Site icon Corriere Nazionale

Hiv: l’importanza di ottimizzare la terapia antiretrovirale

HIV: secondo i risultati di uno studio di fase III, con lenacapavir riduzione della carica virale in pazienti multiresistenti

Hiv: ottimizzare la terapia antiretrovirale permette di indirizzare il trattamento verso il regime a singola compressa e ridurre il rischio di effetti collaterali

Ottimizzare la terapia antiretrovirale significa soprattutto avere una convenienza del trattamento attraverso lo switch verso il regime a singola compressa, ma anche migliorare la tollerabilità e trattare o ridurre il rischio di effetti collaterali nel lungo termine. Così ha aperto la sua relazione al congresso della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT) 2020 il prof. Carlo Torti, Professore Associato in Malattie Infettive presso l’Università Magna Graecia di Catanzaro.

Oltre a questo è importante porre particolare attenzione al profilo clinico del paziente, soprattutto in relazione a comorbidità che impongono delle scelte terapeutiche appropriate, al problema della polipharmacy, particolarmente importante nei pazienti con comorbidità, per lo più gli anziani, e alla gravidanza.

Scelte strategicamente inappropriate sono l’inseguire continuamente l’impiego dei regimi più nuovi, poco caratterizzati dal punto di vista delle tossicità nel lungo termine, e la troppa attenzione ai costi perché anche se qualche ottimizzazione della terapia passa attraverso una spesa maggiore, è accettabile dal punto di vista deontologico ed etico, ha commentato Torti.

Uno degli obiettivi fondamentali rimane assicurare la soppressione virologica, anche perché, per quanto le opzioni terapeutiche siano oggi più numerose, bisogna evitare di perdere delle classi di farmaci nel caso in cui vi sia un virological escape con un’emergenza di mutazioni di resistenza.

Le terapie oggi disponibili
Le armi a disposizione del clinico sono i regimi single tablet (STR), a tre farmaci e a due farmaci, che stanno acquisendo sempre più importanza nell’armamentario terapeutico.

Di recente hanno preso piede gli inibitori dell’integrasi e, dato che lo switch a questi regimi è stato ben tollerato dai pazienti, sono stati via via più usati nella pratica clinica. I primi approcci hanno coinvolto lo switch a raltegravir, strategia che negli studi SWITCHMRK 1 e 2 ha fallito nei pazienti pretrattati che avevano resistenze.

Nel trial DAWNING, effettuato in pazienti con livelli di cd4 anche abbastanza bassi, dolutegravir ha offerto dei vantaggi in termini di soppressione virologica rispetto al braccio di controllo lopinavir/ritonavir (LPV/RPV) ma con tassi comunque inferiori al 90%. Dal fallimento della terapia emergono mutazioni di resistenza che rischiano di precludere l’impiego di farmaci della stessa classe o di classi diverse, mentre il fallimento di LPV/RPV è risultato più protettivo su questo aspetto.

Aumento del peso e impatto sul profilo lipidico
Un altro problema legato a queste strategie di semplificazione è rappresentato dall’aumento del peso corporeo, che deve essere ancora meglio studiato e che può determinare un maggior rischio cardiovascolare (in particolare nei diabetici), ma non sempre e non in tutti i pazienti.

L’aumento ponderale è stato considerato dallo studio NEAT 022 in cui i pazienti naïve al trattamento e con una viremia controllata tramite inibitori della proteasi boosterati, qualora avessero un’età superiore ai 50 anni e/o un Framingham risk score di oltre il 10% in 10 anni e purché non avessero mutazioni di resistenza né precedenti fallimenti terapeutici, sono stati switchati a dolutegravir più due analoghi nucleosidici. Il risultato è stato un aumento statisticamente significativo del peso corporeo correlato con un aumento altrettanto significativo dell’indice di massa corporea (BMI).

Un’altra strategia di switch prevede il passaggio ad analoghi non nucleosidici inibitori della trascrittasi inversa (NNRTI) come efavirenz, etravirina, rilpivirina che sembrano avere effetti neuropsicologici e neuropsichiatrici e doravirina, che si pensa avere un’elevata barriera genetica (ancora da confermare). Anche questa classe di farmaci non è esente dal rischio di iperlipidemia, in particolare efavirenz, e anche se in misura minore rispetto agli inibitori della proteasi boosterati contempla il rischio di gravi interazioni farmacologiche, che appare minore nel caso della doravirina.

