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Covid: stop alla sperimentazione di colchicina

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Covid: interrotta la sperimentazione di colchicina nello studio RECOVERY per mancanza di efficacia nei pazienti gravi ricoverati

Su consiglio del suo comitato indipendente di monitoraggio dei dati (DMC), lo studio RECOVERY (Randomized Evaluation of COVid-19 thERapY) ha interrotto il reclutamento nel braccio colchicina per mancanza di efficacia nei pazienti ricoverati con COVID-19.

«Il DMC non ha visto prove convincenti che ulteriori assunzioni avrebbero fornito prove conclusive di benefici di mortalità utili né nel complesso né in alcun sottogruppo pre-specificato» hanno annunciato i ricercatori britannici.

Nessuna differenza significativa nell’endpoint primario di mortalità rispetto alle cure abituali
Lo studio RECOVERY sta valutando una serie di potenziali trattamenti per il COVID-19 in 180 ospedali nel Regno Unito, Indonesia e Nepal, ed è stato progettato con l’aspettativa che i farmaci sarebbero stati aggiunti o eliminati man mano che le prove cambiassero. Da novembre 2020, lo studio ha incluso un braccio che confronta la colchicina con le soli cure abituali.

Nell’ambito di una riunione di routine del 4 marzo, il DMC ha esaminato i dati di un’analisi preliminare basata su 2.178 decessi tra 11.162 pazienti, il 94% dei quali sono stati trattati con un corticosteroide come il desametasone.

I risultati non hanno mostrato alcuna differenza significativa nell’endpoint primario della mortalità a 28 giorni nei pazienti randomizzati a colchicina rispetto alle sole cure abituali (20% vs 19%; RR, 1,02; IC al 95% 0,94 – 1,11; P = 0,63).

Il follow-up è in corso e i risultati finali saranno pubblicati il prima possibile, dicono gli investigatori. Finora, notano, non ci sono state prove convincenti di un effetto della colchicina sugli esiti clinici nei pazienti ricoverati con COVID-19.

Delusione dei ricercatori per un grande sforzo senza risultati
«Lo studio RECOVERY ha già identificato due farmaci antinfiammatori – desametasone e tocilizumab – che migliorano le possibilità di sopravvivenza per i pazienti con COVID-19 grave» ha detto Martin Landray, Professore di Medicina ed Epidemiologia presso il Nuffield Department of Population Health, University of Oxford e co-investigatore capo.

«Quindi, è deludente che la colchicina, che è ampiamente utilizzata per trattare la gotta e altre condizioni infiammatorie [tra le quali le pericarditi recidivanti, la coronaropatia cronica e il post-infarto], non abbia alcun effetto in questi pazienti» ha aggiunto.

«Facciamo studi grandi e randomizzati per stabilire se un farmaco che sembra promettente in teoria porti benefici reali per i pazienti nella pratica. Sfortunatamente, la colchicina non è uno di questi» ha affermato Landray.

Si prosegue con altri bracci di trattamento
I reclutamenti continueranno in tutti gli altri bracci da trattamento (aspirina, baricitinib, il cocktail anticorpale di Regeneron REGN-COV2 e, in alcuni ospedali, dimetil fumarato) dicono gli investigatori.

Il co-investigatore capo Peter Hornby, sempre dell’Università di Oxford, ha osservato infine che questo è stato il più grande studio di sempre sulla colchicina. «Anche se siamo delusi dal fatto che il risultato complessivo sia negativo, si tratta comunque di informazioni importanti per la futura assistenza ai pazienti nel Regno Unito e nel mondo».

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