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Malattie reumatiche e gravidanza: 1 donna su 2 non informa il medico

Le donne affette da endometriosi possano aumentare le possibilità di concepimento preservando la fertilità attraverso la vitrificazione degli ovociti

Più di una paziente con patologie reumatiche su due non informa il medico del desiderio di gravidanza secondo un sondaggio dell’Osservatorio Capire

La comunicazione medico-paziente reumatologico non risulta sempre facile su temi importanti come la gravidanza e la pianificazione familiare. Sette donne su dieci, colpite da una patologia reumatologica, stanno cercando di avere un figlio. Tuttavia il 51% non ha parlato di questa scelta con il proprio reumatologo. Più interpellati risultano essere i medici di medicina generale: il 38% è informato sulla gravidanza della assistita mentre il 24% è a conoscenza dei suoi desideri di maternità.

E’ quanto emerso da un sondaggio condotto su oltre 300 donne dall’ANMAR Onlus (Associazione Nazionale Malati Reumatici) in collaborazione con i medici specialisti dell’Osservatorio CAPIRE. I risultati sono stati presentati in un webinar realizzato con il supporto non condizionato di UCB. “La possibilità di avere un figlio è da sempre uno dei maggiori desideri di una donna con malattia reumatologica – afferma Silvia Tonolo, Presidente ANMAR Onlus -. Ogni giorno riceviamo decine di richieste di informazioni su questo delicato aspetto da parte di pazienti e caregiver. L’indagine che abbiamo promosso evidenzia chiaramente come oggi la maternità sia un’opportunità possibile e, infatti, ben il 57% delle intervistate ha già avuto una gravidanza. Al tempo stesso però è necessario migliorare la comunicazione con il medico specialista che deve essere informato su queste scelte”.

“Solo in Italia le malattie reumatologiche interessano oltre 3 milioni e mezzo di donne – prosegue il prof. Mauro Galeazzi, Responsabile scientifico dell’Osservatorio CAPIRE e Presidente Emerito della Società Italiana di Reumatologia -. Molte gravi patologie come, per esempio, l’artrite reumatoide insorgono soprattutto durante l’età adulta e nel pieno del periodo di fertilità di una donna. Le terapie oggi a nostra disposizione sono assolutamente efficaci e hanno ridato ottime prospettive di vita. Possono però avere effetti collaterali sull’apparato riproduttore e quindi bisogna comunicare al medico specialista curante i propri desideri. Lo stesso vale per la scelta di metodi contraccettivi che devono essere per forza compatibili con i trattamenti utilizzati. Nell’86% dei casi il reumatologo è in contatto con il ginecologo della propria assistita. Ciò nonostante il dialogo tra medico-paziente va migliorato e rafforzato nell’interesse reciproco”.

Sempre nel webinar di ANMAR sono presentati i risultati di un secondo sondaggio svolto tra i pazienti sull’assistenza territoriale e domiciliare. Secondo l’indagine il 61% dei malati si è rivolto ad un centro specialistico territoriale per affrontare i problemi di salute. Durante le prime fasi dell’emergenza Covid-19 il 69% dei malati ha dovuto sospendere le visite con lo specialista. L’89% ha dovuto interrompere l’assunzione del farmaco su indicazione del reumatologo di riferimento.

“I primi mesi della pandemia hanno messo a dura prova l’intero sistema sanitario nazionale – aggiunge il prof. Galeazzi -. Le difficoltà hanno interessato anche la rete d’assistenza reumatologica in tutta la Penisola. La telemedicina rappresenta una possibile soluzione alle problematiche emerse e va implementata. Non deve però contemplare solo le tele-visite ma più in generale un’informatizzazione dei servizi sanitari. Prima dell’inizio del boom di casi di Coronavirus solo il 16% dei pazienti riceveva per via elettronica le impegnative o le ricette previste dal piano terapeutico”. Per quanto riguarda infine l’assistenza domiciliare ben il 79% degli intervistati esprime il desiderio di ricevere direttamente a casa il farmaco utilizzato contro la patologia reumatologica.

“E’ un’eventualità che si rende ancora più necessaria in questi mesi difficili – conclude Tonolo -. Come pazienti cronici ed immunodepressi dobbiamo limitare il più possibile gli spostamenti. Quindi il nostro auspicio è favorire, dove possibile, il recapito e la somministrazione a domicilio dei trattamenti”.

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