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Sunitinib rallenta il feocromocitoma/paraganglioma

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Feocromocitoma/paraganglioma progressivo maligno: sunitinib ritarda la progressione di malattia secondo un nuovo studio

Nei pazienti con feocromocitoma/paraganglioma progressivo maligno, il trattamento con sunitinib ha allungato la sopravvivenza libera da progressione (PFS) a un anno.

Lo dimostrano i risultati dello studio di fase 2 FIRSTMAPPP (NCT01371201), multicentrico internazionale, randomizzato, in doppio cieco, contro placebo, che sono stati presentati durante il congresso della European Society for Medical Oncology (ESMO).

Infatti, a un anno dall’inizio della terapia, i pazienti senza segni di progressione sono risultati quasi il doppio (35,9%) nel gruppo trattato con sunitinib rispetto al gruppo di confronto trattato con placebo (18,9%).

Tumore raro
Il feocromocitoma/paraganglioma progressivo maligno è un tumore molto raro con un’incidenza annuale inferiore a un caso per milione. Si tratta di tumori altamente vascolarizzati che originano dalle cellule della porzione midollare del surrene o dalle cellule dei paragangli, e sono caratterizzati da una forte espressione di VEGF, PDGF e VEGFR-1/2.

Nel presentare i risultati del primo studio accademico che ha valutato l’efficacia di sunitinib rispetto al placebo nei pazienti con feocromocitoma/paraganglioma progressivo maligno, Eric Baudin, del Dipartimento di oncologia endocrina del Gustave Roussy di Parigi, nonché primo autore della pubblicazione, ha dichiarato: «Insieme a un team di esperti e di ricercatori traslazionali, abbiamo scelto sunitinib come primo farmaco da studiare in questa patologia. Il disegno e il metodo clinico sono stati definiti sulla base della tossicità estrema per questo tumore, della compatibilità con l’ipertensione ormone- e farmaco-correlata, del comportamento di questi tipi di tumori e dell’assenza di standard».

Lo studio FIRSTMAPPP
Lo studio FIRSTMAPPP ha arruolato pazienti con feocromocitoma/paraganglioma progressivo maligno non resecabile, stratificati per stato del gene SDHB e per linea di trattamento, e assegnati secondo un rapporto di randomizzazione 1:1 al trattamento con sunitinib 37,5 mg al giorno o un placebo.

I principali criteri di inclusione erano la presenza di malattia metastatica, criteri RECIST 1.1 valutabili e la progressione entro 18 mesi prima della randomizzazione secondo i criteri  RECIST.

Sono stati, invece, esclusi dall’arruolamento pazienti con ipertensione non controllabile, funzionalità cardiaca alterata o trattati in precedenza con un qualsiasi inibitore delle tirosina chinasi (TKI) o un inibitore dell’angiogenesi anti-VEGF.

I pazienti sono stati sottoposti a valutazione ogni 12 settimane e al momento della progressione potevano passare dal braccio di controllo al braccio sperimentale.

L’endpoint primario dello studio era la sopravvivenza libera da progressione (PFS) a 12 mesi, valutata mediante revisione centrale in tempo reale.

Gli endpoint secondari includevano la sopravvivenza globale (OS), la PFS totale, il tempo alla progressione, la durata della risposta e la sicurezza.

Sono stati inoltre definiti obiettivi esplorativi dello studio predittori e surrogati (sintomi, stato genetico, FDG-PET, imaging convenzionale, ormoni, qualità della vita e sicurezza), la risposta ormonale e la gestione cardiovascolare.

PFS quasi tre volte superiore con sunitinib
In 8 anni, sono stati arruolati nello studio 78 pazienti. Complessivamente, il 32% dei pazienti era portatore di una mutazione di SDHB, il 40% non aveva ricevuto terapie precedenti, il 40% soffriva di ipertensione e il 60% aveva metastasi ossee.

