abbiamo nuovi farmaci, abbiamo i monoclonali, abbiamo farmaci che prima utilizzavamo e che ora non usiamo più, abbiamo strategie più conservative di ventilazione in questi pazienti. Quindi, certamente la situazione è migliorata e comunque si tratta di una situazione in corso che necessita di essere monitorata e presa in carico“.

Tra le armi a nostra disposizione c’è sicuramente il vaccino. La campagna vaccinale sta andando molto bene, eppure c’è una larga parte di popolazione che ancora non si vaccina. Come mai e come convincerla? “C’è ancora una residua parte della nostra popolazione che non si è convinta degli argomenti utilizzati finora – ha risposto Richeldi – speriamo lo faccia in futuro. Argomenti a favore dei vaccini ne escono abbastanza regolarmente. Ad esempio, per rimanere in tema, chi è vaccinato ha circa metà delle probabilità di avere una sindrome di Long Covid rispetto ai non vaccinati. Quindi, ancora una volta a dimostrazione che la protezione offerta dal vaccino è utile non solo per evitare i danni acuti ma anche quelli cronici. Dovrebbe essere un motivo di più per vaccinarsi, speriamo lo diventi nelle prossime settimane”.

Sulla terza dose di vaccino anti Covid-19, Richeldi come spiega la Dire (www.dire.it) ha tenuto a precisare che “la strategia vaccinale segue quella iniziale, che consiste nel proteggere prima chi è più a rischio. Dunque, in questo momento occupiamoci dei pazienti immunodepressi con co-patologie, degli anziani e degli operatori sanitari. Immagino che nei mesi a seguire anche per il resto della popolazione ci sarà la possibilità di fare una terza dose ma in questo momento non è una priorità, che consiste invece nel proteggere le persone più fragili o più a rischio”.

Il futuro della lotta al Covid-19 è anche la pillola antivirale? “Non lo sappiamo ancora – ha detto Richeldi – perché i dati sono stati annunciati dall’azienda produttrice ma non sono ancora stati resi disponibili alla comunità scientifica” e ha precisato che “sembrano comunque molto promettenti. Certamente sarebbe il primo farmaco studiato esplicitamente per questo virus. Sembrerebbe possa essere un’ulteriore arma per combattere la malattia. In questo momento più che promesse non ne abbiamo ma si tratta di promesse solide“, ha concluso il professore.

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