Nel costante sforzo di migliorare gli esiti di un paziente dopo un infarto miocardico (IM) acuto, un gruppo di ricercatori svedesi stanno sondando una nuova prospettiva: la possibilità che l’identificazione e il trattamento dell’Helicobacter pylori riduca le emorragie gastrointestinali nella popolazione con IM acuto migliori il decorso complessivo. I risultati di uno studio pilota mirato a testare questa ipotesi sono stati pubblicati online sull’”American Heart Journal”.

Come è nata l’ipotesi
Sono migliorati i tassi di eventi ischemici ricorrenti nei pazienti con IM negli ultimi 15-20 anni, compresa anche la mortalità, ma negli ultimi due anni la curva si è appiattita. Non si stanno più migliorando gli eventi, a causa del bilanciamento tra i rischi di ischemia e sanguinamento, afferma Robin Hofmann, autore senior nello studio insieme con Magnus Bàck (entrambi del Karolinska Institutet di Stoccolma).

Con l’obiettivo di migliorare tale equilibrio, hanno consultato i colleghi gastroenterologi, i quali hanno sottolineato che i fattori chiave di rischio per il sanguinamento gastrointestinale – una delle complicazioni più temute della terapia antitrombotica in questo setting – sono l’età più avanzata, il sesso maschile, la funzione renale ridotta e l’infezione da Helicobacter pylori (H. pylori).

Quest’ultimo fattore non era stato considerato in precedenza da Hofmann e colleghi, spingendoli a testare la fattibilità dei test e dell’eventuale trattamento dell’infezione batterica in una piccola serie di pazienti affetti da IM acuto durante il loro ricovero in uno dei due ospedali della capitale svedese.

Lo studio pilota ha visto come primi autori altri due cardiologi del Karolinska, Jonatan Wàrme e Martin Sundqvist. In tutto, 310 pazienti consecutivi hanno fatto un test dell’urea al letto del paziente durante il loro ricovero in ospedale. Nella popolazione svedese generale, la prevalenza dell’H. pylori è stimata all’11%, scrivono gli autori, ma tra i pazienti affetti da sindrome coronarica acuta (ACS) dello studio, il 20% è risultato positivo. Tale numero è salito al 24% quando i pazienti che già assumevano un inibitore della pompa protonica sono stati esclusi dall’analisi.

Nella coorte generale, i risultati positivi sono stati più comuni nei fumatori e nei pazienti con infarto con sovraslivellamento del tratto ST (STEMI) rispetto a non-STEMI, dato – quest’ultimo – confermato dall’ analisi multivariata. «L’infezione attiva da H. pylori è comune in una popolazione contemporanea con IM acuto e può rappresentare un fattore di rischio modificabile per le emorragie gastrointestinali superiori, che è stato finora ignorato» scrivono gli autori.

Effetti noti e potenziali del batterio gastrico
La nozione che l’H. pylori giochi un ruolo attivo in un processo infiammatorio legato all’aterosclerosi o a placche instabili risale a quasi due decenni fa, quando gli sforzi per utilizzare antibiotici per prevenire gli eventi cardiovascolari in gran parte non sono riusciti a passare al vaglio. Hofmann sottolineato che ci sono una serie di altri modi attraverso i quali l’identificazione e il trattamento di questa specifica infezione potrebbe rivelarsi utile. Una è l’ipotesi infiammatoria che collega l’infiammazione cronica agli eventi cardiovascolare.

«Naturalmente questo è un piccolo studio. È solo un “segnale” interessante, ma si adatta bene con la teoria che l’H. pylori possa causare un’infezione cronica che potrebbe anche avere un’influsso sulla stabilità della placca» precisa. «E soprattutto ci si è resi conto che questo test è davvero semplice da effettuare durante il periodo del ricovero ospedaliero».
In ogni caso, ridurre il rischio di sanguinamento identificando e sradicando l’infezione di per sé potrebbe rivelarsi importante, afferma. «Almeno in teoria, si riduce abbondantemente il rischio di sanguinamento».

Non solo un tale approccio potrebbe ridurre il rischio di emorragia gastrointestinale, aggiunge, ma c’è anche la possibilità che questo avrebbe un effetto di graduale riduzione degli eventi ischemici, dal momento che sospendere in meno pazienti i loro farmaci antitrombotici equivarrebbe, in linea di principio, a tenerli a minor rischio per attacchi ischemici successivi.

Inoltre Hofmann fa notare che, sebbene le emorragie gastrointestinali siano relativamente rare, che interessando approssimativamente il 3% dei pazienti, causano costi elevati «a livello personale per il paziente e anche per l’assistenza sanitaria. In confronto, il test è molto semplice e la terapia, l’antibiotico e l’inibitore della pompa protonica, sono economici».

Un’analisi costo-efficacia farebbe parte di uno studio più ampio che Hofmann e colleghi stanno pianificando. È stata già ottenuta l’approvazione dei comitati etici per una sperimentazione che coinvolge 40 ospedali e 20mila pazienti, ma che temporaneamente è sospesa , ha detto, a causa della pandemia da COVID-19. L’auspicio è che lo studio possa iniziare l’anno prossimo. La sperimentazione consisterebbe nel testare la presenza e trattare l’H. pylori al momento indice dell’IM acuto, con l’obiettivo di ridurre successivamente emorragie ed eventi ischemici.

Concetti interessanti ma risultati troppo precoci
Una serie di limitazioni dello studio, molte riconosciute anche dagli autori, sono state evidenziate da Tim Kinnaird, dell’University Hospital of Wales, a Cardiff, non coinvolto nella ricerca: tra queste la piccola dimensione del campione e lo svolgimento all’interno di una singola città, aspetto particolarmente problematico poiché i tassi di H. pylori sono noti per variare da Paese a Paese. Fare il salto da una prova di fattibilità così piccola a uno studio di intervento su 20mila pazienti, a Kinnaird, sembra troppo presto.

«Ritengo che gli autori dovrebbero cercare di confermare le loro scoperte in uno studio nazionale o internazionale prima di iniziare a intraprendere uno studio di terapia» ribadisce. Però il giudizio non è completamente negativo. «Penso che questo concetto riunisce due importanti tessere di un puzzle» afferma. «Sappiamo che i pazienti con H. pylori hanno maggiori probabilità di sanguinare, così come i pazienti in trattamento con antipiastrinici».

«Ora abbiamo alcune informazioni sul fatto che i pazienti che si presentano con ACS e in terapia antipiastrinica sembrano avere un più alto tasso di infezione da H. pylori. In un certo senso, tutto questo inizia ad allineare i punti fino a unirsi tra loro, ma al momento lo vedo ancora come un dato speculativo che genera ipotesi» afferma.

Kinnaird conviene, tuttavia, che l’H. pylori potrebbe essere “scivolato fuori dalla mente degli scienziati cardiovascolari” negli ultimi decenni, e che forse vale la pena di considerarlo senza pregiudizi, anche se è troppo presto per trarre conclusioni.

Riferimento bibliografico:
Wärme J, Sundqvist M, Mars K, Aladellie L, Pawelzik SC, Erlinge D, Jernberg T, James S, Hofmann R, Bäck M. Helicobacter pylori screening in clinical routine during hospitalization for acute myocardial infarction: Rational and feasibility. Am Heart J. 2020 Oct 31. [Epub ahead of print] doi: 10.1016/j.ahj.2020.10.072.
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