Il follow-up mediano è stato di 27,2 mesi.

La durata mediana della terapia è stata di 11 mesi (range: 0-37) nel braccio sperimentale, rispetto a 4 mesi nel braccio con placebo (range: 0-35) e l’87% dei pazienti del braccio di controllo è andato incontro a progressione ed è passato quindi al trattamento con sunitinib.

Nel braccio dei pazienti in trattamento con sunitinib la PFS mediana è risultata di 8,9 mesi (IC al 95% 5,5-12,7), rispetto a 3,6 mesi (IC al 95% 3,1-6,1) nel braccio di controllo.

Dei 12 pazienti portatori di mutazioni del gene SDHB trattati con sunitinib, sei hanno raggiunto una risposta parziale (50%), quattro una stabilizzazione della malattia (33%), mentre due pazienti hanno mostrato segni di progressione (17%).

I dati di sicurezza
Dal punto di vista della sicurezza, in entrambi i bracci il 61% dei pazienti (48) ha manifestato un evento avverso di grado 3 o superiore, il 72% (28 pazienti) nel braccio sperimentale e il 51% (20 pazienti) nel braccio di controllo. Gli eventi avversi di grado ≥ 3 osservati sono stati astenia/affaticamento (18% nel braccio con sunitinib contro 3% nel braccio di controllo), ipertensione (10% contro 6% rispettivamente), e dolore osseo (0% contro 10% rispettivamente).

I pazienti che a causa di eventi avversi hanno interrotto il trattamento sono stati il 14% nel braccio trattato con sunitinib, contro lo 0% nel braccio trattato con il placebo, mentre quelli per i quali si è resa necessaria una riduzione di dose sono stati rispettivamente il 59% e il 13%.

Nel braccio trattato con sunitinib si sono verificati eventi con esito fatale in tre pazienti (emorragia rettale e metastasi ossee delle pelvi, insufficienza respiratoria e carcinomatosi peritoneale); tuttavia, solo un decesso è risultato correlato al farmaco (emorragia rettale), mentre nel braccio di controllo è stato registrato un decesso dovuto a ischemia cerebrovascolare.

Possibile cambiamento della pratica clinica
«Questo è il più alto livello di evidenza mai raggiunto in questo tumore molto raro», ha commentato Baudin. «Se sunitinib diverrà un’opzione terapeutica, cambierà la pratica clinica, con le più solide evidenze di attività antitumorale nel feocromocitoma e nel paraganglioma metastatico in progressione».

Rocio Garcia-Carbonero, della Gastrointestinal Tumor Unit dell’Hospital Universitario Doce de Octubre di Madrid, esperta invitata a discutere i dati dello studio, è stata concorde nell’affermare che i dati potrebbero in futuro cambiare la pratica clinica per questa popolazione di pazienti.

«Penso che questo sia uno studio positivo; sunitinib è attivo in questi pazienti. L’efficacia è particolarmente rilevante nei tumori SDHB-mutati, ma non solo. La sicurezza sembra essere accettabile e gestibile. Così, questo è il primo e più grande studio mai condotto nel feocromocitoma e paraganglioma metastatico maligno», ha detto l’esperta.

«Questo è il più alto livello di evidenza mai raggiunto in questo tumore molto raro. È all’altezza di tutte le opzioni di trattamento sistemico presenti nelle linee guida cliniche. E sono d’accordo con il dottor Baudin, sta cambiando la pratica clinica. Sunitinib è diventato l’opzione terapeutica con la più solida e robusta evidenza di attività antitumorale che abbiamo visto fino ad oggi».

Bibliografia
Baudin E, et al. First International Randomized Study in Malignant Progressive Pheochromocytoma and Paragangliomas (FIRSTMAPPP): An academic double-blind trial investigating sunitinib. Annals of Oncology (2021) 32 (suppl_5): S621-S625. 10.1016/annonc/annonc700 Link

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