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Vincenzo, il frate cercatore sulla scia di Padre Pio

La storia di Vincenzo, il frate cercatore seminatore di speranza sulla scia di Padre Pio, raccontata da Antonio Bini

La storia di Vincenzo, il frate cercatore seminatore di speranza sulla scia di Padre Pio, raccontata da Antonio Bini

Nel convento della Madonna dei Sette Dolori di Pescara si è conclusa dopo una breve malattia la laboriosa vita terrena di fr. Vincenzo D’Elpidio. Era un personaggio popolare e molto amato, un gigante buono, per la sua mole, per la sua straordinaria generosità e soprattutto per la capacità di ascoltare, confortare e incoraggiare le tante persone sofferenti che si rivolgevano quotidianamente a lui da ogni parte d’Italia e anche dall’estero, come dimostrabile dall’articolo diffuso dall’agenzia cattolica tedesca CNA – Catholic News Agency, a firma di Dirk Weisbrod, il quale racconta il suo incontro con il frate, che considera tra gli ultimi eredi di Padre Pio. Avevo conosciuto fr. Vincenzo quasi vent’anni fa, all’inizio delle mie ricerche dirette a studiare la figura di p. Domenico da Cese, il suo rapporto con il Volto Santo e con Padre Pio. E’ superfluo precisare che per fr. Vincenzo l’autenticità del Volto Santo, come per l’amico p. Domenico, era fuori discussione.

Scrissi poi un primo articolo nel 2005 nel quale richiamavo la sua testimonianza. Nel corso degli anni la frequentazione divenne assidua. Era contento per questo mio impegno, se non mi facevo vedere o sentire era lui a telefonarmi. Avvertivo il suo affetto, mi dava suggerimenti, spiegava episodi singolari della sua vita e di quella di p. Domenico, del suo stesso rapporto con P. Pio che poi emerse in un articolo pubblicato su un diffuso settimanale. Anche in quella occasione mi chiese di assisterlo nell’incontro con il giornalista. Lo aggiornavo sulla divulgazione del Volto Santo e dell’interesse su P. Domenico, di cui era stato fraterno amico e in seguito straordinario sostenitore della sua causa di beatificazione che lo aveva visto fortemente impegnato a dieci anni di distanza dalla sua morte avvenuta il 17 settembre 1978 a Torino, dove si era recato per l’ostensione della Sindone.

P. Domenico andò in sogno a fr. Vincenzo implorandolo di onorare la richiesta di tanti devoti che gli avevano inviato denaro – come si usava in passato – per la celebrazione delle messe. Fr. Vincenzo si recò al Santuario del Volto Santo riscontrando l’esistenza di due scatole contenenti numerose lettere ancora chiuse dirette al cappuccino scomparso. Le aprì, lasciò il denaro al superiore, fece celebrare alcune messe, chiedendo l’autorizzazione a consultare le lettere che raccontavano di fatti straordinari o semplici richieste di aiuto. Da questa documentazione presero avvio, insieme a Bruno Sammaciccia, studioso del Volto Santo e amico di p. Domenico, le ricerche di contatti e si ulteriori testimonianze che poi divennero fondamentali per l’avvio del processo di beatificazione, pur non mancando difficoltà da superare dovute all’ostilità di alcuni scettici confratelli che si potevano contare al massimo con le dita di una mano rispetto all’intera Provincia dei Cappuccini d’Abruzzo.

L’opera proseguì negli anni successivi con la collaborazione della nipote di p. Domenico, Caterina Petracca, insieme al marito Franco Di Lorenzo, scomparso qualche anno fa, fino a che l’Ordine dei Cappuccini assunse la decisione di proporre all’arcivescovo di Chieti, mons. Bruno Forte, il formale avvio del processo di beatificazione, con la prima fase che si concluse nel marzo 2015 con la concessione del nulla osta da parte della Congregazione delle Cause dei Santi. Da allora p. Domenico è Servo di Dio.

Fr. Vincenzo presagiva la sua morte. Nello scorso mese di febbraio mi aveva chiesto di aiutarlo a scrivere il suo messaggio di commiato diretto alla vasta comunità di persone che lo conoscevano, lo seguivano da tanti anni. Aveva difficoltà a causa di una frattura alla spalla destra avvenuta pochi mesi prima. Raccolsi i suoi pensieri. Poi a casa trascrissi il testo al computer. Mi disse di stampare due copie. Le firmò entrambe, trattenendone una – che nei giorni successivi affidò al superiore del Convento – e mi chiese di tenere l’altra che avrei dovuto diffondere nel caso – per un qualsiasi motivo – non l’avesse fatto il padre guardiano, essendo suo profondo desiderio raggiungere le tante persone conosciute nel corso del tempo. Nel successivo mese di settembre, contrariamente agli anni precedenti, non sentendosi molto bene, volle affidarmi un messaggio con il suo saluto ai devoti di p. Domenico convenuti il 20 settembre a Manoppello, in occasione del 42° anniversario della morte del Servo di Dio. In quella occasione, p. Carmine Cucinelli, ancora rettore del Santuario del Volto Santo, mi chiese di leggere il messaggio all’inizio della messa, consapevole dell’importanza che fr. Vincenzo aveva assunto nei confronti di tanti devoti di p. Domenico da Cese che attendevano la sua presenza.

