Site icon Corriere Nazionale

Artrite reumatoide: rischio recidive con aria inquinata

La remissione clinica nell'artrite reumatoide è associata a benefici economici, quali una riduzione fino al 75% dei costi medici legati alla patologia, secondo nuovi studi

Artrite reumatoide: secondo uno studio italiano l’inquinamento ambientale è legato a un rischio maggiore di recidive di malattia

Gli effetti nocivi dell’inquinamento ambientale sulla salute umana sono oggetto da tempo di studi, con implicazioni negative documentate, soprattutto, relativamente alle malattie CV, a quelle respiratorie e ad alcune neoplasie. Meno indagato, invece, è il rapporto tra l’inquinamento ambientale e il decorso delle patologie reumatologiche, anche se il gap di conoscenze al riguardo si sta lentamente riducendo.

E’ in questo trend che si iscrive un lavoro, condotto presso l’Unità di Reumatologia dell’Università di Verona e recentemente pubblicato sulla rivista Rheumatology, secondo il quale esisterebbe un’associazione stringente tra l’inquinamento ambientale da un lato, e la severità e le recidive di malattia dall’altro, in pazienti con artrite reumatoide (AR) seguiti nel corso di un follow-up durato 5 anni.

Nello specifico, lo studio ha dimostrato che l’esposizione a livelli elevati di agenti pollutanti ambientali si associa a livelli elevati di CRP e al maggior rischio di recidive di artrite e che questo “eccesso di rischio” si palesa già per livelli molto bassi di esposizione agli agenti inquinanti ambientali.

Razionale e disegno dello studio
“La patogenesi dell’AR è notoriamente multifattoriale – spiegano i ricercatori nell’introduzione allo studio – e coinvolge sia fattori genetici che fattori ambientali. (…) Così, il fumo di sigaretta, per fare un esempio, rappresenta uno tra i fattori di rischio modificabili maggiormente studiati e associati al rischio di AR. (…). Vi sono più di 4.000 sostanze chimiche contenute nel fumo di sigaretta, in gran parte tossiche o carcinogeniche che possono indurre modificazioni post-traslazionali delle proteine, con lo sviluppo di autoantigeni e la produzione di autoanticorpi. Inoltre, il fumo di sigaretta è legato ad un’aumentata suscettibilità allo sviluppo di una forma di AR particolarmente aggressiva ed erosiva, pur in assenza di autoanticorpi specifici.(…) Da ultimo, il fumo di sigaretta è associato ad un peggioramento della risposta ad alcuni farmaci (es: MTX, e farmaci anti-TNF)”.

“Gli agenti pollutanti prodotti dalla combustione di sostanze fossili – continuano i ricercatori – condividono alcuni elementi tossici con il fumo di sigaretta. I principali – ossido di carbonio (CO), ossido nitrico (NO), biossido di azoto (NO2), nitrossidi, particolato atmosferico (PM2,5, PM10), ozono) – se inalati, inducono la formazione di un tipo particolare di tessuto linfoide (iBALT= tessuto linfoide associati ai bronchi e inducibile), che è legato alla citrullinazione delle proteine, che stimola l’insorgenza di AR”.

In Veneto, la prevalenza di AR nella popolazione generale si attesta intorno all’1%, con valori più alti per gli ultra65enni e i residenti nella provincia di Verona.

Con l’intenzione di approfondire la possibile associazione esistente tra le sostanze pollutanti ambientali sopra citate, la severità dell’artrite infiammatoria e lo sviluppo di recidive, è stato implementato questo nuovo studio, che ha attinto ai dati relativi alle concentrazioni di inquinanti ambientali nella provincia di Verona e a quelli relativi a 888 pazienti con AR, sottoposti a 3.396 visite di controllo durante un follow-up della durata di 5 anni (dal 2013 al 2018).

Di questi, il 61,3% era sieropositivo agli autoanticorpi, mentre il 78,9% era di sesso femminile, con una durata media di malattia pari a 12,1 anni, un punteggio medio DAS28-CRP pari a 2,71 e livelli mediani di CRP pari a 4,71 mg/l.

