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Lupus: meno recidive con belimumab dopo rituximab

Anifrolumab riduce l'attività di malattia in pazienti con lupus eritematoso sistemico moderatamente e gravemente attivo secondo nuovi dati di ricerca

Lupus eritematoso sistemico: l’utilizzo di belimumab dopo rituximab prolunga considerevolmente i tempi di insorgenza di recidive severe di malattia

L’utilizzo di belimumab dopo rituximab nel trattamento dei pazienti con lupus eritematoso sistemico che sono refrattari alla terapia convenzionale non solo riduce in modo significativo i livelli sierici di anticorpi IgG anti -dsDNA ma prolunga anche considerevolmente i tempi di insorgenza di recidive severe di malattia.

Questo il responso dello studio di fase 2b BEAT-LUPUS (Belimumab after B cell depletion in SLE), presentato nel corso del congresso annuale EULAR, che fa ben sperare, se replicato in fase 3, nell’ottimizzazione futura d’impiego di belimumab nel trattamento del lupus.

Razionale e disegno dello studio
L’idea di utilizzare belimumab dopo il trattamento con rituximab è venuta a seguito dell’osservazione che la deplezione iniziale delle cellule B indotta da RTX stimola l’attività di Blys (stimolatore delle cellule B) che segnala al midollo osseo la necessità di produrre più cellule B. A sua volta, poi, BEL inibisce Blys, noto anche come fattore di attivazione delle cellule B (BAFF).

Uno studio condotto dall’equipe del dr. Teng, del policlinico universitario di Leiden (Paesi Bassi) aveva già dimostrato come la combinazione di RTX e BEL fosse stata in grado di ridurre in modo efficace gli autoanticorpi antinucleari (ANA) e che i pazienti sottoposti a questo regime di trattamento avessero risposto alla terapia dopo 24 settimane.

Al congresso EULAR del 2019, in uno studio noto come studio Synbiose, era stato dimostrato come l’adozione di un regime di trattamento di combinazione a base di rituximab (RTX) e belimumab (BEL) fosse risultata associata ad una migliore efficacia nel LES in pazienti con malattia severa e refrattaria ai trattamenti in essere.

Nello studio BEAT-LUPUS di fase 2b, un trial randomizzato e controllato vs. placebo, in doppio cieco, presentato al congresso EULAR di quest’anno, si è voluta confermare la fondatezza dell’ipotesi sopra enunciata, valutando la safety e l’efficacia dell’aggiunta successiva di belimumab al trattamento con rituximab in pazienti con LES.

Lo studio ha reclutato 52 pazienti con LES attivo trattati con rituximab (2 infusioni a due settimane di distanza) e poi randomizzati, secondo uno schema 1:1, a trattamento con belimumab (n=26) o placebo (n=26) 4-8 settimane dopo la prima somministrazione di rituximab.

Il protocollo dello studio prevedeva anche che la massima dose permessa di prednisolone nel corso del trial fosse pari a 20 mg/die, con un forte invito a ridurre la posologia del 50% dal basale a 6 mesi.

L’outcome primario dello studio era rappresentato dai livelli sierici di anticorpi IgG anti -dsDNA ad un anno, misurati mediante test ELISA. Inoltre, è stata condotta un’analisi di regressione lineare ANCOVA per valutare la differenza dei livelli di questi autoanticorpi ad un anno tra i bracci di trattamento, previo aggiustamento dei dati in base ai valori di anti-dsDNA allo screening (prima del trattamento con rituximab) e alla randomizzazione (4-8 settimane dopo la prima infusione di rituximab), in base ai livelli di CD19 > o < 0,01×109 /l alla randomizzazione, nonché in base al coinvolgimento renale allo screening.

Tra gli outcome secondari vi erano la valutazione di alcune misure di attività di malattia e l’incidenza di eventi avversi.

Risultati principali
Trentadue pazienti hanno portato a termine lo studio fino ad un anno (sia appartenenti al gruppo belimumab che al gruppo placebo), e le interruzioni della terapia si sono equamente distribuite tra i pazienti dei due gruppi.

Dai dati è emerso, con riferimento all’outcome primario, un declino dei livelli sierici di anticorpi IgG anti -dsDNA  da una media geometrica iniziale pari a 162 UI/ml a 69 UI/ml a 24 settimane e a 47UI/ml ad un anno nei pazienti trattati con belimumab dopo rituximab.

La riduzione dei valori autoanticorpali, dunque, è risultata maggiore nel gruppo belimumab rispetto al gruppo placebo, dove il declino dei livelli sierici autoanticorpali è passato da una media geometrica iniziale di 121 UI/ml a 99UI/ml dopo 24 settimane e a 103 UI/ml dopo un anno (p<0,001).

Solo 3 pazienti trattati con belimumab vs. 10 del gruppo placebo hanno sperimentato un evento severo di recidiva di malattia nel corso dello studio. L’ hazard ratio per la riduzione del rischio di recidive è stato pari a 0,27 (p=0,03), indicativo di una riduzione del rischio del 73%.

Non solo: l’impiego di belimumab, anziché di un placebo, aggiunto a rituximab ha portato anche ad una piccola riduzione dei livelli sierici di IgG totali, nonché ad una significativa soppressione del ripopolamento delle cellule B (p=0,03).

Da ultimo, belimumab non ha aumentato l’incidenza di infezioni, di eventi avversi gravi o totali, né di eventi di sospensione della terapia a cura di eventi avversi, rispetto al placebo.

Riassumendo
In conclusione, i risultati di questo trial hanno soddisfatto l’endpoint primario prefissato (riduzione significativa dei livelli di IgG anti-dsDNA) e dimostrato che belimumab prolunga il tempo alle recidive gravi rispetto al placebo.

Tali risultati suggeriscono che l’aggiunta successiva di belimumab al trattamento con rituximab rappresenta un trattamento sicuro ed efficace per i pazienti con LES e suffragano l’avanzamento del programma di studi clinici sullo sviluppo di questa combinazione di farmaci come nuova strategia terapeutica efficace nel contenimento della malattia.

Bibliografia
Shipa M et al. Belimumab after rituximab significantly reduced IgG anti-dsDNA antibody levels and prolonged time to severe flare in patients with systemic lupus erythematosus. EULAR 2021; OP0129

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