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Lupus: meglio un impiego precoce di belimumab

I pazienti con Lupus eritematoso sistemico hanno un rischio di infezioni gravi che necessitano di ospedalizzazione da 2 a 4 volte più elevato

Lupus: migliori benefici con un impiego precoce di belimumab in pazienti con ridotto danno d’organo secondo uno studio pubblicato su Arthritis & Rheumatology

Uno studio tutto italiano, frutto del lavoro di diverse equipe di ricerca In Reumalogia disseminate nel nostro Paese e coordinato dal prof. Andrea Doria dell’Università di Padova, suggerisce che un impiego più precoce di belimumab nel lupus, in pazienti con ridotto danno d’organo all’inizio del trattamento, potrebbe predire outcome più favorevoli.

Lo studio, condotto nella pratica clinica reale e pubblicato sulla rivista Arthritis & Rheumatology, suggerisce, pertanto, come un impiego più precoce di questo farmaco, diversamente da quanto accade finora, potrebbe massimizzarne l’efficacia in quanto sarebbe in grado di migliorare la prognosi dei pazienti in termini di migliore risposta, raggiungimento dello stato di remissione/ridotta attività di malattia e di contrasto al progredire del danno d’organo.

Razionale e disegno dello studio
“Belimumab – ricordano i ricercatori nell’introduzione allo studio – è stato incluso nelle linee guida 2019 EULAR relative ala gestione del lupus come farmaco biologico da utilizzare nei pazienti refrattari alle opzioni terapeutiche standard (glucocorticoidi e idrossiclorochina) in presenza/assenza di fallimento terapeutico da impiego pregresso di un farmaco immunosoppressore”.

D’altro canto, continuano i ricercatori, “…sia la remissione che la ridotta attività di malattia si sono recentemente imposti come target terapeutici da raggiungere nel LES, in quanto  associati ad una riduzione del rischio di danno d’organo e ad una migliore prognosi, soprattutto quando vengono raggiunti precocemente nel corso del trattamento”.

Il nuovo studio si è proposto di esaminare l’efficacia e la sicurezza del farmaco nella pratica clinica reale (real world) e di identificare i fattori associati con la migliore risposta e la prevenzione del danno d’organo.

A tal scopo, i ricercatori hanno analizzato in modo prospettico i dati dello studio BeRLiSS,  “Belimumab in Real Life Setting Study”, uno studio di coorte multicentrico di 466 pazienti trattati dal 2013 al 2019 in 24 centri reumatologici dislocati sull’intera Penisola.

Tutti i pazienti erano refrattari ai trattamenti standard terapeutici a base di GC idrossiclorochina, in presenza/assenza di trattamento con farmaci immunosoppressori aggiuntivi. Belimumab era stato somministrato endovena al dosaggio di 10 mg/kg dopo uno, 14, 28 giorni e, successivamente, ogni 28 giorni dall’inizio dello studio.

La maggior parte dei pazienti era costituita da donne, aventi un’età media di 41 anni all’inizio dello studio e con una durata media di malattia pari a 11,6 anni.
Il punteggio medio di attività di malattia  (the SLE Disease Activity Index: SLEDAI) al basale era pari a 9,3, con un 39,4% di pazienti che aveva punteggi SLEDAI uguali o superiori a 10. Il punteggio mediano di danno d’organo SDI (the Systemic Lupus International Collaborating Clinics Damage Index) era pari, invece, a 1.

Tra le manifestazioni di malattia riferite dai pazienti reclutati nello studio vi erano condizioni muscoloscheletriche (70,8%), cutanee (45,3%), costituzionali (febbre e stanchezza nel 44,8% dei casi), ematologiche (34,8%)  e renali (21,9%).

Infine, nel 16,5% dei pazienti la durata di malattia era pari o inferiore ai 2 anni.

