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Scoperto come modificare il DNA mitocondriale

Scoperto il modo per modificare il DNA mitocondriale

Editing genomico: scoperto il modo per modificare il DNA mitocondriale a partire da un enzima di origine batterica

Anche se il DNA mitocondriale codifica per pochissimi geni rispetto al DNA nucleare, mutazioni in queste sequenze possono causare seri danni all’organismo perché questi organelli sono i produttori di energia delle nostre cellule. Negli ultimi anni CRISPR ha permesso ai ricercatori di modificare i genomi di vari organismi, ma questo strumento di editing funziona bene per il DNA che si trova nel nucleo poiché manca un modo efficiente di trasportarlo all’interno dei mitocondri. Questo fino ad oggi. Un gruppo di ricerca statunitense ha ora scoperto che una particolare tossina (un enzima), prodotta dal batterio Burkholderia cenocepacia, può raggiungere il DNA mitocondriale e agire in modo simile alla tecnica di base editing, cioè modificando uno dei mattoncini che compongono il materiale genetico. Lo studio è stato pubblicato a inizio luglio su Nature.

Le malattie mitocondriali sono patologie eterogenee, complesse, spesso gravi e pericolose per la vita, causate per la maggior parte da alterazioni del DNA mitocondriali che si ripercuotono sulla funzionalità di proteine essenziali a livello dei mitocondri. Sono difficili da studiare perché non è possibile realizzare modelli animali con le stesse mutazioni umane sul DNA mitocondriale, proprio a causa della difficoltà nel manipolarlo. La possibilità di “mettere le mani” su questi pochi geni potrebbe permettere di fare ricerca preclinica e ampliare lo studio di queste malattie genetiche e, in futuro, di possibili terapie. I tessuti più colpiti sono quelli che richiedono un maggior apporto energetico – muscoli e cervello – essendo i mitocondri le “centraline energetiche” delle cellule. L’ereditarietà di queste patologie è particolare: la maggior parte segue un’ereditarietà mitocondriale, ovvero viene ereditata dalla mamma dato che i mitocondri vengono ricevuti dalla cellula uovo, una piccola parte segue invece un andamento classico (con ereditarietà dominante, recessiva o legata al cromosoma X). Ma come spesso succede esistono delle eccezioni e, in un caso su 5000, può essere presente anche DNA mitocondriale ereditato dal padre). Ad oggi non esiste una terapia risolutiva per le malattie mitocondriali e solo in alcuni casi è possibile rimediare al deficit, mentre negli altri è raccomandata una terapia di supporto per limitare i danni. Esempi di malattie mitocondriali sono la neuropatia ottica ereditaria di Leber (LHON), la sindrome di Leigh, la sindrome di Pearson, l’atrofia ottica dominante (DOA-ADOA) e i disturbi da deficit di coenzima Q10.

Dopo questa premessa è facile intuire l’importanza della scoperta di un modo per raggiungere il DNA mitocondriale e modificarlo: un progresso fondamentale per lo sviluppo di terapie geniche per le malattie causate da difetti dei mitocondri e per lo studio della rilevanza di queste mutazioni in altre malattie o disfunzioni legate all’età. Il gruppo di ricerca – guidato dal biologo del Broad Institute del MIT David R. Liu, tra i pionieri della tecnica di base editing, e da Joseph D. Mougous, microbiologo della University of Washington School of Medicine – ha raggiunto ottimi risultati grazie alla collaborazione tra i due centri coinvolti. Mougous e i suoi collaboratori avevano precedentemente scoperto uno strano enzima, una tossina prodotta dal batterio B. cenocepacia, che quando incontra la base azotata C (citosina) del DNA, la converte automaticamente in una U (uracile). La tossina, chiamata DddA, serve ad avviare una reazione, nota con il nome deaminazione, che permette la rimozione di un gruppo amminico dalla molecola citosina con conseguente formazione di uracile. L’uracile non è presente nel DNA, ma si comporta come un’altra base presente nel DNA: la T (timidina). Quando il DNA viene replicato, cioè “fotocopiato”, si produce una versione modificata della sequenza, con la C convertita in una T. Se fatto nel posto giusto, questa modifica può essere utile a correggere un difetto genetico. Al Broad Institute, Liu stava studiando da tempo il modo di agire sul DNA mitocondriale e la collaborazione ha permesso di unire le competenze per un fine comune.

È interessante il fatto che, a differenza di CRISPR (che necessita di un enzima, come il noto Cas9, per tagliare il DNA dove si vuole fare la correzione), DddA può agire direttamente sul DNA, caratteristica che gli permette di raggiungere l’interno del mitocondrio senza la necessità di ulteriori “pezzi” per funzionare. Inoltre, a differenza di enzimi simili, agisce sul DNA a doppio filamento (cioè sulla doppia elica) e non solo sul singolo filamento (RNA o altri derivati). Bisogna però essere capaci di gestire la sua azione: senza un qualche tipo di controllo, la tossina DddA modificherebbe tutte le C che incontra, senza alcuna logica e causando più problemi che soluzioni. Per evitare questo effetto collaterale, i ricercatori hanno diviso DddA in due pezzi, così da farla funzionare solo nel posto giusto, lì dove le parti si dovrebbero riunire nel giusto orientamento grazie a delle sonde guida che si appaiano alla sequenza corretta nei pressi della mutazione.

L’applicazione in clinica è ancora molto lontana, ma i risultati preliminari sono buoni e sono state trovate poche mutazioni fuori dal bersaglio (off target), rischio comune quando si parla di editing. Ci sono ovviamente ancora limiti a livello di conoscenza degli effetti, specialmente per quanto riguarda il carico di mutazioni (più sono, peggiore è la manifestazione della patologia) perché nelle cellule si possono trovare molte copie di DNA mitocondriale e non tutte contengono la mutazione patogenica.

Attualmente, nel caso di malattia mitocondriale di origine materna, in alcuni Paesi (tra cui il Regno Unito) è possibile effettuare una particolare tecnica di fecondazione in vitrosi trasferisce il nucleo di un ovocita della madre all’interno di un ovocita fornito da una donatrice, precedentemente privato del nucleo. Si procede poi alla fecondazione con gli spermatozoi paterni e allo sviluppo di embrioni che saranno poi impiantati nell’utero materno. In questo modo il nascituro avrà il patrimonio genetico dei genitori, ma il DNA mitocondriale proveniente dalla donatrice sana, evitando così la malattia.

Lo sviluppo di soluzioni adatte alla manipolazione del DNA mitocondriale è stato a lungo oggetto di ricerca e questo è un primo passo concreto per ampliare il nostro kit di sopravvivenza contro le malattie genetiche con un nuovo e potente strumento.

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