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Covid: infezioni croniche possono agevolare le varianti

Messa a punto una nuova tecnica per rilevare le varianti del Covid-19, da parte dell'Istituto Clinico Diagnostico di Ricerca Altamedica di Roma

Le infezioni croniche possono essere di aiuto alle varianti del Covid-19 secondo gli studiosi dell’Università di Cambridge in un articolo pubblicato su “Nature”

Le mutazioni di Sars-CoV-2 (proprio come quelle che si stanno diffondendo nel mondo, con le varianti inglese, brasiliana e sudafricana) potrebbero insorgere in casi di infezioni croniche, dove il trattamento per un periodo prolungato può fornire al virus molte opportunità di evolvere.

A dirlo sono gli studiosi dell’Università di Cambridge in un articolo pubblicato su “Nature”. I ricercatori spiegano di essere stati in grado di osservare la mutazione di Sars-CoV-2 nel caso di un paziente immunocompromesso che era stato trattato con una terapia al plasma. In particolare, hanno visto l’emergere di una mutazione chiave vista nella nuova variante inglese, anche se non sono in grado di poter dire se questa variante abbia avuto origine da questo stesso paziente studiato. Utilizzando una versione sintetica della proteina Spike del virus creata in laboratorio, il team ha dimostrato che modifiche specifiche al suo codice genetico (con la mutazione osservata nella variante britannica) rendevano il virus due volte più infettivo rispetto al ceppo più comune. L’uomo su cui il virus è mutato era un settantenne a cui era stato precedentemente diagnosticato un linfoma a cellule B marginali e che aveva recentemente avuto un trattamento chemioterapico. Dunque, aveva il sistema immunitario gravemente compromesso. Dopo il ricovero, al paziente sono stati forniti numerosi trattamenti, tra cui il farmaco antivirale remdesivir e una terapia al plasma, con anticorpi prelevati dal sangue di un paziente che aveva eliminato con successo il virus dal proprio organismo.

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