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Bpco: diagnosi precoce e fenotipizzazione fondamentali

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Bpco e appropriatezza terapeutica: l’importanza dell’emersione precoce e della fenotipizzazione della malattia

La Bpco è considerata come una delle cause principali di morbilità e mortalità a livello mondiale. Eppure, ancora oggi, la sua diagnosi appropriata rappresenta un problema: come ricordano, infatti, studi di popolazione condotti negli Usa, in Sudamerica, in Europa, Australia e nel continente asiatico, una proporzione di adulti pari al 10-12%, di età uguale o superiore a 40 anni, mostra evidenze di una limitazione persistente delle vie aeree respiratorie alla spirometria, mentre solo una percentuale di individui compresa tra il 20-30% ha ricevuto diagnosi di Bpco.

Tali studi, nel complesso, suggeriscono che una proporzione di casi di Bpco molto rilevante (si parla di un 70%), a livello globale, potrebbe risultare non diagnosticata o diagnosticata tardivamente (1,2).

Focalizzando l’attenzione sul ritardo della diagnosi di questa condizione, questo dipenderebbe principalmente da una sottovalutazione iniziale della sintomatologia respiratoria (tosse e dispnea), derubricata a conseguenza “fisiologica” del fumo di sigaretta sia da parte del paziente stesso che da parte del medico di famiglia.

“E’ la sintomatologia della Bpco e, in particolare la dispnea da sforzo – spiega a Pharmastar il dott. Andrea Recanatini (SOD Pneumologia, Ospedali Riuniti, Ancona) – che, per il suo carattere così aspecifico, lentamente progressivo e tardivo, mette in difficoltà il clinico che può essere portato, erroneamente, a pensare che il sintomo sia riferibile all’età o alla sedentarietà piuttosto che ad una Bpco cronico progressiva in atto”.

A ciò si aggiunge un adattamento inconscio del paziente, che si adatta alla mancanza di respiro indotta dallo sforzo attraverso una riduzione dell’attività fisica necessaria all’espletamento delle attività normali quotidiane allo scopo di evitare o ridurre l’intensità del sintomo (fig.1) (3). La fatigue, un altro sintomo importante di frequente riscontro nella Bpco, porta ad una riduzione ulteriore dell’attività fisica. La riduzione dei livelli di espletamento delle attività quotidiane, ottenuta mediante adozione di uno stile di vita più sedentario porta, a sua volta, ad ulteriore decondizionamento fisico, che aggrava la dispnea in una sorta di circolo vizioso.

“Ecco, dunque – aggiunge Recanatini alla luce di quanto sopra esposto – che il riconoscimento della patologia dovrebbe passare non più tanto attraverso non l’identificazione del sintomo ma, di al sospetto derivante dai motivi in ragione dei quali il paziente sta riducendo la sua attività fisica”.

L’entità della riduzione dello svolgimento delle normali attività quotidiane, osservata nei pazienti con Bpco, è stata recentemente determinata sulla base di studi che hanno utilizzato sensori di movimento: è emerso che questi pazienti, nel corso della giornata, trascorrono meno tempo nell’attività di deambulazione rispetto agli individui sani di pari età (4).

Dato che il declino funzionale, almeno nelle prime fasi di malattia, non si accompagna a sintomatologia respiratoria intensa, il paziente che arriva a percepirne la presenza e a ricevere diagnosi di malattia si caratterizza già per la perdita di una quota rilevante della funzione respiratoria (5).

Soluzioni possibili per ridurre l’incidenza di sottodiagnosi e i ritardi diagnostici di Bpco (1)
Spetta al medico di famiglia e specialista, oltre che allo specialista pneumologo in primis, individuare precocemente i pazienti affetti da Bpco sin dalle fasi iniziali. A tal, proposito, è stato recentemente proposto un approccio “case finding” come possibile soluzione per identificare gli individui a rischio elevato di Bpco e/o quelli sintomatici non ancora diagnosticati. Questo si basa sull’impiego di questionari (come, ad esempio, il questionario GOLD) (fig.2) e del ricorso alla spirometria ambulatoriale per aumentare la possibilità di intercettare tempestivamente un caso di Bpco, rendendo possibile e raggiungibile l’obiettivo del trattamento tempestivo e appropriato della malattia che, come è noto (v. avanti), è eterogenea e necessita di trattamenti diversi a seconda del paziente che si ha di fronte.

Bpco: una malattia eterogenea che va trattata opportunamente a seconda del fenotipo
La Bpco è una condizione clinica che si caratterizza per una eterogeneità elevata. Ne consegue che, a fronte della caratteristica comune, condivisa da tutti i pazienti affetti da questa patologia, della presenza della stessa alterazione dei parametri funzionali, le persone affette da Bpco possono differenziarsi tra loro per il riscontro di profili diversi del quadro clinico (storia di riacutizzazioni, presenza di enfisema, fibrosi, sintomatologia percepita). Di qui la necessità di effettuare una diagnosi precoce di malattia per instaurare, fin da subito, il trattamento più appropriato per il singolo paziente, in rispondenza con i criteri sempre più accettati della medicina di precisione.

