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L’ansia può aggravare il deficit cognitivo

Come risolvere i problemi di ansia con l'aiuto di una psicoterapeuta online: la psicoterapia di tipo cognitivo-comportamentale è la soluzione ideale

Attenzione ai sintomi di ansia: secondo uno studio dal lieve deficit cognitivo all’Alzheimer la progressione è più rapida

L’ansia è associata a un aumento del tasso di progressione dal lieve deficit cognitivo (MCI, mild cognitive impairment) alla malattia di Alzheimer, secondo uno studio presentato all’incontro annuale della Radiological Society of North America (RSNA).

Molte persone con malattia di Alzheimer soffrono per la prima volta di MCI, un declino delle funzioni cognitive come la memoria e le capacità di pensiero, in modo più rapido di quanto normalmente associato all’invecchiamento. L’ansia è stata frequentemente osservata in pazienti con MCI, anche se il suo ruolo nella progressione della malattia non è ben compreso.

Quale rapporto tra disturbo dell’umore e strutture cerebrali?
«Sappiamo che la perdita di volume in alcune aree del cervello è un fattore che predice la progressione alla malattia di Alzheimer» ha detto l’autrice senior dello studio Maria Vittoria Spampinato, professore di Radiologia alla Medical University of South Carolina (MUSC) di Charleston. «In questo studio, volevamo vedere se l’ansia avesse un effetto sulla struttura cerebrale, o se l’effetto dell’ansia era indipendente dalla struttura cerebrale nel favorire la progressione della malattia».

Il gruppo di studio comprendeva 339 pazienti, con età media di 72 anni, della coorte Alzheimer’s Disease Neuroimaging Initiative 2. Ogni persona aveva una diagnosi al basale di MCI; 72 sono progrediti fino alla malattia di Alzheimer, mentre 267 sono rimasti stabili.

I ricercatori hanno effettuato esami di risonanza cerebrale (MRI) per determinare i volumi al basale dell’ippocampo e della corteccia entorinale, due aree importanti nella formazione dei ricordi. Hanno anche testato la presenza dell’allele ApoE4, il fattore di rischio genetico più diffuso per la malattia di Alzheimer. L’ansia è stata misurata con indagini cliniche consolidate.

Ippocampo e corteccia entorinale, volumi ridotti alle scansioni MRI
Come previsto, i pazienti che sono progrediti alla malattia di Alzheimer avevano volumi significativamente inferiori a livello dell’ippocampo (vedi frecce nella foto in alto) e della corteccia entorinale e una maggiore frequenza dell’allele ApoE4. In particolare, però, i ricercatori hanno scoperto che l’ansia era associata indipendentemente al declino cognitivo.

«I pazienti con MCI e sintomi d’ansia hanno sviluppato la malattia di Alzheimer più velocemente degli individui senza ansia, indipendentemente dal fatto che avessero un fattore di rischio genetico per la malattia di Alzheimer o la perdita di volume cerebrale» ha detto la prima autrice dello studio, Jenny L. Ulber, medico presso il MUSC.

Il legame tra i sintomi d’ansia e una progressione più rapida alla malattia di Alzheimer rappresenta un’opportunità per migliorare lo screening e la gestione dei pazienti con MCI precoce, hanno sottolineato i ricercatori.

Screening e approcci terapeutici in geriatria da rivedere
«Dobbiamo comprendere meglio l’associazione tra disturbi d’ansia e declino cognitivo» ha commentato Spampinato. «Non sappiamo ancora se l’ansia è un sintomo – cioè se la loro memoria sta peggiorando e diventano ansiosi – o se l’ansia contribuisce al declino cognitivo. Se in futuro fossimo in grado di scoprire che l’ansia sta effettivamente causando progressione, allora dovremmo trattare in modo più aggressivo i disturbi d’ansia negli anziani».

«La popolazione geriatrica viene regolarmente sottoposta a screening per la depressione in molti ospedali, ma forse questa popolazione vulnerabile dovrebbe anche essere valutata per i disturbi d’ansia» ha aggiunto Ulber. «Gli individui di mezza età e anziani con un alto livello di ansia possono beneficiare dell’intervento, che si tratti di terapia farmacologica o cognitivo-comportamentale, con l’obiettivo di rallentare il declino cognitivo».

Lo studio si basava su scansioni MRI fatte in un determinato momento. Per la ricerca futura, il team vorrebbe studiare gli esami di MRI ottenuti dopo la scansione iniziale per comprendere meglio la connessione tra ansia e struttura cerebrale.

«Ora siamo interessati a guardare i cambiamenti nel tempo per vedere se l’ansia ha un effetto in un modo o nell’altro sulla velocità con cui il danno cerebrale progredisce» ha chiarito Spampinato. «Valuteremo anche attentamente le possibili differenze di genere nell’associazione tra ansia e declino cognitivo».

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