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Vitamina D e Covid: le indicazioni del GIOSEG

La vitamina D3 come integratore: l'assunzione può ridurre la velocità di progressione e quindi la gravità del cancro metastatico

Gli esperti del GIOSEG lanciano linee guida e raccomandazioni su come trattare e gestire il rapporto tra Vitamina D e Covid-19

Il potenziale impatto negativo dell’ipovitaminosi D sull’incidenza dell’infezione da SARS-CoV-2 e sulla prognosi del COVID-19, sta emergendo dalla recente letteratura medica. Tuttavia, mancano ad oggi chiare linee guida e raccomandazioni su come trattare e gestire il rapporto tra Vitamina D e COVID-19. Per questo motivo G.I.O.S.E.G (Glucocorticoid Induced Osteoporosis Skeletal Endocrinology Group) ha incaricato un panel di soci esperti di redigere questo documento, con l’obiettivo di illustrare la posizione societaria sulla questione VITD e COVID-19.

La vitamina D (VITD), ormone fondamentale per la salute delle ossa con azione immuno-modulatrice di rilevanza nel contesto pandemico Covid-19 (COronaVIrus Disease 19) (Bouillon et al, 2019), è al centro di un intenso dibattito sia scientifico che divulgativo.

L’ipovitaminosi D è nota essere una condizione di elevata prevalenza, soprattutto tra i soggetti anziani solitamente più a rischio per un esito infausto da COVID-19, ma questa corrispondenza è casuale o esiste una relazione?

“Definire esattamente l’impatto della somministrazione di Vitamina D sul decorso di una infezione è complesso, anche se una recentissima meta analisi (Jolliffe DA,et al. Lancet Diabetes Endo May 2021) evidenzia come la supplementazione di VITD possa prevenire le infezioni respiratorie acute” rimarca il Professor Andrea Giustina Presidente GIOSEG e Direttore dell’Istituto di Scienze Endocrine e Metaboliche dell’Universita’Vita-Salute San Raffaele  e ORCCS Ospedale San Raffaele di Milano che riassume la posizione del Panel di esperti: “La letteratura disponibile suggerisce che somministrare un supplemento di VITD ai pazienti COVID-19 ospedalizzati e, in particolare in terapia intensiva, potrebbe dare risultati positivi, benché manchino ad oggi evidenze certe sull’efficacia degli interventi.

Il Panel ritiene che il ruolo principale della VITD sia quello di garantire alla popolazione ad alto rischio di ipovitaminosi D e di malattia respiratoria in corso di COVID-19, un livello adeguato di VITD, in considerazione del beneficio delle azioni protettive sull’osso e immunomodulatorie di questo ormone .

Ecco le raccomandazioni:

Spiega Giustina come  esistano evidenze  che la VITD potrebbe svolgere azioni anche nel sistema immunitario innato o acquisito: “Numerosi studi clinici hanno rivelato associazioni tra deficit di VITD e accresciuto rischio infettivo, soprattutto del tratto respiratorio superiore.
Per questi motivi si osserva una crescente attenzione alla possibile correlazione tra i livelli di VITD e le infezioni da SARS-CoV-2 e, quindi, alla possibile utilità della supplementazione di VITD per la prevenzione e la terapia del COVID-19 specialmente nella popolazione anziana che è stata maggiormente colpita dal virus e dalle sue conseguenze. Non a caso l’incidenza e la prevalenza del deficit di VITD sono particolarmente rilevanti nella popolazione anziana e ancor più negli anziani istituzionalizzati in comunità, quali le RSA , e negli over 80, un gruppo particolarmente vulnerabile e in diversi paesi europei in questi sottogruppi i decessi per COVID-19 rappresentano dal 30 al 60% del totale dei morti per COVID-19”.

Livelli deficitari di VITD e soprattutto bassi livelli di calcio (ipocalciemia)  sono stati descritti frequentemente anche in pazienti gravi per altre pandemie come, per esempio, Ebola nel 2016 e SARS nel 2003 e  presente in circa l’80% dei pazienti ospedalizzati in Italia per SARS-COv-2 (di Filippo et al Endocrine 2020). Inoltre, è stato osservato che più il livello del calcio è basso, peggiore è la prognosi (di Filippo et al., REMD 2021).L’associazione causa-effetto tra status vitaminico D, rischio di infezione da SARS-CoV-2 e gravità del COVID-19 non è stata ancora definitivamente stabilita; tuttavia essendo la carenza di vitamina D anche legata a comorbidità metaboliche ed età avanzata (Giustina Endocrine 2021) appare plausibile che possa giuocare un ruolo significativo nella spiegazione dell’elevato numero di decessi da COVID-19.

Alcuni studi pubblicati descrivono una certa associazione tra focolai della malattia e latitudine e, quindi, tra VITD e scarsa esposizione solare [64,65]. E  l’Italia, uno dei paesi europei con la più alta prevalenza di ipovitaminosi D, ha avuto la  più alta prevalenza di infezioni da SARS-CoV-2 e di  COVID-19, particolarmente nelle regioni del nord Italia.

Livelli di VITD e SARS-CoV-2: rischio ed esiti
Da quando è scoppiata la pandemia, sono stati pubblicati molti studi sui legami tra VITD  e COVID-19. Vi si includono casistiche che variano molto per numero di soggetti studiati, per livelli di VITD ed esiti. Per questo motivo ci è sembrato più corretto, per analizzare più a fondo la relazione tra VITD e COVID-19 in termini di rischio di infezione, prognosi (necessità di ricovero in terapia intensiva e mortalità), utilità dei trattamenti farmacologici, riferirsi a informazioni ottenute da meta analisi e review sistematiche.

VIT D e rischio d’infezione COVID-19
Carenza e insufficienza vitaminica D sono definiti, rispettivamente, come 25(OH) D inferiore a 20 ng/ml (50 nmol/L) e 25(OH)D tra 21-29 ng/ml (52.2-72.5 nmol/L). Questi valori nella letteratura considerata risultano associati a un maggiore rischio di contrarre l’infezione COVID-19 di una volta e mezza.

Nei positivi al COVID-19, il valore medio dei livelli di VITD era inferiore rispetto a quelli COVID-19 negativi (SMD =-0.37, 95% CI=0.52 to-0.21, I2=89.6%).

VITD e prognosi COVID-19
Una correlazione tra deficit di VITD e gravità delle infezioni da SARS-CoV-2 viene segnalata soprattutto negli anziani, affetti spesso da più patologie croniche che possono influire sulla gravità dell’infezione. Il 65% dei casi più gravi presenta anche un deficit di VITD rispetto alla quota di  pazienti che hanno contratto il COVID-19 in forma più lieve (OR=1.65; 95% CI=1.30-2.09 ; I2=35.7%). Il deficit di VITD è anche legato a una maggiore ospedalizzazione (OR=1.81, 95% CI=1.41-2.21) e a una maggior mortalità (OR=1.82, 95% CI=1.06-2.58) da COVID-19.

Link al documento integrale 

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