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Sindrome coronarica acuta: evolocumab aiuta la placca

Uno studio pubblicato su PLOS Medcine suggerisce che anche basse dosi di glucocorticoidi possono aumentare il rischio di malattie cardiovascolari

Sindrome coronarica acuta: evolocumab migliora la stabilità della placca secondo i dati dello studio di fase III HUYGENS

Al congresso europeo di cardiologia sono stati annunciati i dati positivi dello studio di fase III HUYGENS che dimostrano come evolocumab in aggiunta alla terapia statinica ottimizzata aumenti in modo significativo le caratteristiche di stabilità della placca nei pazienti con malattia arteriosa coronarica (CAD, coronary artery disease), rispetto alla sola terapia statinica.

Gli eventi cardiaci sono spesso la conseguenza della rottura di una placca vulnerabile. La caratteristica principale della placca vulnerabile è un grande nucleo lipidico centrale con un sottile cappuccio fibroso che funge da parete o barriera che la mantiene integra.

“Per migliorare la prognosi dei pazienti con sindrome coronarica acuta è fondamentale ottenere la stabilità della placca – afferma il dott. Giuseppe Musumeci, Direttore Cardiologia, Ospedale Mauriziano, Torino – non solo di quella che ha causato l’evento acuto, ma anche delle altre placche presenti nell’albero coronarico. La stabilità della placca aterosclerotica può essere garantita dalla riduzione del colesterolo. Più riusciamo a ridurre il colesterolo LDL, maggiori sono le possibilità di stabilizzare la placca fino a una regressione della stessa. È fondamentale intervenire subito; riuscire a diminuire il colesterolo LDL nella fase post-acuta garantisce l’immediato blocco della progressione della placca favorendone la stabilizzazione. I dati dello studio HUYGENS sono importanti, perché dimostrano chiaramente che la significativa riduzione dei valori di LDL ottenuta con evolocumab si associa ad una stabilizzazione delle placche verosimilmente riducendo quindi il rischio di eventi successivi.”

Lo studio HUYGENS ha valutato se evolocumab, in aggiunta alla terapia statinica, potesse aumentare lo spessore del cappuccio fibroso, così da migliorare la stabilità della placca stessa.

Lo studio ha soddisfatto il suo endpoint primario: evolocumab in aggiunta alla terapia statinica ottimizzata ha infatti dimostrato di aumentare lo spessore del cappuccio fibroso di 42,7 µm (micron) rispetto a un aumento di 21,5 µm con la sola terapia statinica ottimizzata (75% versus 39%; p=0,01), come misurato mediante tomografia a coerenza ottica (OCT, optical coherence tomography). Con l’aggiunta di evolocumab lo spessore del cappuccio fibroso è quindi raddoppiato rispetto alle sole statine. Evolocumab ha anche migliorato tutti gli endpoint secondari dello studio, inclusa la riduzione dell’arco lipidico fino a -57,5° rispetto a -31,4° (p=0,01), come misurato mediante OCT.

“La maggior parte delle sindromi coronariche acute è causata dalla rottura della placca e coloro che hanno avuto un infarto sono particolarmente vulnerabili a ulteriori episodi di rottura di placca, a dimostrazione dell´importanza dello spessore del cappuccio fibroso per contribuire a stabilizzare le placche”, ha affermato Stephen J. Nicholls,  professore di Cardiologia e direttore del Monash University Victorian Heart Institute di Melbourne (Australia), nonché primo autore dello studio HUYGENS. “Questi incoraggianti risultati riaffermano il potenziale di evolocumab ed evidenziano i benefici della molecola nei pazienti con SCA che hanno iniziato il trattamento precocemente”.

I risultati dello studio randomizzato di 52 settimane – condotto in doppio cieco in pazienti con SCA in terapia statinica ottimizzata – dimostrano che il trattamento con evolocumab, iniziato entro una settimana dall’evento SCA, ha ridotto il C-LDL da 140 a 28 mg/dl (-80%) rispetto alla riduzione da 142 a 87 mg/dl (-39%) ottenuta con la sola ottimizzazione della terapia statinica. Non sono stati identificati nuovi rischi per la sicurezza. Gli eventi avversi più comuni emersi durante il trattamento (>3%) sono stati angina pectoris, mialgia, ipertensione, diarrea, astenia e tosse.

Dati che arricchiscono e completano evidenze di studi precedenti.
“Lo studio Glagov aveva dimostrato come l’impiego di evolocumab, terapia in grado di abbassare la colesterolemia LDL a valori impensabili fino a qualche anno fa, potesse ridurre il volume delle placche aterosclerotiche coronariche. Afferma Francesco Prati, Professore, Primario di Cardiologia, Azienda Ospedaliera San Giovanni – Addolorata, Roma e Presidente del Centro per la Lotta contro l’Infarto. Si tratta di un’osservazione importante che in parte giustifica i dati validi che si sono ottenuti con lo studio Fourier basati sull’ impiego di evolocumab in aggiunta ad una terapia ipolipemizzante ottimale.”
Continua il prof. Prati investigator principale dello studio per l’Italia “Lo studio HUYGENS ha fornito ulteriori informazioni e ha spiegato in modo più chiaro le modalità con cui l’abbassamento della colesterolemia con evolocumab migliori i risultati clinici. Importanti lavori di ricerca, resi possibili anche grazie all’esperienza dei ricercatori italiani sull’impiego della tecnica OCT, con la quale lo studio è stato condotto, ha permesso di mettere a punto il protocollo, definire con chiarezza come misurare le variazioni del contenuto di colesterolo delle placche aterosclerotiche e come rilevare lo spessore del cappuccio fibroso”.

Sebbene lo studio clinico HUYGENS non abbia valutato gli esiti cardiovascolari, i risultati confermano ulteriormente le evidenze positive a supporto del profilo clinico di evolocumab. I risultati di HUYGENS aggiungono approfondimenti di rilevo alla comprensione della biologia della placca e contribuiscono al tempo stesso a confermare l’importanza di avviare la terapia con evolocumab subito dopo un infarto. Cinquanta studi clinici – condotti su oltre 47.000 pazienti randomizzati a ricevere evolocumab o placebo – hanno dimostrato i benefici clinici di evolocumab, che comprendono la riduzione degli infarti miocardici e ictus, una rapida (entro quattro settimane) e drastica riduzione del colesterolo LDL sul lungo termine (mediana 2,2 anni) e una sicurezza costante nell’arco di un periodo di trattamento di cinque anni, coerentemente con lo studio FOURIER.

Gli studi precedenti includono GLAGOV, che ha dimostrato come evolocumab – quando usato in aggiunta alla terapia statinica ottimizzata – riduca la dimensione delle placche, diminuendo il volume dell’ateroma, nei pazienti con CAD.8 Questo è stato il primo studio a dimostrare che la diminuzione dei livelli di C-LDL attraverso l’inibizione della PCSK9 riduce la dimensione della placca aterosclerotica.

HUYGENS ha dimostrato che nei pazienti con CAD evolocumab in aggiunta alla terapia statinica ottimizzata ha migliorato in modo significativo una caratteristica chiave della stabilità della placca rispetto alla sola terapia statinica ottimizzata, aumentando lo spessore del cappuccio fibroso. Lo studio potrebbe offrire una prospettiva meccanicistica nella comprensione della riduzione degli eventi cardiovascolari come osservato nello studio degli esiti di FOURIER.

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