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Il tumore della vulva è raro ma non va trascurato

tumore della vulva

Tumore della vulva, è raro ma vietato trascurarlo: al Policlinico di Milano è stato attivato un percorso su misura per le pazienti

Il tumore della vulva è raro e rappresenta circa il 5% delle neoplasie al tratto genitale femminile. L’età media al momento della diagnosi è di 70 anni; un dato importante, perché le donne vivono sempre più a lungo e ciò porterà questo tumore a diventare forse più frequente. Raro, in ogni caso, non significa che lo si possa ignorare o trascurare: per questo ne parla Giovanna Scarfone, referente per i tumori ginecologici e in gravidanza alla Clinica Mangiagalli del Policlinico di Milano.

Quali sono i fattori che predispongono al tumore della vulva?

Possono essere diversi: l’età avanzata, una pregressa infezione da papillomavirus (HPV), o ad esempio alterazioni pre-cancerose (displasia) dei tessuti della vulva. Ci sono poi altre malattie che favoriscono l’insorgenza di un tumore vulvare: ad esempio il Lichen sclerosus, o tumori in altre sedi come vagina, cervice uterina o ano. Sono fattori di rischio anche il fumo di sigaretta, soprattutto se si fuma in modo importante, ma anche condizioni infiammatorie croniche dei genitali esterni, una immunodeficienza cronica e infine la malattia granulomatosa cronica, una malattia ereditaria che compromette il sistema immunitario.

Esiste anche una forma precoce, detta ‘pre-cancerosi’. A cosa è dovuta?

La pre-cancerosi per questo tumore si associa alla presenza dell’infezione da papillomavirus, dei ceppi n. 16 e 18 nella maggior parte dei casi. Di conseguenza la vaccinazione contro l’HPV oggi risulta essere l’arma migliore per la prevenzione del carcinoma della cervice uterina e può contribuire enormemente a ridurre l’incidenza anche del carcinoma della vulva HPV-correlato, che è più tipico nelle giovani donne (ma che è comunque raro sotto i 40 anni, a meno di patologie immunodepressive).

Quali sono i tipi di tumore alla vulva più frequenti?

L’istotipo più frequente è il carcinoma squamo cellulare (strato più superficiale della cute)  che rappresenta circa il 90% dei tumori maligni della vulva, il 5% è rappresentato da melanomi e il restante 5% da adenocarcinomi e carcinomi basocellulari.

Come ci si accorge di avere un tumore alla vulva? Ci sono sintomi o segni specifici?

La maggior parte dei casi di carcinoma della vulva è fortunatamente diagnosticata in una fase iniziale e la sede più frequente è a livello delle grandi labbra.

Si possono osservare lesioni uniche o multiple, qualche volta in concomitanza a neoplasie della cervice uterina (le lesioni HPV correlate). La sintomatologia è piuttosto atipica all’inizio e la donna può riferire qualche volta prurito, bruciore e irritazione. Le lesioni si presentano visivamente per lo più come noduli o come ulcere piatte.

Il dolore e il sanguinamento sono in genere riferiti dalla paziente in una fase avanzata, mentre difficoltà nella minzione e stipsi possono essere l’evoluzione di una patologia già severa.

Come per il melanoma che colpisce altre regioni del corpo, anche quello vulvare si presenta come un neo che cambia aspetto o che compare ex novo e presenta le caratteristiche tipiche dei nei maligni (asimmetria, bordi o colore irregolari, dimensioni che si modificano nel tempo).

Pertanto la diagnosi può essere inizialmente non facile, perché confusa con quella di altre patologie benigne più frequenti. In ogni paziente con sospetto di carcinoma della vulva la diagnosi dovrebbe essere stabilita attraverso una biopsia con incisione o mediante punch (è una biopsia cutanea mini-invasiva, che preleva un campione cilindrico di cute e sottocute). La biopsia cosiddetta escissionale, invece, dovrebbe essere evitata per la diagnosi iniziale perché potrebbe ostacolare la pianificazione per ulteriori trattamenti.