Pur essendo noto che le riacutizzazioni rappresentano gli eventi chiave nella Bpco, la comprensione della loro frequenza, dei fattori che le determinano e dei loro effetti ha reso possibile la fenotipizzazione dei pazienti con Bpco.

Uno studio condotto da Hurst e coll (6) ha passato in rassegna i dati di ECLIPSE (Evaluation of COPD Longitudinally to Identify Predictive Surrogate Endpoints), un ampio studio osservazionale, al fine di analizzare l’ipotesi dell’esistenza di un fenotipo di Bpco con riacutizzazioni frequenti indipendente dalla gravità di malattia. Dall’analisi dei dati, si è arrivati all’identificazione e alla quantificazione, sostanzialmente, di due fenotipi di pazienti con Bpco:
– Fenotipo di “riacutizzatore frequente” (quasi il 30% dei pazienti con Bpco), caratterizzato da elevata suscettibilità alle riacutizzazioni di malattia
– Fenotipo “prevalentemente dispnoico” (quasi il 70% dei pazienti con Bpco), caratterizzato assenza di storia importante di riacutizzazioni

Cenni sulla terapia nei due fenotipi
“Il paziente prevalentemente dispnoico – sottolinea ai nostri microfoni il dott. Recanatini – va trattato cercando la massima palliazione possibile rispetto al sintomi. Ciò significa che il paziente con Bpco, nel momento in cui aumenta la frequenza respiratoria, cioè il numero di atti respiratori al minuto, va incontro ad un fenomeno ben descritto che si chiama iperinsufflazione dinamica e che è alla base della sua intolleranza allo sforzo. (…) La riduzione di attività fisica conseguente. (…). A questo fenomeno dell’iperinsufflazione dinamica si oppongono i broncodilatatori che hanno proprio lo scopo di ridurre questo fenomeno e permettere al paziente di recuperare un livello di attività adeguato rispetto al sintomo”.

Le linee guida GOLD, alla luce delle evidenze disponibili, ribadiscono il concetto del trattamento appropriato per il paziente giusto, raccomandando il ricorso alla terapia inalatoria con broncodilatatori come opzione di trattamento di prima linea nei pazienti sintomatici e con limitazione del flusso aereo (7). Nei pazienti “riacutizzatori”, invece, lo steroide inalatorio, associato al broncodilatatore, ha dimostrato un beneficio aggiuntivo significativo rispetto al solo broncodilatatore – beneficio che può essere ulteriormente implementato con l’aggiunta di un ICS alla broncodilatazione doppia LAMA-LABA (terapia triplice).

Broncodilatazione nella Bpco: doppia è meglio che singola
I documenti GOLD, ATS e NICE (7-9) concordano nell’indicare la presa in considerazione o la raccomandazione (come nel documento ATS) al trattamento con doppia broncodilatazione LABA/LAMA, rispetto alla terapia con singolo broncodilatatore, dei pazienti dispnoici gravi e con scarsa tolleranza all’esercizio fisico (dove la singola broncodilatazione potrebbe non rivelarsi sufficiente).

E’ in questa direzione che vanno i risultati dello studio EMAX (Early MAXimisation of brochodilatation for improving COPD stability) (10), un trial clinico in doppio cieco, a gruppi paralleli, della durata di 24 settimane, condotto su oltre 2.400 pazienti con Bpco a rischio basso di riacutizzazione, non trattati con ICS e randomizzati a trattamento giornaliero con umeclidinio/vilanterolo 62,5/25 mcg, umeclidinio 62,5 mcg/die oppure salmeterolo 50 mcg bis die.

L’endpoint principale dello studio era rappresentato dalla FEV1 “a valle” a 24 settimane, Tra i vari endpoint secondari, invece, vi erano il miglioramento della dispnea (intercettato dall’indice di Transizione della Dispnea), altri parametri spirometrici, la sintomatologia percepita, lo stato di salute e il peggioramento a breve termine delle condizioni di salute, misurato dall’endpoint composito del deterioramento clinicamente importante (CID), individuato in base alle tre definizioni seguenti:
– Prima riacutizzazione moderata/severa e/o riduzione della FEV1 “a valle” dal basale >100 ml e/o deterioramento dello stato di salute utilizzando il questionario SGRQ (≥4 unità rispetto al basale)
– Come la definizione precedente con la sostituzione del deterioramento dello stato di salute in base all’indice CAT (≥2 unità rispetto al basale)
– Assenza del riscontro di FEV1 come nelle definizioni precedenti e aggiunta di TDI

I risultati complessivi dello studio hanno dimostrato i vantaggi della doppia broncodilatazione LABA/LAMA rispetto ai singoli broncodilatatori dal punto di vista funzionale e sintomatologico, oltre che sulla capacità vitale forzata e sulla capacità inspiratoria, ad indicare una maggiore capacità di desufflazione del paziente: considerando l’endpoint primario, la variazione dal basale a 24 settimane della FEV1 “a valle” è stata di 66 ml (IC95%= 43-89) e di 141 ml (IC95%= 118-164) maggiore con UMEC/VI vs. UMEC da solo e con UMEC/VI vs. salmeterolo, rispettivamente (p<0,001 in entrambi i casi) (fig.3) (11). Tale vantaggio si è mantenuto in tutti i timepoint considerati.

