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Febbre mediterranea familiare: canakinumab efficace

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Febbre Mediterranea Familiare resistente/intollerante alla colchicina (crFMF), canakinumab sicuro ed efficace nel lungo termine secondo uno studio presentato al congresso EULAR

I pazienti affetti da febbre mediterranea familiare resistente/intollerante alla colchicina (crFMF) sperimentano a 72 settimane, dopo trattamento con canakinumab, un’incidenza minima di recidive e un buon controllo dell’attività clinica di malattia, in assenza di emersione di nuovi segnali inattesi di safety. Queste le conclusioni di uno studio (1) presentato nel corso del congresso EULAR di quest’anno, tenutosi in modalità virtuale.

Razionale e disegno dello studio
La febbre mediterranea familiare resistente/intollerante alla colchicina (crFMF) rappresenta una delle 3 sindromi autoimmunitarie da Febbre periodica esistenti, assieme alla HIDS/MKD (Sindrome da Iper-IgD, detta anche sindrome da deficit di mevalonato-chinasi e alla TRAPS – Tumor necrosis factor Receptor Associated Periodic Syndrome).

Oltre agli episodi febbrili, le tre patologie in questione sono caratterizzate dal coinvolgimento articolare, cutaneo e delle membrane sierose, come pure dalla secrezione eccessiva di IL-1 beta.

Ciò premesso, i meccanismi molecolari precisi che portano alle rispettive malattie differiscono tra loro: nella febbre mediterranea familiare, ad esempio, la mutazioni del gene MEFV portano all’attivazione dell’inflammasoma pirina (importante nella regolazione della secrezione di IL-1).

Il trattamento convenzionale della Febbre Mediterranea Familiare si basa sulla colchicina: questo farmaco, però non risulta efficace o non è tollerato dal 5-10% dei pazienti trattati.

Queste febbri periodiche, però, pur causate da mutazioni diverse e associate a sintomatologia clinica in parte differente, sono tutte accomunate dall’ipersecrezione di IL-1.

Nel 2018, uno studio italiano coordinato dal dott. Fabrizio de Benedetti (UOC Reumatologia, Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù”, Roma) – lo studio CLUSTER – aveva dimostrato l’efficacia superiore di canakinumab, anticorpo monoclonale anti-IL1, rispetto al placebo, nel trattamento delle 3 sindromi autoimmunitarie da Febbre periodica sopra indicate (2).

La nuova analisi presentata al Congresso si è proposta di valutare l’efficacia e la sicurezza del farmaco nel lungo termine in pazienti con crFMF reclutati trattati durante la fase di estensione in aperto dello studio (Epoch 4: dalla 40esima alla 113esima settimana).

Lo studio CLUSTER aveva originariamente reclutato, tra gli altri, pazienti con diagnosi genetica confermata di crFMF al momento di una recidiva di malattia. Questi erano stati randomizzati a trattamento con placebo o con una dose standard di canakinumab 150 mg (o 2 mg/kg nei pazienti aventi un peso ≤40 kg) a cadenza mensile.

Un episodio di recidiva era definito dal riscontro di livelli di CRP >10 mg/L e da un punteggio PGA (Physician’s Global Assessment) uguale o superiore a 2.

Nella fase Epoch 4 in aperto dello studio, i pazienti sono stati sottoposti a trattamento con canakinumab 150 mg o 300 mg a cadenza mensile o bimestrale. Il protocollo dello studio prevedeva la titolazione verso l’alto della posologia di canakinumab fino alla dose massima di 300 mg/mese nei pazienti che erano andati incontro a recidiva di malattia.

I ricercatori hanno valutato l’attività di malattia a cadenza bimestrale, utilizzando il punteggio PGA (valutazione globale effettuata dal clinico), contando il numero di episodi di recidiva (definiti da un punteggio PGA ≥2 e livelli di CRP >30 mg/l) e misurando le concentrazioni nel siero di CRP e di amiloide sierica A (SAA).

L’analisi di safety e di efficacia è stata condotta separatamente in due sottogruppi di pazienti sottoposti a trattamento cumulativo con dosi di canakimumab per un totale somministrato inferiore a 2.700 mg oppure uguale o superiore a 2.700 mg.

Risultati principali
Dei 61 pazienti con crFMF che avevano iniziato lo studio CLUSTER, 60 sono entrati nella fase di estensione in aperto (EPOCH 4) e 57 hanno portato a termine il trattamento.

Di questi, 23 (pari al 40%) sono stati in grado di rimanere nel gruppo a dose ridotta fino alla fine dello studio; 9 (16%) hanno avuto bisogno di ricorrere alla posologia di dosaggio più elevata consentita. Inoltre, i pazienti con peso corporeo più elevato hanno avuto maggiori probabilità di necessitare della titolazione della dose di canakinumab per controllare l’attività di malattia.

Nel corso del follow-up. della durata di 72 settimane, il 58,3% dei pazienti dello studio non è andato incontro a recidiva di malattia, a fronte di un 38,3% di pazienti che ha sperimentato un singolo episodio di ricaduta.
Le concentrazioni mediane di CRP sono risultate più basse di 10 mg/l per ciascuno dei timepoint previsti dal protocollo dello studio, indipendentemente dalla dose cumulativa utilizzata.

Invece, le concentrazioni mediane di SAA sono rimaste nel range 16-70 mg/l, risultando più elevate nel sottogruppo di pazienti sottoposti a trattamento cumulativo con dosi di farmaco per un totale somministrato ≥2700 mg.

Quanto alla safety, infine, non sono stati riportati casi di infezioni opportunistiche, malattia renale causata da amiloidosi, né eventi avversi nuovi o inattesi rispetto a quelli già noti.

Questi risultati, pertanto, confermano, anche nel lungo termine, la bontà dell’approccio terapeutico basato sull’inibizione di IL-beta nel trattamento di crFMF.

Vedi anche

http://scientific.sparx-ip.net/archiveeular/?searchfor=OP0272&c=a&view=1&item=2020OP0272

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