Site icon Corriere Nazionale

Tumore al seno: appello per test genomici nei LEA

Tumore al seno: il trattamento con chemioterapia, terapia ormonale e un anticorpo anti-HER2 per 12 mesi rappresenta oggi lo standard di cura dopo l’intervento

Tumore al seno: +14% di casi dal 2015, no a chemioterapie inutili. Appello per l’inserimento dei test genomici nei Livelli Essenziali di Assistenza

I nuovi casi di tumore del seno, in Italia, sono aumentati del 14% in 5 anni, da 47.900 nel 2015 a quasi 55mila nel 2020. E oggi più di 834mila donne vivono dopo la diagnosi, con una sopravvivenza a 5 anni che raggiunge l’87%. I test genomici sono uno strumento utile per il clinico, perché consentono di indentificare le pazienti in cui la chemioterapia è inappropriata, evitando tossicità non necessarie e risparmiando risorse. Nel nostro Paese, però, queste analisi, raccomandate dalle più importanti linee guida internazionali e utilizzate nei principali Paesi europei, sono gratuite solo in Lombardia, Toscana e nella Provincia Autonoma di Bolzano, che ne hanno approvato la rimborsabilità. Per questo è necessario arrivare in tempi brevi a un rimborso nazionale dei test genomici, inserendoli nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).

La richiesta viene dai più importanti esperti riuniti nel congresso internazionale “Il nuovo volto della cura del tumore mammario: l’aurora dei test genomici”, che si è svolto, con la partecipazione, fra gli altri, di Gabriel N. Hortobagyi, past president della Società Americana di Oncologia Clinica (ASCO) e Direttore del Department of Breast Medical Oncology, Division of Cancer Medicine MD Anderson Cancer Center (Houston, USA). I temi del congresso sono illustrati in una conferenza stampa. “È importante uniformare la possibilità di accedere gratuitamente ai test genomici in tutte le Regioni, per evitare fenomeni di discriminazione territoriale – afferma Francesco Cognetti, Responsabile scientifico del congresso, Presidente Fondazione Insieme contro il Cancro e Direttore Oncologia Medica Regina Elena di Roma -. Siamo di fronte a una battaglia di civiltà. Nel Lazio, lo scorso giugno, è stata approvata dal Consiglio Regionale una mozione che impegna il Presidente della Regione a presentare richiesta formale in sede di Commissione LEA per il rimborso nazionale dei test genomici. Circa il 70% dei casi di tumore della mammella è di tipo luminale, cioè esprime i recettori estrogenici ma non la proteina HER2 (ER+/HER2-). Dopo la chirurgia, il trattamento sistemico prevede l’utilizzo della terapia ormonale nei casi considerati a basso rischio oppure l’aggiunta della chemioterapia adiuvante (cioè dopo l’intervento chirurgico) alla terapia ormonale, in presenza di un rischio elevato. Nella malattia luminale a rischio ‘intermedio’, sussiste però una significativa incertezza terapeutica, perché nelle linee guida internazionali e nazionali non vi sono indicazioni vincolanti su quando sia possibile omettere la chemioterapia o quando invece sia necessario somministrarla. Ne consegue una inevitabile eterogeneità nelle scelte cliniche, con una comprensibile prevalenza di atteggiamenti prudenziali in cui, in genere, viene raccomandata la chemioterapia”.

“Da alcuni anni – continua il prof. Cognetti – la ricerca ha reso disponibili i test di profilazione genomica. Queste analisi molecolari forniscono una stima del rischio di recidiva in misura molto più accurata rispetto ai parametri clinico-patologici tradizionali, identificando con maggiore precisione le pazienti che possono beneficiare della chemioterapia dopo l’intervento. Il test a 21 geni, Oncotype DX, è anche in grado di fornire una previsione del beneficio derivato dalla chemioterapia”.