Lo studio DRIVE-SHIFT ha valutato doravirina in associazione a tenofovir DF e lamivudina (DOR/3TC/TDF) in pazienti selezionati per avere una buona risposta virologica senza il rischio di mutazioni di resistenza ai farmaci in uso. La terapia ha consentito un alto tasso di soppressione virologica nel braccio dei pazienti switchati alla tripla combinazione, con un buon profilo di recupero dei lipidi a valori il più possibile bassi o normali e un calo del colesterolo LDL e dei trigliceridi.

Switch all’interno della classe degli NRTI
Sono stati valutati gli switch a tenofovir DF, tenofovir AF e abacavir. Lo studio OPERA ha analizzato la variazione del peso corporeo nello switch da TDF a TAF sia mantenendo che modificando i farmaci associati, con un aumento del peso dal momento dello switch con molti dei farmaci associati, in particolare gli inibitori dell’integrasi e gli analoghi non nucleosidici.

I dati non sono rassicuranti riguardo al rischio di malattia aterosclerotica (ASCVD) perché con lo switch a TAF si perde in parte il controllo metabolico e può rendersi necessario il ricorso alle statine.

Switch all’interno della classe degli inibitori dell’integrasi
Uno studio di non-inferiorità ha preso in esame lo switch da dolutegravir alla combinazione TAF/emtricitabina/bictegravir (TAF/FTC/BIC) e mostrato tassi di soppressione virologica non statisticamente differenti tra i due bracci. Anche se in alcuni sottogruppi di pazienti sembra esserci un segnale di una maggiore soppressione virologica in percentuale più elevata di pazienti con bictegravir rispetto a dolutegravir.

Terapia a due farmaci
La novità più importante riguarda la dual therapy, ridurre il numero di farmaci e utilizzare quelli più adeguati per assicurare sia la soppressione virologica che una buona tollerabilità del regime. La combinazione prevede dolutegravir insieme a un analogo non nucleosidico (rilpivirina) o nucleosidico (lamivudina, 3TC) inibitore della trascrittasi inversa oppure cabotegravir più rilpivirina.

Lo studio TANGO, che ha arruolato pazienti con criteri di inclusione molto stretti e ha escluso quelli con un infezione cronica da virus dell’epatite B o C e con precedenti fallimenti virologici o documentate mutazioni di resistenza, ha valutato lo switch alla dual therapy DTG/3TC o a regimi includenti TAF (successivamente passati a DTG/3TC). I tassi di soppressione virologica sono stati positivi ma, trasferendo i risultati nella pratica clinica, nei pazienti che non rispondevano esattamente ai criteri dello studio lo switch ha comportato un fallimento virologico più elevato.

Dal punto di vista della tossicità e della tollerabilità sembra vi sia un segnale di una peggiore tollerabilità in regime dual therapy, dato il 3,5% di eventi avversi che hanno portato alla sospensione della terapia contro uno 0,5% nel braccio di controllo. Sono invece positivi i risultati di riduzione del colesterolo totale, LDL e dei trigliceridi nel braccio dual rispetto a quello di controllo (TAF).

I dati della coorte MASTER, a parte il beneficio sulla clearance della creatinina dello switch a un regime senza TDF al prezzo di un aumento dei lipidi, è stato osservato un incremento significativo nella conta cd4 e nel rapporto cd4/cd8 correlato alla sospensione di TDF, un dato in contrasto con il trend di riduzione che in studi diversi nella stessa corte è stato associato con un possibile beneficio in termini di effetti clinici non AIDS correlati.

Interazioni, politerapia e gravidanza
Riguardo al problema delle interazioni farmacologiche e dalla polipharmacy soprattutto nei pazienti più anziani, uno studio britannico ha evidenziato come il 10-20% dei pazienti mostrava un rischio di interazioni farmacologiche in senso anticolinergico, che possono portare gli anziani a cadere e fratturarsi.

Per quanto riguarda la gravidanza, l’assunzione di dolutegravir al concepimento è associata a un rischio di difetti del tubo neurale del neonato superiore rispetto ad altri gruppi. «Questo sarà un aspetto da considerare nella revisione delle linee guida italiane, sottolineando un alert alle donne che fanno uso di dolutegravir in gravidanza e che intendano concepire» ha concluso Torti.

Exit mobile version