I ricercatori hanno determinato la proporzione di pazienti in grado di raggiungere la remissione, la ridotta attività di malattia e quelli in grado di rispondere al trattamento in base all’indice SRI-4 (SLE Responder Index-4) [NdR: in base a questo indice composito, un soggetto è considerato “responder” al trattamento (soddisfacimento della risposta SRI4) se mostra un miglioramento di almeno 4 punti del punteggio SLEDAI-2K e, al contempo, non presenta risultati peggiori relativi all’attività di malattia in base al Physician Global Assessment e all’indice BILAG (British Isles Lupus Assessment Group)].

I predittori degli outcome del trattamento sono stati determinati in base ad un’analisi di regressione logistica multivariata.

Risultati principali
Dall’analisi dei dati è emerso che la risposta SRI-4 al trattamento è stata raggiunta:
– Dal 49,2% dei pazienti a 6 mesi
– Dal 61,3% dei pazienti a 12 mesi
– Dal 69,7% dei pazienti a 24 mesi
– Dal 69,6% dei pazienti a 36 mesi
– Dal 66,7% dei pazienti a 48 mesi

I predittori iniziali di risposta a 6 mesi sono risultati:
– Un punteggio SLEDAI-2K≥10 (OR=3,14; IC95%=2,033‐4,860)
– Una durata di malattia ≤2 anni (OR=1,94; IC95%=1,078‐3,473)

A 12 mesi, invece, I predittori di risposta sono stati:
– Un punteggio SLEDAI-2K≥10 (OR=3,48; IC95%=2,004‐6,025)
– Un punteggio SDI=0 (OR=1,74, IC95%=1,036‐2,923)

A 24 mesi, i predittori di risposta sono stati:
– Un punteggio SLEDAI‐2K≥10 (OR=4,25; IC95%= 2,018‐8,940)
– Una durata di malattia ≤2 anni (OR=3,79; IC95%=1,039‐13,52)

A 36 mesi, infine, I predittori di risposta sono stati:
– Un punteggio SLEDAI‐2K≥10 (OR=14,59; IC95%=3,54‐59,79)
– Lo status iniziale di fumatore (OR=0,19; IC95%=0,039‐0,69

Dallo studio è emerso anche che:
– I pazienti che trascorrevano ≥25% del follow‐up in remissione (42,9%) o ≥50% in ridotta attività di malattia (66%) mostravano meno danno d’organo (p=0,046 e p=0,007)
– Un punteggio iniziale SDI=0 era in grado di predire in modo indipendente una LDA ≥50% e una remissione ≥25%; più basso era il danno d’organo allo stato iniziale e maggiore la probabilità di avere una remissione ≥25%.
– Il numero di recidive pregresse ha predetto in modo inverso la sospensione di belimumab per problemi di inefficacia del trattamento (p= 0,009)

Riassumendo
Nel commentare i risultati, i ricercatori hanno sottolineato come i risultati ottenuti considerando il danno d’organo ribadiscano l’importanza di iniziare il trattamento con belimumab più precocemente di quanto non lo si faccia ora nel corso di malattia – cioè prima del suo manifestarsi del danno d’organo.

E’ stato anche evidenziata una riduzione del tasso di recidive di malattia a seguito del trattamento nel tempo con belimumab, “…a suggerire un possibile ruolo del farmaco nel mettere un freno al fenotipo di malattia recidivante-remittente, esercitando un ulteriore effetto protettivo contro il danno d’organo”.

“Nel complesso – concludono i ricercatori – lo studio ha fornito nuove evidenze di un efficace raggiungimento della remissione o della ridotta attività di malattia durante il trattamento con belimumab che, probabilmente, si prolunga nel tempo. Inoltre, il lavoro ha confermato i risultati di studi precedenti sull’impiego real life del farmaco nella pratica clinica reale in termini di riduzione dell’attività di malattia globale e organo-specifica, della dosa giornaliera di prednisone, del tasso di recidive e di progressione del danno d’organo”.

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