E’ sempre raccomandata la valutazione clinica oltre che della vulva anche di  cervice, vagina e ano con approfondimenti di secondo livello (vulvoscopia,colposcopia, anoscopia). Per questa prima fase, al Policlinico di Milano sono attivi degli specifici ambulatori che sono dedicati sia alla prevenzione sia alla diagnosi.

In caso sia presente il tumore, e una volta raggiunta la diagnosi istologica grazie alla biopsia, è necessario eseguire la stadiazione della malattia che si basa sulle dimensioni, la sede, l’eventuale coinvolgimento dei linfonodi vicini e la presenza di eventuali metastasi, attraverso esami specifici come la TAC/PET o la risonanza magnetica (RMN).

Quali sono le terapie disponibili?

Negli stadi iniziali (tumore uguale o inferiore a 2 cm), e se gli esami clinico-strumentali sono negativi per una neoplasia anche a distanza o con estensione loco regionale (cioè quando ad esempio sono coinvolti i linfonodi) il trattamento migliore consiste nella escissione locale radicale di malattia: significa asportare completamente la lesione (vulvectomia parziale/totale), assicurandosi di avere un margine di almeno 1 cm libero da tumore all’esame istologico.

Per gli stadi più avanzati (tumore maggiore di 2 cm) è anche indicato un intervento chiamato dissezione inguinale mono o bilaterale (linfadenectomia). In questo stadio è utile e raccomandato lo studio dei linfonodi con la metodica del “linfonodo sentinella”. Gli stadi che presentano anche delle metastasi (ovvero, la malattia si è diffusa anche in altre sedi) meritano una consulenza multidisciplinare per determinare la scelta ottimale e l’ordine delle differenti modalità di trattamento; in genere i casi giudicati non operabili sono trattati con chemioterapia e/o radioterapia.

Al Policlinico di Milano è attivo un percorso personalizzato per la paziente affetta da carcinoma vulvare che prevede la diagnosi, la consulenza oncologica e il trattamento secondo le linee guida internazionali.

Che cos’è il linfonodo sentinella?

E’ una metodica che nasce per circoscrivere ed evitare maggiori complicanze chirurgiche in tumori come quello alla mammella e in quelli della testa e del collo. Di recente è stata raccomandata anche in altre patologie tumorali, tra cui  il carcinoma della vulva.

Si utilizza una sostanza tracciante radiomarcata nella fase che precede l’intervento chirurgico di rimozione del tumore. Questa sostanza è in grado di dirci se vicino al tumore c’è un linfonodo che sia interessato dalla malattia o meno,in genere il primo coinvolto nella diffusione. Questo può guidare il chirurgo nella scelta di procedere o meno con un intervento più radicale di asportazione dei linfonodi (perché il linfonodo sentinella è positivo, quindi la malattia un po’ più estesa) oppure no (il linfonodo sentinella è negativo, e quindi la malattia è più contenuta).

La biopsia del linfonodo sentinella è raccomandata nelle pazienti con tumori in un’unica sede, con dimensioni inferiori ai 4 cm anche in assenza di linfonodi inguinali sospetti.

Qual è la prognosi per questa patologia?

Se la diagnosi è precoce, e quindi la malattia è ancora allo stadio iniziale, 3 donne su 4 non presentano più alcun segno di tumore a distanza di 5 anni. Tanto più il tumore è invece avanzato (maggiore è la sua diffusione), tanto più bassa è la percentuale di sopravvivenza a distanza di 5 anni dalla diagnosi e dal trattamento, arrivando a circa il 15% per gli stadi IV. Anche per questo, prevenzione e diagnosi precoce sono sempre aspetti determinanti per poter contare su una prognosi più favorevole.

FONTE: POLICLINICO MILANO

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