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Due ipotesi nel Pd dopo le dimissioni di Zingaretti

Due ipotesi nel Pd dopo lo scossone: dimissioni di Zingaretti respinte o candidato a Roma. Il segretario dimissionario: “C’era l’idea che il problema fossi io, l’ho risolto”

Due ipotesi nel Pd dopo lo scossone: dimissioni di Zingaretti respinte o candidato a Roma. Il segretario dimissionario: “C’era l’idea che il problema fossi io, l’ho risolto”

Dopo aver annunciato le dimissioniNicola Zingaretti avrebbe due strade davanti, secondo fonti del Pd contattate dalla Dire (www.dire.it). La piu’ difficile porta al Campidoglio. In questo senso Zingaretti potrebbe mettere a frutto l’asse coi M5s realizzato alla Regione Lazio. Chi propende per questa tesi, fa notare la singolare coincidenza tra la scelta del segretario dem (formalmente Zingaretti e’ ancora alla guida del Pd) e il decreto che posticipa ad ottobre la data delle elezioni.

La seconda strada riporta invece dal Pd al Pd. Le dimissioni, come scrive lo stesso Zingaretti e come e’ previsto dallo statuto dem, devono essere ratificate dall’Assemblea nazionale del 13 e 14 marzo. E Zingaretti in assemblea avrebbe la maggioranza anche senza la convergenza di Base riformista, l’area di Lotti e Guerini. Cosa farebbe se l’assemblea respingesse le sue dimissioni? In rete, sotto il post in cui lui le annuncia, sono decine i post che lo invitano a tornare sui suoi passi e auspicano che l’assemblea nazionale non le recepisca.

In realta’ lo statuto del Pd non prevede il voto sulle dimissioni del segretario, non contempla cioe’ una ratifica. L’assemblea puo’ votare un nuovo segretario e Zingaretti potrebbe ricandidarsi. Se decidesse di farlo, verrebbe molto probabilmente rieletto. Oppure Zingaretti potrebbe condizionare la formalizzazione delle sue dimissioni al voto dell’assemblea sulla sua relazione. I numeri in entrambi i casi gli sono ampiamente favorevoli.

Alle primarie del 2019, infatti vinse riuscendo a far eleggere il 66 per cento dei delegati dell’intera assemblea. Queste le quote: Maurizio Martina ottenne 345.318 voti pari al 22%, Zingaretti 1.035.955 pari al 66%, Giachetti 188.355 voti pari al 12%. Di conseguenza i componenti dell’Assemblea furono cosi’ suddivisi: 119 membri dalle liste collegate a Giachetti, 228 per l’area Martina, 653 delegati per Zingaretti.

Propende per la soluzione del “respingimento” delle dimissioni – comunque venga realizzato tecnicamente – il coordinatore dei sindaci Pd Matteo Ricci. “Comprensibile e condivisibile lo sfogo di Zingaretti, ma Nicola deve rimanere e continuare il suo mandato con la rinnovata spinta dell’Assemblea”, dice Ricci.

Dimissioni irrevocabili?

Intanto però Nicola Zingaretti non lo dice apertamente ma le sue dimissioni da segretario del Pd sono irrevocabili. Lo si legge tra le righe delle parole dette a margine dell’inaugurazione di un playground nel quartiere periferico di Roma, Torre Gaia.

“Il tema non è un mio ripensamento – ha spiegato – ma quello di fare compiere al gruppo dirigente del partito un salto in avanti nella capacità di essere sincero, pulsare, solidale è aperto all’esterno per costruire un disegno sul futuro dell’Italia. Ora ci sarà l’assemblea, qualsiasi scelta faranno la rispetterò, andiamo avanti e troviamo le forme migliori per farle. E’ indubbio che si era maturata l’idea che il problema potessi essere io, ho tolto a tutti questo problema, ora si discuta e si costruisca perché ne ha bisogno l’Italia”.

Quello di Zingaretti è stato un ‘passo di lato’ più che indietro: “Non scompaio. Continuerò a fare il presidente della Regione Lazio, dirò la mia, parteciperò alla vita politica. Mi auguro che questo mio gesto aiuti il Partito Democratico a ritrovare la voglia di discutere, anche con idee diverse, ma con più rispetto, solidarietà ed efficacia per amore dell’Italia e della comunità che continuo a sentire mia. Perché con un Pd più debole è più debole la democrazia italiana. Darò un contributo facendo il presidente di una Regione importante, al servizio del mio partito e dell’Italia. Mi sono dimesso per spingere l’intero gruppo dirigente a un confronto più vero, schietto, plurale e solidale e aperto che permetta alla nostra comunità di affrontare i nodi che abbiamo davanti sulle scelte da fare per avere una visione comune dell’Italia”.

“Io – ha concluso Zingaretti – ce l’ho messa tutta ma non ce l’ho fatta a determinare questo clima perché più del pluralismo è prevalsa la polemica”.

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