“Il disegno di studio utilizzato – spiega ai nostri microfoni il dott. Giovanni Adami, primo autore dello studio, in forze presso l’Unità di Reumatologia dell’Università degli Studi di Verona – è stato quello maggiormente utilizzato negli studi di outcome legati all’esposizione agli agenti inquinanti  (NdR: case crossover design), mettendo a confronto l’esposizione agli agenti pollutanti ambientali negli intervalli mensili o bimestrali precedenti un episodio di recidiva di AR rispetto all’esposizione a questi agenti negli intervalli mensili o bimestrali precedenti una visita di controllo, nei quali il paziente stava bene (ridotta attività di malattia”.

“Questo disegno dello studio – continua – fa sì che ogni paziente sia il controllo di se stesso, rendendo inutile la necessità di un gruppo di controllo, e permette la correzione dei risultati per quelle variabili confondenti (es. fumo di sigaretta, genetica) che fanno sì che un paziente abbia un decorso di malattia sempre sfavorevole o sempre favorevole. In questo modo, dunque, i risultati sono ascrivibili soltanto all’esposizione ambientale”.

Risultati principali
Dall’analisi condotta sulla coorte complessiva è emerso che i pazienti che non erano in remissione (con punteggi DAS28-CRP ≥2,6 e >3,2) e che mostravano livelli elevati di CRP (≥5 mg/l) erano frequentemente esposti a concentrazioni maggiori di agenti pollutanti ambientali  rispetto a quelli in remissione o ridotta attività di malattia e a quelli con livelli ridotti di CRP.
Non solo: i pazienti con CRP ≥5 mg/l erano esposti, in assoluto, a livelli di concentrazione più elevati di agenti pollutanti.

Lo studio ha dimostrato, inoltre, che le concentrazioni di CO, NO, NOx, PM10, PM2,5 e O3 erano più elevate nel bimestre precedente l’insorgenza di un episodio di recidiva di malattia.

Limiti e implicazioni dello studio
Nel commentare i risultati, i ricercatori hanno ammesso alcuni limiti metodologici dello studio. Tra questi, si segnalano la mancanza di dati relativi ad altri agenti inquinanti (come l’anidride solforosa) potenzialmente implicati nella riattivazione di AR; la mancanza di dati relativi alla presenza di comorbilità respiratorie concomitanti (bpco e asma) che potrebbero aver avuto un impatto negativo sull’infiammazione dei pazienti; il mancato accesso ai dati relativi alle condizioni meteo, allo status socioeconomico dei pazienti considerati nello studio, all’utilizzo di farmaci anti-infiammatori e allo status di fumatore.

I risultati, inoltre, non sono generalizzabili ad altre aree geografiche dove l’impatto dell’inquinamento ambientale è meno rilevante.

Fatte queste premesse, lo studio, condotto in una delle aree a maggior inquinamento ambientale del Paese, ha chiaramente dimostrato come, in pazienti con AR, l’esposizione a livelli elevati di agenti inquinanti ambientali si associ con l’innalzamento dei livelli di CRP e del rischio di recidive di artrite.

“Lo studio – ribadisce Adami – evidenzia come sia necessario ridurre l’inquinamento ambientale per migliorare gli outcome e gestire al meglio la patologia (AR) dalla quale sono affetti. E’ possibile, infatti, che un cambio della terapia o un decorso sfavorevole della patologia possano essere ascritti  proprio all’impatto negativo che l’inquinamento ambientale esercita sulla salute di questi pazienti”.

“Questo eccesso di rischio – aggiunge Adami – è stato documentato per livelli di esposizione alle polveri sottili (PM10) che sono persino al di sotto delle soglie proposte in Europa per i singoli inquinanti per la protezione dello stato di salute”.

La rilevanza dello studio, pertanto, sta nel suggerire ai decisori pubblici sanitari e ai referenti per le politiche ambientali di ridurre le emissioni di gas nocivi e di particolato atmosferico a livelli persino maggiori di quelli attualmente raccomandati.

Bibliografia
Adami G et al. Association between environmental air pollution and rheumatoid arthritis flares. Rheumatology, 2020
Leggi

Exit mobile version