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Coronavirus: l’obesità può aggravare l’infezione

Studio francese ha rilevato un'alta frequenza di obesità tra i pazienti ricoverati in terapia intensiva per Covid-19, con forme più gravi di malattia all'aumentare del BMI

Studio francese ha rilevato un’alta frequenza di obesità tra i pazienti ricoverati in terapia intensiva per Covid-19, con forme più gravi di malattia all’aumentare del BMI

Alcuni dati statistici pubblicati di recente in relazione ai ricoveri per Covid-19 a New York e in Francia stanno facendo emergere il fatto che l’obesità rappresenti uno dei maggiori fattori di rischio per l’aggravamento degli esiti dell’infezione, in particolare tra i pazienti più giovani. Queste persone risultano infatti avere il doppio delle probabilità di essere ricoverati in ospedale e una probabilità significativamente più alta di necessitare della terapia intensiva.

«Nei soggetti con meno di 60 anni l’obesità sembra essere un fattore di rischio in precedenza non riconosciuto per il ricovero e per il bisogno di cure intensive. Con importanti implicazioni pratiche, dal momento che quasi il 40% degli adulti negli Stati Uniti è obeso con un indice di massa corporea (BMI) superiore a 30» hanno scritto Jennifer Lighter della NYU School of Medicine/NYU Langone Health e colleghi in una research letter pubblicata online sulla rivista Clinical Infectious Diseases.

Uno studio francese sul rapporto tra obesità e COVID-19

Gli esiti di un nuovo studio retrospettivo francese, pubblicato nei giorni scorsi sulla rivista Obesity, mostrano un’alta frequenza di obesità tra i pazienti ricoverati in terapia intensiva per Covid-19, con un aumento della gravità della malattia al crescere del BMI. «I pazienti obesi dovrebbero evitare qualsiasi contaminazione da COVID-19, applicando tutte le misure di prevenzione durante l’attuale pandemia», hanno affermato gli autori, guidati da Arthur Simonnet del Centre Hospitalier Universitaire di Lille, in Francia.

«Quando i pazienti con Covid-19 hanno iniziato ad arrivare alla nostra unità di terapia intensiva a Lille, c’erano diversi giovani senza altre comorbidità. Erano solo obesi e sembravano avere una malattia molto specifica, qualcosa di diverso da quanto visto in precedenza, e si ammalavano molto rapidamente» hanno osservato.

Gli autori hanno esaminato 124 pazienti ricoverati consecutivamente in terapia intensiva con Covid-19 tra il 25 febbraio e il 5 aprile 2020, confrontandoli con un gruppo di controllo storico di 306 soggetti ricoverati nel 2019 nello stesso reparto con grave malattia respiratoria acuta non correlata all’attuale infezione.

Al 6 aprile, 60 pazienti con Covid-19 erano stati dimessi dalla terapia intensiva, 18 erano deceduti e 46 erano ancora sottoposti a ventilazione meccanica invasiva. Erano principalmente di sesso maschile (73%) e avevano un’età media di 60 anni. L’obesità e l’obesità grave avevano una prevalenza significativamente superiore (p<0,001 per il trend) nei malati di Covid-19 rispetto ai controlli (rispettivamente 47,6% e 28,2%, contro 25,2% e 10,8%).

Nei soggetti con BMI >35 kg/m2 il rischio di necessitare di ventilazione meccanica era 7 volte superiore (p=0,021) rispetto a quelli con BMI <25, anche dopo gli aggiustamenti per età, diabete e ipertensione.

Obesità negli Usa: rischio di ricovero e di terapia intensiva raddoppiato 

Gli studi effettuati a New York presentano una situazione simile. Lighter e colleghi hanno scoperto che dei 3615 individui analizzati risultati positivi per Covid-19, il 21% aveva un BMI di 30-34 e il 16% un BMI ≥ 35.

L’obesità risultava essere un fattore predittivo di ricovero in ospedale o di terapia intensiva solo nei soggetti di età inferiore a 60 anni. In questo gruppo, quelli con BMI di 30-34 avevano una probabilità doppia di essere ricoverati in ospedale (p<0,0001) e di ricorrere alla terapia intensiva (p=0,006) rispetto ai minori di 60 anni con BMI <30. Allo stesso modo, i minori di 60 anni con BMI ≥35 avevano una probabilità 2,2 (p<0,0001) e 3,6 (p<0,0001) volte più elevata di essere ricoverati e di necessitare di terapia intensiva.

«Sfortunatamente, nelle persone con meno di 60 anni l’obesità rappresenta un fattore di rischio epidemiologico identificato solo di recente che può contribuire all’aumento della morbilità nei soggetti infettati dal virus» hanno concluso gli autori.

Conferme da un secondo studio Usa

Una ricerca appena pubblicata sulla rivista medRxiv ha esaminato 4103 pazienti statunitensi con COVID-19 trattati tra il 1 marzo e il 2 aprile 2020 e seguiti fino al 7 aprile. Poco meno della metà (48,7%) è stato ricoverato in ospedale e tra questi il 22,3% ha avuto bisogno della ventilazione meccanica e il 14,6% è deceduto o è stato trasferito in un hospice.

A parte l’età, in queste persone i più importanti predittori di ricovero sono risultati essere un BMI >40 (OR 6,2) e l’insufficienza cardiaca (OR 4,3). «La condizione cronica con la più forte associazione con il livello critico della malattia causata dal virus è risultata essere l’obesità, con un rapporto di probabilità sostanzialmente più elevato rispetto a qualsiasi patologia cardiovascolare o polmonare» hanno osservato il primo autore Christopher Petrilli della NYU Grossman School of Medicine e colleghi.

«L’obesità è caratterizzata da una compromissione della risposta immunitaria e da un’infiammazione cronica di basso grado. Questi soggetti hanno inoltre una dinamica alterata della ventilazione polmonare, con ridotta escursione diaframmatica», ha commentato Livio Luzi dell’IRCCS MultiMedica di Milano in merito alla relazione tra infezione e obesità. «Insieme ad altri, questi fattori possono aiutare a spiegare gli attuali risultati e sottolineano l’importanza di un attento monitoraggio delle persone obese affette da Covid-19».

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