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Vasculiti ANCA-associate e Covid: nuovi dati su rituximab

Vasculiti ANCA-associate: avacopan agisce efficacemente sulle recidive secondo nuovi dati da analisi post-hoc studio ADVOCATE

I pazienti con vasculiti ANCA-associate sottoposti ad infusione con rituximab potrebbero avere un rischio più elevato di outcome severi di Covid-19

Le persone affette da vasculiti ANCA-associate (AAV) che sono sottoposte ad infusione con rituximab potrebbero avere un rischio più elevato di outcome severi di Covid-19 e, pertanto, dovrebbero essere soggetti a priorità per la vaccinazione anti-Covid, stando ai risultati di un recente case-report pubblicato sulla rivista Rheumatology.

Razionale e disegno dello studio
Come ricordano i ricercatori nella pubblicazione breve sopra citata, le vasculiti ANCA-associate si manifestano quando alcuni anticorpi autoreattivi, noti come anticorpi citoplasmatici anti-neutrofili (ANCA) danneggiano i vasi sanguigni di piccolo calibro in organi diversi. Le due potreine bersaglio più frequentemente “aggredite” risultano essere la proteinasi 3 (PR3) e la mieloperossidasi (MPO).

Rituximab, come è noto, riduce l’infiammazione sopprimendo le cellule B, deputate alla produzione di anticorpi e viene utilizzato per trattare le granulomatosi con poliangiti (GPA) e le poliangiti microscopiche (MPA), due sottotipi di AAV.

In ragione della capacità del farmaco di depletare le cellule B che sono importanti per combattere le infezioni nell’organismo, appare chiaro che il suo impiego continuativo può aumentare il rischio di infezioni, comprese quelle sostenute da SARS-CoV-2, responsabile della pandemia di Covid-19.

Dati recenti provenienti dal the COVID-19 Global Rheumatology Alliance physician-reported registry hanno già identificato l’esistenza di una forte associazione tra l’impiego di RTX ed outcome peggiori nei pazienti affetti da malattie reumatologiche.

Tuttavia, fino ad oggi, non era stata ancora condotta un’analisi dei dati di questo registro che avesse studiato approfonditamente il ruolo in questa associazione del timing esatto di somministrazione di RTX, come pure la valutazione dei livelli anticorpali e dei trattamenti immunosoppressivi pregressi.

Su questi presupposti, i ricercatori italiani dell’Università di Udine che hanno pubblicato questa breve corrispondenza, hanno riportato i casi di due pazienti con AAV che mostravano outcome differenti rispetto all’infezione responsabile di Covid-19, probabilmente ascrivibili a differenze nel timing di somministrazione dell’ultima infusione di RTX praticata, come pure a differenti livelli di immunoglobuline.

Il primo caso si riferisce ad un paziente con GPA che si è infettato di SARS-CoV-2 45 giorni dopo l’ultima infusione di RTX, non ha visto innalzare i livelli di anticorpi diretti contro il virus, per morire di Covid 25 giorni dopo.

Il secondo caso si riferisce a un paziente con MPA che ha sviluppato il Covid.-19 a distanza di quasi 100 giorni dall’ultima infusione di RTX, con livelli raddoppiati di anticorpi immunizzanti rispetto al primo paziente, che ha superato brillantemente la malattia polmonarem sviluppando anticorpi contro il virus pandemico.

Descrizione dei casi, nel dettaglio
Il primo paziente era una donna di 73 anni, affetta da GPA positiva a PR3, che era stata sottoposta inizialmente ad una infusione di RTX per indurre la remissione, per continuare il trattamento nella fase di mantenimento a partire da ottobre del 2017.

La paziente era stata sottoposta all’ultima infusione praticata di RTX il 9 novembre dello scorso anno, era in remissione e assumeva, in concomitanza, 2,5 mg/die di equivalenti di prednisone.

I suoi livelli di IgG erano pari a 456 mg/dL appena prima dell’ultima infusione praticata del farmaco un questione. Come è noto, le IgG hanno un ruolo primario nella risposta immunitaria, essendo in grado di immobilizzare gli agenti patogeni, come le particelle virali, attivando altri comparti del sistema di difesa dell’organismo.

La paziente ha ricevuto diagnosi di Covid-19 il 24 dicembre dello scorso anno, 45 giorni dopo l’ultima infusione praticata di RTX. Al giorno della diagnosi, le cellule B della paziente erano state depletate dal trattamento con RTX, mentre i livelli di IgG erano rimasti pressochè immutati.

La paziente è andata velocemente incontro ad insufficienza respiratoria ed è stata ricoverata in Terapia Intensiva il 10 gennaio di quest’anno, per essere lì trattata con glucocorticoidi, antibiotici, anticoagulanti ed essere sottoposta ad ossigenoterapia.

Durante il ricovero ha continuato a rimanere positiva al Covid-19 mediante tampone nasale, non essendo in grado di produrre quantità apprezzabili di anticorpi contro il virus SARS-CoV-2. La paziente è quindi deceduta il 17 gennaio, 25 giorni dopo la diagnosi di Covid-19.

Anche il secondo paziente era una donna, avente un’età di 74 anni e con MPA positiva a MPO. La paziente era in remissione grazie a RTX da dicembre del 2019 ed era stata sottoposta ad ultima infusione praticata il 17 agosto dello scorso anno, rimanendo in remissione e trattata in concomitanza con 5 mg/die di equivalenti di prednisone.

Successivamente, la paziente ha ricevuto una diagnosi di Covid-19 il 25 novembre – 100 giorni dopo l’ultima infusione praticata di RTX – in quanto venuta a contatto stretto con un caso positivo di Covid-19. La paziente, nello specifico, era risultata positiva al test anti-Covid, senza aver sviluppato i sintomi della malattia.

Al momento dell’esecuzione del test anti-Covid, la paziente era depletata di cellule B, mentre i livelli di IgG si erano fermati intorno a 866 mg/dl.

La paziente si è negativizzata al test anti-Covid il 27 gennaio di questo anno, presentando livelli ridotti di anticorpi IgG contro SARS-CoV.-2.

Riassumendo 
Nel commentare i risultati i ricercatori hanno sottolineato, tra i limiti dello studio, come “…il timing di somministrazione di RTX e i livelli di IgG fossero piuttosto differenti tra i due casi considerati, e ciò potrebbe aver condizionato in modo rilevante l’outcome finale”. “Mancano inoltre – hanno aggiunto – informazioni sulla carica virale delle due pazienti”.
Ciò premesso, in conclusione, “..mentre i pazienti con AAV non sembrano essere a maggior rischio di Covid-19 rispetto alla popolazione generale, quelli sottoposti a terapia anti-CD20 potrebbero essere a maggior rischio di sviluppare forme severe di Covid-19. Pertanto, i pazienti che necessitano del trattamento con RTX richiederebbero l’inclusione nelle liste di priorità per la vaccinazione anti-Covid”.

Bibliografia
Quartuccio L et al. Timing of rituximab and immunoglobulin level influence the risk of death for COVID-19 in ANCA-associated vasculitis. Letter. Rheumatology (Oxford). Published online 20 February, 2021. doi:10.1093/rheumatology/keab175. Leggi

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