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La gravità dei sintomi Covid dipende dal DNA

Covid: studio italiano di bioinformatica, pubblicato sulla rivista Cell Systems, ha spiegato perché alcuni pazienti si ammalano in maniera più grave

Covid: la gravità dei sintomi dipende dal DNA. Lo rivela uno studio dell’università di Chieti che ha indagato lo sviluppo della tempesta citochinica

Esiste un legame genetico che possa spiegare perche’, su 10 positivi, solo uno sviluppa i sintomi piu’ gravi, ovvero la cosiddetta tempesta citochinica finendo in rianimazione? È quello che si sta cercando di capire nel laboratorio di genetica molecolare test covid-19 dell’universita’ di Chieti con uno studio guidato dal direttore Liborio Stuppia, intervistato dall’agenzia Dire (www.dire.it) per fare il punto sulla situazione Covid in Abruzzo. Ed e’ proprio sulle varianti che si sta conducendo la ricerca che, se dovesse trovare risposte positive, rappresenterebbe una vera e propria rivoluzione nell’approccio alla malattia e la cura sui pazienti positivi.

– È possibile che vi sia un legame tra il Dna e la possibilita’ di sviluppare sintomi piu’ gravi della malattia?

“Ognuno di noi e’ diverso come le dicevo. Ci sono due cose che ora si stanno studiando: una quali sono i genotipi che proteggono o indeboliscono rispetto all’infezione; l’altra, su cui lavoriamo anche noi, e’ la suscettibilita’ individuale basata sulla variabilita’ genetica a sviluppare i sintomi. Nel primo caso, per capirci, ci si chiede: se sono in una stanza con 10 persone perche’ 9 prendono il virus e io no? Potrei avere un genotipo che mi protegge. Nel secondo caso la domanda e’ questa: se siamo 10 positivi ricoverati in ospedale, perche’ solo io, tra questi, sviluppo la cosiddetta tempesta citochinica e finisco in rianimazione? Lo studio noi lo stiamo portando avanti sulle varianti, quindi e’ ancora all’inizio, avendole conosciute da un paio di mesi. Vogliamo capire se cambia il rischio di sviluppare sintomi gravi. Quello che cerchiamo di capire e’ quindi questo: se ho 10 persone infettate, meta’ con la variante inglese e meta’ con quella tradizionale ci sono delle differenze genetiche nei pazienti? Se di un positivo io potessi sapere che rischio ha di sviluppare la fase acuta e di finire in rianimazione, sarei in grado di distinguere i pazienti e questo sarebbe importantissimo nella lotta alla malattia”.

– A proposito di vaccino. Anche l’Abruzzo valuta la dose unica. Lei cosa ne pensa? Non e’ rischioso, visto la difficolta’ di reperimento, rinunciare alle scorte per la seconda dose?

“Non sono un esperto del settore. Mi e’ sembrato come dire strano che si sia passati da un momento in cui si diceva di non fare l’errore di non tenere la seconda dose all’opposto. Non siamo tutti biologicamente uguali. Posso farle un esempio. Qui siamo una trentina di persone e abbiamo tutti ricevuto la prima dose. Su 30, in 29 hanno sviluppato gli anticorpi, tranne uno: il sottoscritto. Se dicessi che va bene una sola vaccinazione potrei dire che per me non e’ stata sufficiente, ma se dovessi ragionare per gli altri e dunque vi fosse una variante statistica confermata che, come in questo caso, ci dicesse che solo 1 su 30 non sviluppa gli anticorpi con la prima dose, allora questo tipo di ragionamento ce lo potremmo permettere. Le persone sono diverse per cui se il loro sviluppo fosse su 29 persone su 30, sarebbe un successone”.

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