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I rider non sono lavoratori occasionali: “Assumetene 60mila”

I rider non sono lavoratori occasionali: "Assumetene 60mila"

La Procura di Milano stanga le società di delivery: “Il rider non è un lavoratore occasionale ma è a pieno titolo inserito nell’organizzazione d’impresa. Assumetene 60.000”

I rider sono ‘lavoratori autonomi di tipo occasionale’, come evidenziato dalla “stragrande maggioranza” dei contratti? Non proprio. Almeno non secondo la Procura di Milano, che attraverso un’indagine compiuta su oltre 60.000 rider che hanno operato (dal 1 gennaio 2017 al 31 ottobre 2020) per conto delle società Foodinho Sri – Glovo (28.836), Uber Eats Italy Sri (8.523), Just Eat Italy Sri (3.642) e Deliveroo ltaly Sri (19.510), ha tuttavia evidenziato che questa qualificazione è smentita dalla realtà dei fatti, e che in virtù di ciò intima ai datori di lavoro di queste società di provvedere ad adempiere a tutti gli obblighi in materia di sicurezza del lavoro applicabili alla categoria dei rider entro 90 gg dalla notifica. Le ammende che, in caso di adempimento, i soggetti dovranno versare sono state quantificate complessivamente in oltre 733 milioni di euro, con recupero delle somme contributive e dei premi assicurativi.

È emerso infatti che il rider non è affatto un lavoratore occasionale, che svolge una prestazione in autonomia ed a titolo accessorio. Al contrario, il fattorino su due ruote è a pieno titolo inserito nell’organizzazione d’impresa “operando all’interno del ciclo produttivo del committente che coordina la sua attività lavorativa a distanza, attraverso un’applicazione digitale preinstallata su smartphone o tablet”. Da qui, una serie di problemi, che come afferma il Procuratore della Repubblica di Milano, Francesco Greco incontrando la stampa su Teams, “non sono di natura morale, ma giuslavoristica”.

Dall’indagine- condotta dalla polizia giudiziaria della Procura, Ats Città Metropolitana di Milano, Polizia Locale di Milano, Nil (Nucleo Ispettorato Lavoro) dei carabinieri, Ispettorato del Lavoro di Milano e INPS, si è accertato infatti che la presunta autonomia del rider si riduce in realtà ad una mera scelta delle fasce orarie in cui svolgere la propria attività, scelta che, a seconda dei casi, è peraltro condizionata in maniera più o meno ampia in base al “punteggio” (il cosiddetto “ranking”), attribuito automaticamente dal sistema informatico e collegato alle performance (puntualità, rapidità, accettazione degli ordini). Questo sistema costringe di fatto il rider ad accettare tutti gli ordini (un rifiuto comporta il declassamento) ed a portarlo a termine il più velocemente possibile. Il cosiddetto ranking, inoltre, determina in sostanza la continuità del rapporto: “Non lavorare in alcuni giorni ed in alcune fasce orarie porta normalmente ad un retrocessione e quindi a sempre minori opportunità di lavoro in futuro”, spiegano dalla Procura meneghina.

Questa la ragione per cui, ad esempio, per i ciclofattorini è impossibile usufruire di ferie o periodi di malattia. Il rider, piuttosto, come spiega la Dire (www.dire.it) è costretto a lavorare anche in caso di infortunio, “pena la perdita di fatto del lavoro” e, nei casi in cui sia impossibilitato, “ricorre spesso all’espediente di cedere temporaneamente l’account a terzi in grado di garantire le stesse prestazioni, in modo da non perdere posizioni”. A questo va aggiunto che, nelle fasce orarie in cui il rider decide di lavorare, egli è costantemente geolocalizzato dal committente, i cui operatori intervengono, ad esempio, se si devia dal percorso suggerito dal sistema informatico o se viene rilevato che il fattorino, in fase di consegna, non è in movimento. “Un sistema, in altre parole, che si fonda su una pressione continua sul lavoratore- conclude il procuratore capo Greco- il quale non può sottrarsi per evitare di essere retrocesso o addirittura espulso dal sistema e quindi di non poter più lavorare”.

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