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Tamponi dal medico di famiglia: progetto irrealizzabile

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Tamponi dai medici di famiglia impossibili per Cristina Patrizi, responsabile area convenzionata del Sindacato dei Medici Italiani del Lazio

Tamponi dai medici di medicina generale? È evidente che si tratta di una situazione che non puo’ realizzarsi. Basterebbe andare a vedere la dotazione di personale e strumentale per le postazioni nate per questo, cioe’ i drive-in, per rendersi conto di come non sia fattibile fare tamponi negli studi dei medici di medicina generale che, per chi non lo sapesse, nella maggior parte dei casi sono appartamenti ad uso civile abitazione“. Cosi’ Cristina Patrizi, responsabile area convenzionata SMI-Lazio e consigliera dell’Ordine dei medici di Roma, interpellata sul tema dall’agenzia Dire.

“Gli studi per lo piu’ sono comuni appartamenti, magari al primo piano di un condominio- ha proseguito Patrizi- dove e’ impensabile stabilire un percorso di entrate e uscite che devono necessariamente essere diversificate, non perche’ lo diciamo noi, ma perche’ per fortuna, anche in questo gran caos del Covid-19, qualche linea guida esiste su questo. E sia la vestizione del personale sia la dotazione di questo tipo di strutture e’ ben delineata”. Cosa accadrebbe, si chiede Patrizi, se in uno studio medico che si trova in un condominio “magari di una grande citta’ come Roma, in cui abitano molte persone, con vecchi ascensori e scale scomode, ci mettessimo a fare tamponi? È cosi’ lapalissiano che non bisognerebbe neppure parlarne. Se noi vogliamo fare le ‘boutade’, perche’ ci si ricorda della medicina generale quando ci sono da fare interventi territoriali, allora noi diciamo: ce ne siamo accorti molto in ritardo. Se adesso andiamo in un poliambulatorio di una Asl troviamo le file fuori, il personale di vigilanza che cerca di mantenere le file con dei percorsi differenziati e le persone che si accalcano e discutono. Un disastro. Pensiamo a cosa accadrebbe in un condominio. È veramente parlare del nulla. E noi siamo stanchi di parlare del nulla, perche’ abbiamo lasciato sul campo centinaia di colleghi morti per l’inefficienza del sistema“.

I medici di medicina generale si dicono pero’ “disponibili a lavorare, a dare supporto ai servizi epidemiologici- sottolinea Patrizi- lo abbiamo detto a tutte le aziende. È da novembre 2019 che non veniamo convocati dalla Regione Lazio. Molti colleghi hanno dato disponibilita’ a lavorare nelle Uscar, ma la normativa regionale, nazionale nello specifico, recita che la comune attivita’ della continuita’ assistenziale deve essere salvaguardata, nel rispetto delle normative della privacy. Noi, con mezzi di protezione che sono e continuano ad essere inadeguati, abbiamo sempre continuato a visitare e siamo sempre stati aperti, dando disponibilita’ telefonica continua. I nostri colleghi stanno subendo uno stress che nessun altro subisce, nessuno specialista ambulatoriale ha dato reperibilita’ telefonica ai propri pazienti. Parliamo quindi di cose serie – ha concluso alla Dire (www.dire.it) – non di stupidaggini“.

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