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Carenza di ferro per malattia renale: cuore più a rischio

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I pazienti con carenza di ferro legata a malattia renale cronica hanno un rischio più elevato di eventi avversi cardiaci

Indipendentemente dall’anemia, la carenza di ferro nei pazienti con malattia renale cronica (CKD) in fase avanzata è collegata a esiti avversi per la salute. È quanto ha rilevato uno studio osservazionale pubblicato online sul “Journal of American Society of Nephrology”.

Associazione a forma di U con la saturazione della transferrina
In 5.145 pazienti con CKD allo stadio 3-5 non in dialisi, una saturazione della transferrina (TSAT) del 15% o inferiore è risultata associata a un rischio più elevato di mortalità per tutte le cause prima di raggiungere la dialisi o il trapianto di rene, rispetto a livelli di TSAT del 26-35% (HR 1,44, 95% CI 1,03-2,01), scrivono i ricercatori, guidati da Roberto Pecoits-Filho, dell’Arbor Research Collaborative for Health di Ann Arbor.

Un TSAT pari o inferiore al 15% era anche legato a un rischio più elevato di eventi cardiaci maggiori avversi (MACE), tra cui infarto del miocardio e ictus (HR 1,77, 95% CI 1,12-2,81), anche dopo l’aggiustamento per elementi confondenti come età, genere, etnia, indice di massa corporea e tasso di filtrazione glomerulare stimato (eGFR).

Un TSAT del 40% era legato al più basso livello di rischio, specificano gli autori. Durante il follow-up mediano di 3 anni, ogni diminuzione di 5 unità del TSAT è stata collegata a un aumento del 10% del rischio di mortalità (HR 1,10, 95% CI 1,02-1,19) e del 16% del rischio cardiovascolare (HR 1,16, CI 95% 1,05-1,28).

Dall’altra parte di questa associazione a forma di U, alti livelli di TSAT erano anche associati a mortalità per tutte le cause. I rischi più elevati sono stati osservati a ogni termine degli estremi: un TSAT del 15% o inferiore e del 46% o superiore, con il rischio più basso visto nell’intervallo 36-45%.

Tuttavia, l’associazione tra TSAT e MACE era lineare, con il rischio più elevato visto a livelli del 15% o inferiori, senza alcun rischio in eccesso per coloro che hanno un TSAT del 46% o superiore.

Terapia sostitutiva marziale molto sottoutilizzata
«Sono necessari studi di intervento che valutino l’impatto della supplementazione di ferro e target alternativi sugli esiti clinici per informare meglio le strategie per la somministrazione del ferro esogeno» suggerisce il gruppo di Pecoits-Filho.

I ricercatori aggiungono che le attuali linee guida “Kidney Disease: Improving Global Outcomes” (KDIGO) per la gestione dell’anemia nei pazienti con CKD non in dialisi suggeriscono lo screening e il monitoraggio dei depositi di ferro, sebbene questa raccomandazione sia solo per i pazienti con anemia già presi in considerazione per agenti stimolanti l’eritropoiesi.

«Nonostante queste raccomandazioni basate su prove pubblicate quasi dieci anni fa [le raccomandazioni KDIGO sono state appena aggiornate al 2020 all’ultimo congresso dell’American Diabetes Association, NdR], il nostro recente studio multinazionale del mondo reale ha riportato che i pazienti con CKD non in dialisi con chiare indicazioni per terapia sostitutiva del ferro rimangono notevolmente sottotrattati» scrivono Pecoits-Filho e coautori.

Il gruppo ha anche notato che in precedenti studi su pazienti con insufficienza cardiaca, l’integrazione del ferro – in particolare il ferro endovenoso – era associata a miglioramenti nelle misure della funzione cardiaca, come la frazione di eiezione. L’integrazione del ferro ha anche dimostrato benefici di mortalità, anche in pazienti non anemici.

Il disegno della ricerca nell’ambito dello studio CKDopps
Lo studio ha incluso pazienti provenienti da Brasile, Francia, Germania e Stati Uniti iscritti allo studio CKDopps (Chronic Kidney Disease Outcomes and Practice Patterns Study) dal 2013 al 2017.

I partecipanti avevano almeno 18 anni e avevano un eGFR inferiore a 60 mL/min/1,732 all’iscrizione. Sono stati esclusi gli individui con un trapianto di rene o sulla dialisi di mantenimento. I partecipanti allo studio avevano un’età media di 69 anni, il 59% era maschio e avevano un eGFR medio di 28 mL/min/1,732.

La carenza di ferro è stata valutata utilizzando le prime misurazioni disponibili di TSAT e ferritina. L’anemia è stata definita come un livello di emoglobina inferiore a 12 g/dL. Tra i pazienti senza anemia, circa il 12% aveva un TSAT del 15% o inferiore. Per quanto riguarda le persone con anemia, circa il 25% aveva un TSAT del 15% o inferiore.

I ricercatori hanno anche esaminato le misurazioni di laboratorio della ferritina, ma non hanno trovato alcuna associazione tra bassi livelli con nessuno degli esiti dello studio. Hanno tuttavia trovato un rischio di mortalità per tutte le cause più elevato legato ad alti livelli di ferritina, pari o superiore a 300 ng/mL (HR 1,29, 95% CI 1,03-1,61).

Come si spiegano gli esiti clinici indipendenti dall’anemia
Il concetto di carenza di ferro tissutale può spiegare come bassi livelli di ferro possano influenzare gli esiti clinici indipendenti dall’anemia, affermano i ricercatori. «I tessuti coinvolti nell’elevata domanda metabolica, come i muscoli, sono particolarmente colpiti da tale carenza di ferro tissutale» spiegano. «Questo quadro può spiegare miglioramenti nello stato funzionale seguiti dalla somministrazione di ferro nei pazienti con insufficienza cardiaca».

Continuando, gli autori fanno riferimento a un’altra analisi CKDopps che ha mostrato come i pazienti CKD non in dialisi con carenza di ferro avessero una qualità della vita complessiva legata alla salute fisica ridotta anche dopo aggiustamento per i livelli di emoglobina, «il che rafforza ulteriormente il concetto che la carenza di ferro tissutale si traduce in una minore funzionalità».

I limiti della ricerca
Oltre al disegno osservazionale, una delle principali limitazioni dello studio era l’esclusione dei pazienti con misurazioni mancanti di TSAT o ferritina – poiché il 36% dei partecipanti al CKDopps non avevano tali misurazioni – probabilmente introducendo una distorsione di selezione.

Inoltre, poiché in alcuni Paesi mancavano dati sulla mortalità causa-specifici, l’analisi degli esiti cardiovascolari è stata eseguita solo in un sottoinsieme di pazienti. «Più in dettaglio, l’esclusione dei dati dalla Germania per questo esito potrebbe aver ridotto il potere di rilevare le associazioni, in particolare per la ferritina» ha osservato il gruppo di Pecoits-Filho.

Guedes M, Muenz DG, Zee J, et al. Serum Biomarkers of Iron Stores Are Associated with Increased Risk of All-Cause Mortality and Cardiovascular Events in Nondialysis CKD Patients, with or without Anemia. J Am Soc Nephrol. 2021 Jul 8. doi: 10.1681/ASN.2020101531. Epub ahead of print. 
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