Ma torniamo al messaggio di commiato. Fra’ Vincenzo riesce a sintetizzare in poche semplici frasi l’essenza della sua lunga vita religiosa, ispirata al poverello di Assisi, con il ricordo di P. Pio, che all’inizio degli anni sessanta lo consigliò fermamente di rimanere a Pescara, tra la gente, invece di scegliere la vita di clausura. Padre Pio non si sbagliava. Il frate proprio tra la gente, nei paesi e nelle campagne per la questua ebbe la possibilità di entrare in contatto con tante persone diventando molto conosciuto come “frate cercatore”, figura legata soprattutto al mondo contadino. Aveva iniziato andando a piedi, poi con il calesse e infine con una Ape Piaggio con avanti la scritta “Pace e bene”.

Significativo il richiamo a p. Domenico da Cese, quando scrive di aver seguito nel corso degli anni “l’insegnamento di vari confratelli e in particolare del Servo di Dio p. Domenico da Cese, del Santuario del Volto Santo. Per me è stato uno straordinario esempio di dedizione alla Chiesa e di instancabile attenzione al prossimo, che accoglieva dalla mattina alla sera, ascoltava, confortava ed invitava alla preghiera e a vivere nella fede del Signore.” Scrive soprattutto di averlo sentito “vicino negli anni successivi alla sua morte”, tanto che “diverse persone, che furono suoi figli spirituali, hanno ritenuto di intravedere in me qualcosa della Sua figura, anche sotto l’aspetto fisico”. Poi con la sua consueta umiltà riconosce di essere “soltanto un povero frate, non degno di essere paragonato al Servo di Dio.”

Eppure quella “vicinanza” che fr. Vincenzo ammette fu realmente colta nella realtà quotidiana da parte di molti che avvertivano il lui una sorta di continuità con il Servo di Dio. Così è stato per le associazioni del Volto Santo di Ruvo di Puglia e di Andria – create da suor Amalia Di Rella, figlia spirituale di p. Domenico da Cese. A parte somiglianze fisiche, non mancavano comuni carismi. Con l’avanzare dell’età l’attività di “cercatore” era infatti venuta meno e fr. Vincenzo poteva dedicarsi maggiormente all’ascolto delle persone bisognose o disperate che si rivolgevano a lui, anche semplicemente per un consiglio o una parola di speranza.

Nel 1979 l’allora arcivescovo di Pescara mons. Antonio Iannucci gli concesse la facoltà di ministro straordinario dell’eucarestia e di benedire. Il sabato e la domenica riceveva nel Santuario tante persone che facevano la fila per parlare con lui. In molti casi le abbracciava, le stringeva a sé lungamente pregando, anche imponendo le mani sulla testa. Qualche volta l’ho visto abbracciare interi nuclei familiari. Molti avvertivano qualcosa di misterioso. Si aveva l’impressione di ricevere un’energia positiva, ma anche affettuose attenzioni, con liberazione da ansie e preoccupazioni. Tutto avveniva pubblicamente e senza che il frate chiedesse nulla se non l’impegno a mantenere una vita cristiana. Erano diverse le persone che riacquistavano pace e serenità, mentre altre ancora riacquistavano convintamente la fede.

Negli ultimi anni, trascorrendo gran parte del tempo nella sua camera, riceveva tante telefonate da tutta Italia o anche dall’estero per chiedere la sua benedizione. Rispondeva spesso con gli occhi chiusi, entrando in pochi istanti in sintonia con chi lo chiamava, dandomi l’impressione che ci fosse qualcuno che gli suggerisse come rispondere. Nel convento aveva un linea telefonica autonoma, non facile da trovare libera. Dall’inizio di novembre il crescente numero di telefonate di tante persone preoccupate per non ricevere risposte – essendo il frate assistito nell’infermeria del Convento – ha indotto i frati a disattivare la linea telefonica.

Al termine della messa, il messaggio di commiato è stato letto tra la commozione generale dal superiore del Santuario p. Franco Nanni. Tante le persone che occupavano gli ampi spazi esterni al convento seguendo le prescrizioni anti-Covid, con un servizio d’ordine assicurato dai Gruppi di Preghiera di Padre Pio, che nel Santuario hanno come riferimento p. Guglielmo Alimonti, che fu legato a P. Pio. Un lungo commosso applauso ha accompagnato la conclusione della lettura, con diverse persone in lacrime. Non certo a caso il quotidiano Il Messaggero, nel dare notizia della morte di fr. Vincenzo, aveva scritto di “dolore ai Colli”, alludendo alla popolosa frazione in cui è presente il Santuario.

