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Mieloma multiplo: bene aggiunta di selinexor

Mieloma multiplo: benefici in termini di sopravvivenza con l'aggiunta dell'inibitore di XPO1 selinexor (S) alla doppietta bortezomib più desametasone (Vd)

Mieloma multiplo ricaduto/refrattrio: l’aggiunta di selinexor a basse dosi a bortezomib-desametasone migliora gli outcome

Una combinazione a dosaggio ridotto di selinexor, bortezomib e desometasone (SVd) si è dimostrata superiore alla combinazione bortezomib-desametasone (Vd) a dosaggio standard nei pazienti con mieloma multiplo (MM), inclusi soggetti ad alto rischio. Lo evidenziano i risultati di un’analisi dei dati dello studio randomizzato BOSTON relativa a un sottogruppo prespecificato in base allo stato di rischio citogenetico, presentata al 62° congresso dell’American Society of Hematology (ASH).

La tripletta ha migliorato sia il tasso di risposta complessiva (ORR) sia la sopravvivenza libera da progressione (PFS), nonostante l’utilizzo di una schedula che prevedeva l’utilizzo di un 40% in meno di bortezomib e del 25% in meno di desametasone durante le prime 24 settimane di trattamento.

Lo studio BOSTON
Nonostante i recenti progressi terapeutici, rimane la necessità di nuovi trattamenti per migliorare gli outcome clinici e ridurre gli effetti avversi legati alla presenza di una citogenetica ad alto rischio nei pazienti con MM.

Lo studio BOSTON è un trial multicentrico internazionale di fase 3 i cui primi risultati sono stati presentati al congresso ASCO nel giugno scorso. Nel trial si è valutata la combinazione di selinexor per os (1000 mg) più l’inibitore del proteasoma (PI) bortezomib sottocute (1,3 mg/m2), entrambi una volta a settimana, e desametasone (20 mg) due volte a settimana (regime SVd) contro bortezomib sottocute (1,3 mg/m2) due volte a settimana e desametasone (20 mg) quattro volte a settimana (regime VdI in pazienti con MM che avevano ricevuto in precedenza da uno a tre trattamenti.

I dati presentati all’ASCO hanno dimostrato che il regime SVd migliora significativamente la PFS, il tempo alla terapia successiva (TTNT), l’ORR e la profondità della risposta, riducendo al contempo il rischio e la gravità di neuropatia periferica (PN) rispetto al regime Vd.

La nuova analisi presentata all’ASH
Sulla base di questi risultati, Shambavi Richard, della Icahn School of Medicine presso la Mount Sinai University di New York, e colleghi hanno condotto un’analisi post-hoc dei dati dello studio BOSTON, valutando i risultati nel sottogruppo di pazienti con citogenetica ad alto rischio e confrontandoli con quelli dei pazienti a rischio standard.

La PFS valutata da revisori indipendenti era l’endpoint primario dello studio. L’analisi citogenetica è stata condotta ricorrendo alla metodica dell’ibridazione fluorescente in situ (FISH), condotta su cellule CD138+ prelevate dagli aspirati midollari prelevati al momento dello screenig.

Il gruppo ad alto rischio era costituito da pazienti con almeno una delle seguenti anomalie citogenetiche: delezione (del) (17p), traslocazione (t) (4; 14), t(14; 16) e amplificazione di 1q21 in almeno il 10% delle cellule screenate; il gruppo a rischio standard era costituito, invece, da tutti gli altri pazienti la cui citogenetica al basale era nota e disponibile.

Miglioramento della PFS, del TTNT e dell’ORR anche con citogenetica ad alto rischio
Dei 402 pazienti arruolati nello studio BOSTON, 192 (il 48%) avevano un rischio elevato (97 nel braccio SVd e 95 nel braccio Vd), mentre 210 (il 52%) avevano una citogenetica indicativa di rischio standard (98 nel braccio SVd e 112 nel braccio Vd).

Il regime SVd ha migliorato la PFS rispetto alla Vd sia nei soggetti con citogenetica ad alto rischio (12,9 contro 8,1 mesi; HR 0,67; IC al 95% 0,45-0,98; P = 0,0192) sia in quelli a rischio standard (16,6 contro 9,7 mesi; HR 0,63; IC al 95% 0,42-0,95; P = 0,0131).

Allo stesso modo, anche il TTNT è risultato significativamente superiore con SVd rispetto a Vd sia nei pazienti ad alto rischio (14,6 contro 8,7 mesi; P = 0,0049) sia in quelli a rischio standard (NR contro 13,1 mesi; P = 0,0158).

Inoltre, l’ORR è risultato significativamente più alto con SVd nel gruppo ad alto rischio (77,3% vs. 55,8%, rispettivamente; P = 0,0008).

Beneficio massimo del regime Svd nei pazienti con del(17p)
In merito all’efficacia dei trattamenti in studio a seconda delle specifiche alterazioni citogenetiche presenti, è emerso che il regime SVd ha migliorato la PFS in tutti i sottogruppi ad alto rischio, eccezion fatta per quello con la t(14;16), che era il sottogruppo numericamente più contenuto.

I pazienti portatori della del(17p) sono quelli che hanno ottenuto il beneficio massimo, sia in termini di PFS risultata di 12,22 mesi per coloro che ricevevano il regime SVd, rispetto a 5,91 mesi per quelli trattati con Vd, sia di ORR (76,2% contro 37,5%; P = 0,0096).

Profilo di sicurezza
I profili di sicurezza dei regimi SVd e Vd nei gruppi ad alto rischio e a rischio standard sono risultati coerenti con quelli già riportati per la popolazione complessiva dello studio.

Da segnalare che il tasso di neuropatia periferica di grado 2 o superiore è risultato inferiore con la tripletta SVd rispetto al regime Vd nei pazienti ad alto rischio (25,7% contro 35,7%; P = 0,18) così come in quelli a rischio standard (15,3% traslocazione 33,6 %; P = 0,0003).

Unmet need per i pazienti con citogenetica ad alto rischio
«Nonostante i recenti progressi nel mieloma, le anomalie associate a un alto rischio, come la del(17p), la t(4;14) e la traslocazione t(4;16) sono ancora associate a una sopravvivenza libera da progressione e una sopravvivenza globale più brevi rispetto alle anomalie citogenetiche riscontrate nei pazienti a rischio standard», ha sottolineato Richard.

Pertanto, ha aggiunto il professore, «C’è un bisogno ancora non soddisfatto di nuove terapie per migliorare i risultati nei pazienti con mieloma che hanno una citogenetica ad alto rischio. Il nuovo meccanismo di azione di selinexor, basato sulla riattivazione delle proteine oncosoppressori e riduzione dei livelli di oncoproteine può essere particolarmente adatto per la malattia ad alto rischio».

In conclusione
Nell’analisi dello studio BOSTON presentata all’ASH, ha concluso Richard, «Il regime SVd una volta a settimana è risultato superiore a Vd in termini di PFS nei pazienti con MM, anche nei diversi sottogruppi di pazienti con citogenetica ad alto rischio. Si è dimostrato un regime altamente attivo e può rappresentare un’opzione di trattamento importante per i pazienti con MM ad alto rischio».

S. Richard, et al. Once Weekly Selinexor, Bortezomib, and Dexamethasone (SVd) Versus Twice Weekly Bortezomib and Dexamethasone (Vd) in Relapsed or Refractory Multiple Myeloma: High-Risk Cytogenetic Risk Planned Subgroup Analyses from the Phase 3 Boston Study. ASH 2020; abstract 1385. Blood (2020) 136 (Supplement 1): 35–36; doi:
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