Inoltre, la doppia broncodilatazione si è dimostrata superiore alle singole monoterapie anche in relazione all’indice TDI e agli altri sintomi. Inoltre, indipendentemente dalla definizione di CDI adoperata, la doppia broncodilatazione a base di UMEC/VI ha ridotto in modo significativo il rischio di un primo deterioramento clinicamente importante rispetto ad UMEC da solo (16-25%; p<0,01) e salmeterolo (26-41%; p<0,001) (fig.4).

Da ultimo, sul fronte della safety, i risultati dello studio hanno documentato la buona tollerabilità di tutti i trattamenti utilizzati, in assenza di differenze di eventi avversi tra la doppia broncodilatazione e i trattamenti monoterapici.

Si segnala, infine, che quasi il 30% dei pazienti reclutati nel trial era naive alla terapia di mantenimento, a suggerire come il maggior beneficio della doppia broncodilatazione si era manifestato in pazienti sottoposti a trattamento precoce con questa combinazione di farmaci.

Riassumendo
In conclusione, la Bpco è una patologia eterogenea, con diversi fenotipi di pazienti che andrebbero trattati, secondo le evidenze cliniche esistenti, con trattamenti appropriati, nell’ottica della medicina di precisione (farmaco giusto per il paziente giusto). Di qui la necessità di diagnosticare precocemente il paziente per trattarlo tempestivamente nel modo più appropriato, anche se, ancora oggi, esistono problemi di sottodiagnosi importanti in quanto la Bpco è una malattia con pochi sintomi ai primi stadi, spesso confusa con l’invecchiamento e conseguenza del fumo (di qui la necessità di affinare le capacità diagnostiche, unendo ai questionari la spirometria per rendere fattibile il soddisfacimento dell’obiettivo della diagnosi precoce e del trattamento tempestivo).

A questo riguardo, il dott. Recanatini ha sottolineato che”…tanto più precocemente si pone  diagnosi di Bpco e si inizia il trattamento, tanto più quel paziente sarà in grado di mettere in atto l’unica strategia preventiva importante che ne impedisce la progressione da malato a invalido, cioè l’attività fisica. Esistono delle evidenze incontrovertibili secondo le quali il principale fattore prognostico in un paziente con Bpco è il suo livello di attività e alcune di queste evidenze suggeriscono, in effetti, l’esistenza di una correlazione lineare dose-risposta tra attività fisica e prognosi/mortalità. Pertanto, se  si identifica precocemente il paziente e gli si somministra la terapia adeguata relativamente al fenotipo in fase precoce, si riesce a metterlo in condizione di raggiungere “un margine” di beneficio tale da prevenire la progressione naturale dal suo stato di “malato” allo stato di “invalido”, che è tipico delle patologie cronico-progressive come la Bpco”.

Esistono, fondamentalmente, due tipologie (fenotipi) di pazienti con Bpco: i frequenti riacutizzatori e quelli dove la dispnea è il tratto rilevante. I broncodilatatori rappresentano la terapia di prima linea nella Bpco: nel fenotipo prevalentemente dispnoico (non esacerbante), in presenza di sintomatologia importante e scarsa tolleranza all’esercizio fisico, è consigliabile ricorrere alla doppia broncodilatazione LABA/LAMA rispetto alla monoterapia con singolo broncodilatatore.

Gli studi condotti con la combinazione UMEC/VI hanno dimostrato la capacità di questa combinazione farmacologica di indurre benefici superiori, preservando l’attività fisica del paziente e rallentando la progressione della sintomatologia rispetto alle monoterapie.

Bibliografia
1. Diab N et al., Underdiagnosis and Overdiagnosis of Chronic Obstructive Pulmonary Disease. Am J Respir Crit
Care Med 2018; 198 (9): 1130–1139
2. Almagro and Soriano. Underdiagnosis in COPD: a battle worth fighting. Lancet Resp Med 2017
3. Reardon JZ, Lareau SC, ZuWallack R. Am J Med 2006: 119; S32-S37
4. ZuWallack R. COPD 2007: 4; 293–297.
5. Sutherland ER & Cherniack RM. N Engl J Med 2004; 350: 2689–2697
6. Hurst et al, N Engl J Med 2010;363:1128-38
7. GOLD 2021, (https://goldcopd.org/gold-reports/)
8. ATS 2020, (https://www.atsjournals.org/doi/10.1164/rccm.202003-0625ST)
9. NICE 2020. (https://www.nice.org.uk/terms-and-conditions#notice-ofrights)
9. Nici L et al., Am J Respir Crit Care Med 2020; 201 (9): e56-e69 (ATS)
10. Maltais F, et al. Respir Res. 2019; 20:238 (Emax)

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