Nel corso della messa, presieduta da p. Matteo Siro, che guida dal luglio scorso la nuova provincia dei Cappuccini di Abruzzo, Lazio e Umbria, erano state evidenziate le non comuni qualità umane e religiose del frate che “ha reso incontrabile Gesù e il suo vangelo”, con tante persone che in lui “hanno trovato un cuore accogliente sapendo sollevare gli animi più affranti, le famiglie più disgregate, i poveri e anche tante donne gestanti che in cuor loro avevano deciso di abortire”. Ma con la “parola semplice evangelica e persuasiva fra’ Vincenzo ha convinto queste ad accogliere la vita che era in loro”, come confermato da diverse testimonianze. Non è escluso che alcune di queste vite salvate fossero presenti confuse tra la folla, che comprendeva anche molti giovani.

L’azione del buon frate poteva anche proseguire nel caso si trattasse di famiglie povere o di donne sole e disperate, assicurando secondo possibilità aiuti materiali. Infatti, la sua “questua” rappresentava un elementare strumento di regolazione sociale nel micro cosmo locale, raccogliendo offerte in denaro, olio, vino, grano e cibo – che occorrevano per sostenere il Convento e il collegio serafico (quando era attivo) – fr. Vincenzo aveva la possibilità per ridistribuire generosamente quanto raccolto in favore delle persone bisognose. In diverse circostanze ha anche fatto sentire a tanti ragazzi il suo affetto e i suoi consigli. Per questa sua intensa attività nel 2008 ebbe un riconoscimento pubblico con la consegna del premio “Uomini socialmente utili”, nell’ambito di una manifestazione organizzata presso il teatro Massimo di Pescara.

Fr. Vincenzo Sabatino D’Elpidio era nato a Guardia Vomano, in provincia di Teramo, il 16 febbraio 1932. Nel 1952, dopo aver ascoltato un predicatore giunto al suo paese – p. Pio Palandrani da Mosciano Sant’Angelo – maturò la decisione di seguire il suo esempio entrando nel convento dei cappuccini di Sulmona. Purtroppo il suo desiderio di studiare e diventare sacerdote non poteva essere soddisfatto per ragioni d’età, avendo limitato i suoi studi alla frequenza della sola scuola elementare. Gli consigliarono di rimanere come fratello religioso, dicendogli che così avrebbe potuto “farsi santo più che sacerdote”. Ma per fr. Vincenzo non fu facile all’inizio accettare questa prospettiva, anche se si dedicò all’approfondimento personale delle conoscenze ascetiche e delle scritture dottrinali, con la costante volontà di fare sempre meglio per migliorare la sua salvezza e quelle anime. La sua limitata cultura fu ampiamente compensata dalla sua straordinaria fede, tanto che P. Carmine Ranieri, che negli anni scorsi fu Provinciale dei Cappuccini d’Abruzzo. Nell’apprendere la notizia della sua scomparsa lo ha descritto “Uomo di fede rocciosa e di grande energia che promanava dalla stessa possenza corporea”.

Dopo nove mesi lo mandarono al Convento di Penne, dove iniziò il noviziato, facendo la professione semplice il 13 febbraio 1954. All’inizio del 1960 fu assegnato al Convento della Madonna dei Sette Dolori dove è rimasto fino alla morte. Era allora una realtà rurale sopra la collina, con poche case intorno al convento, che negli anni il frate vide crescere a dismisura fino a diventare una città nella città. Per anni ha svolto compiti di questuante, cuciniere, contadino, cantiniere, sacrestano, che lo impegnavano dalla mattina alla sera, anche trascurando la propria salute e senza mai perdere la sua semplicità e il suo proverbiale buon umore. Mi raccontò che nei primi anni sessanta doveva gestire pure 30 pecore del Convento. Una vita piena.

Anche lo scrittore e giornalista tedesco Paul Badde – autore di “Face of God” (storia del Volto Santo di Manoppello) e di un documentario su P. Domenico da Cese per la tv americana EWTN – alla notizia della scomparsa di fr. Vincenzo e vedendo le immagini con l’immensa folla presente ai funerali nonostante le restrizioni sanitarie, mi ha scritto “Era un santo davvero. Nessuno potrà prendere il suo posto”. L’ultimo nostro incontro avvenne il 23 ottobre scorso, quando mi chiese di occuparmi personalmente della ristampa del libro contenente le testimonianze di p. Domenico da Cese, che lui stesso aveva sostenuto negli anni precedenti, facendoli poi distribuire gratuitamente tra i tanti suoi devoti. Anche quest’ultima circostanza mi permette di concludere affermando che i due frati – espressioni esemplari del francescanesimo più autentico – sembrano oggi riprendere un comune cammino, anche nell’immaginario di tante persone.

di Antonio Bini

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