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Golpe militare in Sudan: nel Paese regna il caos

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Golpe in Sudan, Carter (Refugee Council): “A Khartoum regna l’incertezza”. Il dirigente ong alla Dire: “La priorità è sostenere cittadini che hanno bisogno”

“Incertezza” ma “tutto sommato” una certa calma pervadono in queste ore Khartoum, la capitale del Sudan, dove la priorità è che, qualsiasi cosa accada, “sia possible continuare a sostenere le 13 milioni di persone che in tutto il Paese hanno bisogno di assistenza umanitaria”. Lo dice all’agenzia Dire (www.dire.it) William Carter, responsabile della ong Norwegian Refugee Council (Nrc) nel Paese africano. Il responsabile è stato raggiunto telefonicamente nella capitale a pochi minuti dall’annuncio con il quale il generale Abdel Fattah Al-Burhan ha sciolto il Consiglio sovrano, di cui era a capo, e il governo. Il generale ha sospeso anche l’amministrazione dei governatori locali, dichiarando lo Stato di emergenza e convocando elezioni per il luglio 2023.

Poche ore prima delle dichiarazioni del generale, i militari hanno costretto agli arresti domiciliari il primo ministro Abdalla Hamdok, arrestando anche diversi ministri, esponenti dell’ala civile della transizione e leader degli ex gruppi armati firmatari di una accordo di pace. Il premier, confinato nella sua abitazione, ha fatto appello alla resistenza pacifica, mentre 17 sindacati del Paese, racchiusi nell’Associazione dei professionisti sudanesi (Spa), hanno invocato una mobilitazione e uno sciopero nazionali.

Nella capitale sono iniziati i cortei e, stando a quanto riferiscono i media locali citando un’associazione di medici, almeno dodici persone risultano ferite in scontri con le forze di sicurezza. Il sito di monitoraggio delle rete internet Netblocks segnala blocchi alle telecomunicazioni e al web, mentre il corrispondente dell’emittente regionale Al Jazeera riporta la notizia della chiusura di tutti i punti di accesso principali alla capitale da parte dei golpisti.

L’annuncio di Al-Burhan, un’ascesa nelle forze armate durante il trentennale governo dell’ex presidente Omar Al-Bashir, al potere tra il 1989 e il 2019, sembra mettere fine a una fase della transizione iniziata due anni fa. I due organismi sciolti da Al-Burhan erano infatti le anime della nuova stagione politica cominciata in Sudan dopo la rivolta popolare e l’intervento dell’esercito che nell’aprile 2019 avevano messo fine al potere dell’ex capo di Stato. Lo stesso organism presieduto da Burhan, composto da civili e militari e gestito a fasi alterne da rappresentanti di questi due settori, ne era l’emblema. Cosa attenda il Paese africano, dice ora Carter, “è difficile da prevedere”. Secondo il dirigente dalla ong con sede a Oslo però, da qualche tempo “era chiaro che qualcosa stave succedendo”.

L’ultimo mese in Sudan è stato segnato da un tentativo di colpo di Stato fallito, a fine settembre, a causa di proteste e dissidi tra civili e militari, con proteste e manifestazioni dei sostenitori di entrambe le parti. Il Paese vive inoltre una generale crisi economica e di approviggionamento di beni essenziali e carburante. Quest’ultima è a sua volta provocata dai blocchi alle infrastrutture – tra cui figura il fondamentale hub di Port Sudan – organizzati da alcune comunità che vivono nell’est del Paese, che chiedono maggior riconoscimento e autonomia da Khartoum.

“La priorità è poter continuare ad assistere i più vulnerabili e le 13 milioni di persone che nel Paese hanno bisogno” su un totale di 43 milioni di abitanti, dice Carter. In un comunicato il Norwegian Refugee Council ha inoltre esortato la comunità internazionale a “non abbandonare il Paese africano”.

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