Site icon Corriere Nazionale

Malattia del trapianto: ruxolitinib efficace e sicuro

I pazienti con gruppo sanguigno 0 e Rh-positivo potrebbero avere una maggiore protezione contro il COVID-19: i dati dello studio presentato da IVI

Malattia del trapianto contro l’ospite cronica (cGVHD): ruxolitinib batte la migliore terapia disponibile in seconda linea

L’inibitore di JAK1/2 ruxolitinib aumenta il tasso di risposta complessiva (ORR) e la sopravvivenza libera da fallimento (FFS), oltre a portare a un miglioramento maggiore dei sintomi rispetto alla migliore terapia disponibile in pazienti con malattia del trapianto contro l’ospite cronica (cGVHD) che non hanno risposto adeguatamente al trattamento con corticosteroidi. A dimostrarlo sono i risultati dello studio di fase 3 REACH3, presentato durante il congresso annuale dell’American Society of Hematology (ASH).

L’ORR alla settimana 24 è risultato del 49,7% nel braccio trattato con ruxolitinib contro 25,6% nel braccio trattato con la migliore terapia disponibile (odds ratio [OR], 2,99; IC al 95% 1,86-4,80; P < 0,0001).

«Questo è il primo studio multicentrico randomizzato e controllato di successo in pazienti adolescenti e adulti con malattia del trapianto contro l’ospite cronica refrattaria ai corticosteroidi e ruxolitinib è il primo agente a dimostrare un’efficacia superiore alla migliore terapia disponibile in uno studio di fase 3 in questa popolazione di pazienti», ha detto in conferenza stampa il primo firmatario dello studio, Robert Zeiser, professore di ematologia e oncologia presso lo University Medical Center di Friburgo. «Lo studio mostra un vantaggio significativo per ruxolitinib. È probabile che porterà all’approvazione di questa indicazione e a un cambiamento delle linee guida per il trattamento di questa malattia» ha aggiunto l’autore.

La GVHD cronica
La malattia del trapianto contro l’ospite cronica è una complicanza del trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche che si verifica quando le cellule T (graft) ricevute da un donatore attraverso il trapianto vedono le cellule e i tessuti sani del paziente (l’ospite) come estranei e iniziano ad attaccarli.
Circa il 30-70% dei pazienti sottoposti al trapianto di cellule staminali sviluppa una cGVHD, che in questi pazienti rappresenta la principale causa di mortalità diversa dalla recidiva.
Il trattamento di prima linea per questa popolazione è tipicamente costituito da corticosteroidi sistemici, ma solo la metà dei pazienti risponderà a questo approccio, mentre l’altra metà diventerà refrattaria o dipendente dai corticosteroidi e per questo secondo gruppo non esisteva finora uno standard di cura consolidato.
In uno studio precedente, chiamato REACH2, ruxolitinib ha mostrato di offrire benefici ai pazienti con GVHD acuta, una forma grave di GVHD, caratterizzata da un tasso di mortalità dell’80%.

Lo studio REACH3
Lo studio presentato ora all’ASH, REACH3 (NCT03112603), punta a determinare se il farmaco sia in grado di fornire benefici simili anche ai pazienti, molto più numerosi, che sviluppano una GVHD cronica. Anche se gravata da una mortalità inferiore a quella della GVHD acuta, i suoi sintomi (tra cui perdita di peso, rigidità cutanea e disabilità multiple) possono, infatti, impattare gravemente e in modo permanente sulla qualità di vita dei pazienti.

Lo studio ha coinvolto 329 pazienti di almeno 12 anni (età mediana: 49 anni; range;12-76; 61% uomini) che erano stati sottoposti al trapianto allogenico di cellule staminali e avevano sviluppato una cGVHD moderata o severa, refrattaria agli steroidi o dipendente dagli steroidi; inoltre, i pazienti dovevano anche segni di attecchimento mieloide e piastrinico.
I partecipanti sono stati assegnati in rapporto 1: 1 al trattamento con ruxolitinib 10 mg due volte al giorno oppure la migliore terapia disponibile scelta dagli sperimentatori fra 10 opzioni disponibili.

Le caratteristiche di base dei pazienti erano simili nei due bracci di trattamento, che erano ben bilanciati quanto a età, sesso, gravità della cGVHD (moderata nel 41,2% dei pazienti trattati con ruxolitinib e 44,5% nei pazienti trattati con la migliore terapia disponibile; severa rispettivamente nel 58,8% dei pazienti contro 54,9%) e punteggio della scala dei sintomi di Lee modificata (mLSS) (mediana: 18,67 contro 18,54).

I partecipanti sono stati sottoposti a 6 cicli di trattamento da 28 giorni e, se assumevano corticosteroidi, potevano continuarli, da soli o in combinazione con un inibitore della calcineurina. Inoltre, potevano assumere antivirali e antibiotici per prevenire le infezioni.
L’endpoint primario dello studio era l’ORR alla settimana 24, valutato secondo i criteri dei National Institutes of Health. Dopo questa valutazione, i pazienti del braccio trattato con la migliore terapia disponibile potevano passare al braccio trattato con ruxolitinib se non raggiungevano o mantenevano una risposta completa o parziale alla terapia, sviluppavano tossicità o avevano un flare di cGVDH. Gli endpoint secondari chiave includevano, invece, l’FFS e il miglioramento dei sintomi basato sulla variazione del punteggio della mLSS alla settimana 24. La risposta nella mLSS era definita come il raggiungimento di una riduzione di almeno 7 punti rispetto al basale del punteggio totale dei sintomi.