“Dagli anni Ottanta, quando è nata la chirurgia conservativa della mammella, la qualità di vita delle donne affette da carcinoma mammario è stata al centro della nostra attenzione: numerosi studi clinici hanno consentito di offrire alle nostre pazienti trattamenti sempre più rispettosi della loro integrità psico-fisica – spiega Paolo Veronesi, Direttore del Programma Senologia dell’Istituto Europeo di Oncologia e Presidente Fondazione Umberto Veronesi -. I test genomici, grazie alla possibilità di evitare trattamenti chemioterapici non necessari ad una percentuale significativa di pazienti, proseguono in questa direzione. Per questo la loro rimborsabilità in tutto il territorio nazionale è essenziale, anche perché altrimenti si creano intollerabili disparità tra chi se li può permettere e chi no. Le conseguenze del tumore della mammella e del trattamento hanno un impatto importante sul benessere della paziente e dell’intera famiglia e risvolti indiretti sulla società. La neoplasia del seno è in aumento nelle under 50, che spesso devono sospendere per lunghi periodi l’attività lavorativa. Si tratta di donne giovani, nel pieno della loro vita familiare e professionale, come madri, mogli e lavoratici. Inoltre, per le pazienti in età fertile, va considerata la possibile comparsa di infertilità secondaria in seguito alla chemioterapia. Da qui la necessità di utilizzare tutti gli strumenti che migliorino la qualità di vita e che tutelino l’integrità psico-fisica”.

Nel 2018, sulla prestigiosa rivista scientifica New England Journal of Medicine, è stato pubblicato TAILORx, un grande studio indipendente multinazionale su più di 10.200 donne con tumore del seno ormonosensibile, senza espressione di HER2 e senza coinvolgimento dei linfonodi, condotto su larga scala dal Gruppo ECOG-ACRIN, che ha definitivamente confermato come l’impiego di un test genomico a 21 geni (Oncotype DX) consenta di identificare con precisione le pazienti per le quali la chemioterapia adiuvante rappresenta un salvavita (circa il 20%) e coloro che possono invece evitarla (circa l’80%). Il valore clinico dei test genomici è stato confermato anche da sperimentazioni condotte in Italia.

“Nello studio PONDx, realizzato in collaborazione con il Regina Elena, abbiamo coinvolto oltre 1.700 pazienti affette da tumore al seno sensibile agli estrogeni ed HER2 negativo, di cui 1.200 non presentavano interessamento linfonodale ascellare e la restante parte caratterizzata da interessamento massimo di 3 linfonodi – afferma Riccardo Masetti, Direttore Chirurgia Senologica Fondazione Policlinico A. Gemelli di Roma e Presidente Susan G. Komen Italia -. Una donna su quattro senza interessamento dei linfonodi e ben una su due con linfonodi positivi hanno potuto evitare la chemioterapia inizialmente programmata dal team multidisciplinare sulla base dei criteri tradizionali. Arrivare in tempi brevi a un rimborso nazionale dei test genomici è un obiettivo importante e urgente, anche per ridurre il rischio di contagio con Covid-19. Per le pazienti sottoposte a chemioterapia, la possibilità di infezione dovuta all’abbassamento delle difese immunitarie è elevata. Proteggerle, evitando chemioterapie non necessarie, è un importante presidio per arginare la pandemia”.

Il Consiglio Superiore di Sanità ha redatto nel 2017 un documento che sottolinea come i Test Molecolari Multigenici dovrebbero essere applicati per definire le pazienti con carcinoma della mammella non candidabili alla chemioterapia adiuvante. E l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (AGENAS) ha riconosciuto il valore aggiunto in termini di sopravvivenza e qualità della vita fornito dai test multigenici.

“Solo in Lombardia, in Toscana e nella provincia di Bolzano le pazienti possono accedere gratuitamente ai test e solo pochissimi centri hanno deciso di sostenerne autonomamente i costi, contando sul fatto che la riduzione del ricorso alla chemioterapia comporta significativi risparmi economici, oltre che una buona qualità della vita: questa situazione di disequità non è accettabile – conclude Rosanna D’Antona, Presidente di Europa Donna Italia -. A oggi, nonostante le evidenze di letteratura e di esperienza clinica ormai consolidate, il nostro Paese è il fanalino di coda dell’Europa in termini di accesso ai test genomici che ancora non sono inseriti nei Livelli Essenziali di Assistenza. Chiediamo che la Commissione LEA, che sta discutendo il tema, assuma una decisione quanto prima, in favore delle migliaia di donne che potrebbero evitare questo trattamento così invasivo. Europa Donna, con le quasi 160 Associazioni della propria rete e le società scientifiche, è pronta ad avviare una massiccia campagna di advocacy e di sensibilizzazione affinché a tutte le pazienti italiane, che ne possono usufruire, sia finalmente assicurata questa possibilità di evitare cure aggressive e invalidanti.”

Exit mobile version