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Osteoporosi: un aiuto dagli anticorpi monoclonali

Osteoporosi post-menopausale: teriparatide migliora gli indici di qualità ossea a livelli pre-menopausa secondo un nuovo studio

Farmaci anti-riassorbitivi e anticorpi monoclonali sono i nuovi alleati dei ricercatori nella lotta all’osteoporosi, che non deve essere interrotta dalla pandemia

L’osteoporosi è una malattia scheletrica sistemica caratterizzata da diminuzione della forza ossea e alterazione della microarchitettura scheletrica che porta ad un aumento del rischio di fratture vertebrali e dell’anca. In uno studio italiano di coorte trasversale, multicentrico, che ha valutato 3247 donne in postmenopausa di età ≥ 50 anni, la prevalenza dell’osteoporosi, variava tra il 36,6% e il 57% (a seconda del criterio diagnostico utilizzato).

Farmaci anti-riassorbitivi come bifosfonati, denosumab e osteo-anabolici (come teriparatide) e le opzioni di trattamento non farmacologiche (vitamina D e calcio) sono disponibili e altamente efficaci nella prevenzione delle fratture da fragilità e  osteoporosi. Denosumab è un anticorpo monoclonale umano che induce una rapida inibizione del riassorbimento osseo per 6 mesi.  L’anticorpo si è dimostrato efficace ed è attualmente indicato nell’osteoporosi postmenopausale, indotta da cortisonici, inibitori dell’aromatasi (nei pazienti oncologici) e deprivazione di androgeni.

“Un’altra caratteristica distintiva di denosumab rispetto ai bifosfonati è la sua possibile azione come modulatore del sistema immunitario con una possibile maggiore suscettibilità ad alcune infezioni” sottolinea il Professor Andrea Giustina Co-Presidente del CUEM e Direttore dell’Istituto di Scienze Endocrine e Metaboliche dell’Universita’ Vita-Salute San Raffaele e IRCCS Ospedale San Raffaele “In una metanalisi di 33 RCT, che includeva 22.253 pazienti e’ stato riportato un lieve incremento di alcune infezioni come effetto collaterale durante il trattamento con denosumab. Nonostante questi risultati richiedano cautela, diversi pareri di esperti pubblicati di recente sulla gestione dell’osteoporosi raccomandano di mantenere il trattamento con denosumab durante l’epidemia di COVID-19 per i suoi effetti protettivi sulla salute ossea di popolazioni a rischio”.

Presso la U.O: di Endocrinologia dell’Ospedale San Raffaele Milano, uno degli epicentri della pandemia di COVID-19 in Italia è stata condotta un’intervista telefonica su un campione di 85 pazienti (età ≥18 anni) seguite regolarmente nel ‘Bone Center’ in trattamento farmacologico per l’osteoporosi in post menopausale (n=75) o per perdita ossea indotta dall’inibitore dell’aromatasi nel carcinoma mammario (n = 10).
Racconta il risultati dello studio la dottoressa Anna Maria Formenti, specialista presso la U.O. di Endocrinologia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele prima autrice del lavoro che ha riportato i risultati della ricerca che viene presentata all’eCUEM: 2021; “Un totale di 42 pazienti hanno risposto al sondaggio (n. 35 con osteoporosi postmenopausale e n. 7 con osteoporosi dovuta alla terapia con inibitori dell’aromatasi). Dieci erano trattate con bifosfonati (9 pazienti con alendronato e 1 con clodronato; età media 71, range 54-84 anni; durata media del trattamento 7 mesi), 26 con denosumab (età media 72, intervallo 32-92 anni; durata media del trattamento 18 mesi) e 6 con teriparatide (mediana 73, intervallo 60-83 anni; durata mediana del trattamento 6,5 mesi). Tutti i soggetti hanno riportato una buona compliance ai farmaci anti-osteoporosi prescritti ed erano in terapia come raccomandato anche con vitamina D”.

A tutti i pazienti sono state poste le seguenti domande relative al periodo di 3 mesi dal 21 febbraio al 24 maggio 2020:

  1. sintomi clinici di infezione delle vie aeree superiori o diagnosi di polmonite,
  2. positività al COVID-19 test, ricovero e relativo decorso clinico,
  3. Cadute o fratture cliniche.

Nel gruppo dei bifosfonati un paziente (10%) ha riportato un episodio (7 giorni) di febbre (con picco a 39°) e tosse con positività al COVID-19 e sintomatologia che si è risolta spontaneamente. Nessuna delle altre pazienti in questo gruppo è risultata positiva al test SARS-COV2 o è stato ricoverata in ospedale per COVID-19 e due pazienti (20%) hanno riportato un episodio di caduta senza fratture o altre conseguenze cliniche. Nel gruppo delle pazienti trattate con denosumab una paziente (3,8%) ha riportato sintomi che si sono autolimitati (3 giorni) di lieve febbre (con picco a 38°) e tosse, teoricamente correlata ad infezione delle vie respiratorie durante la pandemia, ma non è stato eseguito uno specifico tampone SARS-COV2. Nessuna delle pazienti trattate con denosumab è stato ricoverato in ospedale per COVID-19 e una paziente (3,8%) ha riportato un episodio di caduta senza fratture o altre conseguenze cliniche. Nel gruppo delle pazienti trattate con teriparatide, Nessuna delle pazienti ha riportato sintomi sistemici o respiratori, è risultato positiva al test per SARS-COV2 o è stata ricoverata per COVID-19 e nessuna paziente ha riportato episodi di caduta o fratture cliniche..

“I nostri dati preliminari” commenta la Dr.ssa Formenti “suggeriscono che le donne di età superiore ai 50 anni in trattamento farmacologico per osteoporosi post-menopausale o indotta da inibitori dell’aromatasi non sembrano avere un maggior rischio di contrarre l’infezione da COVID- 19. Inoltre, nonostante un lieve aumento del rischio di infezione del tratto respiratorio più elevato riportato da RCT e meta-analisi, il trattamento con denosumab non sembra rappresentare un fattore di rischio specifico per COVID-19 nel piccolo campione di popolazione da noi esaminata. I nostri dati forniscono alcune prove iniziali nella vita reale a sostegno delle opinioni pubblicate finora che raccomandava di continuare il denosumab come tutti gli altri trattamenti anti osteoporotici durante la pandemia di COVID-19. Dati che dovranno essere confermati in studi possibilmente prospettici più ampi e potrebbero non essere estesi a pazienti che assumono denosumab per indicazioni diverse dall’osteoporosi postmenopausale o indotta da inibitori dell’aromatasi”.

“È interessante notare – conclude il Prof. Giustina – che tutti le pazienti stavano assumendo vitamina D come parte del loro trattamento anti osteoporotico come raccomandato dalle linee guida.  Poiché la vitamina D può avere azioni immunostimolanti e può proteggere dalle infezioni respiratorie, è stato precedentemente suggerito che l’ipovitaminosi D diffusa può predisporre al COVID-19 e il trattamento con vitamina D può avere effetti benefici nella pandemia. Pertanto, si può anche ipotizzare che le nostre pazienti con osteoporosi possano essere protette dalla SARS-COV2 dalla vitamina D  che devono assumere in combinazione con i trattamenti farmacologici antiosteoporotici”.

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