Meno pazienti con ruxolitinib hanno interrotto il trattamento
Al momento dell’analisi primaria (8 maggio 2020), i pazienti che erano ancora in trattamento erano il 50,3% (83) nel braccio trattato con ruxolitinib, contro solo il 25,6% (42) nel braccio assegnato alla miglior terapia disponibile. Inoltre, un minor numero di pazienti nel braccio sperimentale aveva interrotto il trattamento rispetto al braccio di confronto: rispettivamente il 49,7% (82) contro 74,4% (122).
La tossicità è stata il motivo dell’interruzione nel 17% dei pazienti nel braccio trattato con il JAK inibitore rispetto al 4,9% nel braccio trattato con la migliore terapia disponibile.

Tuttavia, la mancanza di efficacia è stata una delle principali cause di interruzione nel braccio trattato con la migliore terapia disponibile rispetto al braccio ruxolitinib: 42,7% contro 14,5%. Altri motivi importanti sono stati la decisione del medico (2,4% contro 8,5%) la decisione del paziente o del tutore (2,4% contro 6,7%). Inoltre, il 37,2% dei pazienti del braccio di confronto è passato al braccio ruxolitinib.

Tasso di risposta raddoppiato con ruxolitinb
Lo studio ha centrato il suo endpoint primario, come dimostrato dal raddoppio dell’ORR a 24 settimane nel braccio assegnato a ruxolitinib rispetto al braccio trattato con la migliore terapia disponibile.
Anche il tasso di risposta completa è risultato più alto nel braccio sperimentale rispetto a quello di confronto (6,7% contro 3%) così come il tasso di risposta parziale (43% contro 22,6%).

Inoltre, l’FFS mediana è risultata significativamente più lunga con ruxolitinib e difatti non è stata raggiunta nel braccio sperimentale, mentre è risultata di 5,7 mesi nel braccio di controllo (HR 0,370; IC al 95% 0,268-0,510; P < 0,0001).

Il tasso di risposta nella mLSS alla settimana 24 è risultato più che raddoppiato con ruxolitinib rispetto alla terapia di confronto: 24,2% contro 11% (OR, 2,62; IC 95%, 1,42-4,82; P = 0,0011). Pertanto, coloro che hanno ricevuto l’inibitore di JAK hanno ottenuto un maggiore miglioramento dei sintomi.

Frequenza degli eventi avversi simile nei due bracci
Il profilo di sicurezza di ruxolitinib in questo studio è risultato accettabile e la frequenza degli eventi avversi è stata simile nei due bracci, ha riferito Zeiser.

«La sicurezza è una preoccupazione importante in pazienti come questi, che sono molto suscettibili, in particolare alle infezioni, e che hanno anche cGVHD e sono in terapia con corticosteroidi» ha sottolineato il professore.

Effetti avversi di qualsiasi grado si sono verificati nel 97,6% dei pazienti trattati con ruxolitinib e nel 91,8% di quelli trattati con la migliore terapia disponibile, mentre l’incidenza degli effetti avversi di grado 3 o superiore è risultata rispettivamente del 57% e 57,6, e quella degli effetti avversi gravi rispettivamente del 33,3% e 36,7%.

Gli eventi avversi più comuni sono stati anemia (di qualsiasi grado: 29,1% contro 12,7%; di grado 3 o superiore; 12,7% contro 7,6%), trombocitopenia (di qualsiasi grado: 21,2% contro 14,6%; di grado 3 o superiore: 15,2% contro 10,1%), ipertensione (15,8% contro 12,7%), piressia (15,8% contro 9,5%) e aumento dei livelli di alanina transaminasi (15,2% contro 4,4%).

Nessuna differenza significativa nel tasso di infezioni fra i due bracci
«Non si è osservata nessuna differenza significativa nel tasso di infezioni virali o batteriche tra i due bracci Tuttavia, si è vista una tendenza verso una maggiore frequenza di infezioni fungine con ruxolitinib» ha precisato Zeiser.
I pazienti che hanno sviluppato un’infezione sono stati il 64% con ruxolitinib contro il 56% con la terapia di confronto, di cui rispettivamente l’11,5% contro 5,7% ha sviluppato un’infezione fungina), il 33,9% contro 29,1% un’infezione virale e il 27,9% contro 25,9%) un’infezione batterica, mentre rispettivamente il 5,5% contro 8,2% ha sviluppato un’infezione da CMV o la sua riattivazione.

La percentuale di pazienti che hanno dovuto modificare il dosaggio a causa di tossicità è stata più alta con ruxolitinib rispetto alla migliore terapia disponibile (37,6% contro 16,5%), così come l’incidenza degli eventi avversi che hanno richiesto la sospensione del trattamento (16,4% contro 7%).

I pazienti deceduti al momento del cutoff dei dati erano il 18% nel braccio ruxolitinib e il 16,5% nel braccio di confronto. «Nel complesso, il profilo di tossicità di ruxolitinib si è dimostrato coerente con i dati precedenti e con ciò che ci si aspetta in pazienti con cGVHD» ha concluso Zeiser.

R. Zeiser, et al. Ruxolitinib vs best available therapy in patients with steroid-refractory/steroid-dependent chronic graft-vs-host disease: primary findings from the phase 3, randomized REACH3 study. ASH 2020; abstract 77. Blood (2020) 136 (Supplement 1): 22-24; leggi

Exit mobile version