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Stenosi aortica: TAVI non inferiore alla chirurgia

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Stenosi aortica a basso rischio: i risultati a due anni continuano a mostrare un beneficio numerico dell’impianto valvolare aortico transcatetere rispetto all’intervento chirurgico

Nei pazienti con stenosi aortica a basso rischio chirurgico, i risultati a due anni continuano a mostrare un beneficio numerico della TAVI (impianto valvolare aortico transcatetere) rispetto all’intervento chirurgico per quanto riguarda l’endpoint primario dello studio PARTNER 3 di morte, ictus o riospedalizzazione cardiovascolare, ma la differenza si è ridotta. I dati sono stati presentati durante l’edizione “virtuale” delle sessioni scientifiche dell’American College of Cardiology (ACC.20).

Un aumento delle morti e degli ictus nel braccio TAVI sembra dunque colmare il divario, secondo i nuovi numeri del PARTNER 3, i cui risultati a 1 anno avevano mostrato la superiorità della TAVI rispetto alla chirurgia per l’endpoint primario combinato, con risultati così clamorosi – una differenza del 7,1% che si traduceva in un effetto terapeutico del 48% – da sorprendere gli stessi ricercatori.

Questo aggiornamento mostra una differenza del 5,9% che si traduce in un effetto terapeutico del 37% a 2 anni, pur rispettando i criteri di non inferiorità (P = 0,007). Gli studiosi non hanno testato la superiorità a 2 anni.

«Alcune persone potrebbero “appropriatamente” far notare che la TAVI a questo punto non è inferiore all’intervento chirurgico anche con un gap più stretto nei risultati. E poi gli altri guarderanno le curve e le vedranno avvicinarsi e potranno dire che a un certo punto le linee si incroceranno e saranno a favore di un intervento chirurgico. Ma è tutta speculazione» ha detto Michael Mack, del Baylor Scott & White Heart Hospital di Plano, Texas, presentando lo studio.

Superiorità per l’endpoint primario ma non per i singoli componenti
Il PARTNER 3 comprendeva 1.000 pazienti con un STS (Society of Thoracic Surgery) Predicted Risk of Mortality inferiore al 4% (punteggio medio STS-PROM: 1,9%) trattati con la valvola cardiaca transcatetere espandibile con palloncino Sapien 3 (Edwards Lifesciences) o un intervento chirurgico in 71 centri. L’età media dei soggetti trattati era di 73,4 anni e quasi il 70% dei pazienti erano uomini.

A 2 anni, la TAVI ha mantenuto la superiorità per l’endpoint primario ma non per i singoli componenti, a eccezione della riospedalizzazione (vedi tabella sotto).

 Chirurgia  TAVI  HR  IC al 95%
 Endpoint primario 17,4% 11,5% 0,63 0,45-0,88
 Morte 3,2% 2,4% 0,75 0,35-1,63
 Ictus 3,6% 2,4% 0,66 0,31-1,40
 Morte
o ictus disabilitante
3,8% 3,0% 0,77 0,39-1,55
 Riospedalizzazione 12,5% 8,5% 0,67 0,45-1,00

Tra gli anni 1 e 2, quattro pazienti sottoposti a TAVI sono deceduti per cause cardiovascolari (morte cardiaca improvvisa, sanguinamento endocranico fatale secondario a caduta, arresto cardiaco secondario a chirurgia dell’anca o causa non nota) e tre per cause non cardiovascolari (cancro, suicidio e sepsi). Nel braccio chirurgico, un paziente è deceduto per insufficienza cardiaca e due per cause cardiovascolari sconosciute; nessuno è morto per cause non CV.

Il motivo principale della riospedalizzazione in entrambi i gruppi era l’insufficienza cardiaca congestizia. Per quanto riguarda gli eventi neurologici, si è verificato un ictus non invalidante nei pazienti trattati chirurgicamente tra gli anni 1 e 2, mentre sei pazienti del gruppo TAVI hanno avuto eventi neurologici, tre dei quali erano ictus disabilitanti e tre non disabilitanti.

A 1 anno, l’ incidenza di AF di nuova insorgenza era più bassa nel braccio TAVI (7,9% vs 41,8%) e l’incidenza di nuovo blocco di branca sinistra (LBBB) era maggiore (24,4% vs 9,4%; entrambi P <0,001). Tuttavia, gli eventi di trombosi valvolare definiti dai criteri VARC 2 si sono verificati più spesso nel braccio TAVI a 2 anni (2,6% vs 0,7%; P = 0,02).

Dei 13 pazienti TAVR con trombosi valvolare, sette avevano un gradiente medio maggiore di 20 mm Hg e un aumento maggiore di 10 mm Hg rispetto a un precedente studio di imaging, quattro un gradiente medio maggiore di 20 mm Hg e un aumento inferiore rispetto a 10 mm Hg da un test precedente, uno ha avuto un aumento del rigurgito aortico transvalvolare senza cambiamenti nel gradiente medio e uno non ha avuto cambiamenti nell’emodinamica ma ha avuto eventi clinici che hanno indotto uno studio TC.

I risultati dell’ecocardiografia non hanno mostrato alcun cambiamento nel gradiente medio (13,6 vs 11,8 mm Hg; P <0,001), area della valvola aortica (1,7 vs 1,7 cm2; P= 0,69) o rigurgito paravalvolare (P <0,001) tra TAVI e chirurgia a 2 anni.

Il take-home message dello studio, secondo il ricercatore principale
Per quanto riguarda il motivo per cui potrebbe esserci stato qualche recupero nel braccio TAVI tra gli anni 1 e 2, Mack ha detto «è impossibile dirlo. Sia che si tratti di scoperte reali – che ci siano più ictus o morti tra i trattati con TAVI negli anni 1 o 2 – o che si tratti solo di serendipità, non si può dire perché i numeri sono molto piccoli». In ogni caso, gli eventi che si sono verificati nel braccio TAVI, in particolare, non dovrebbero essere ignorati, ha aggiunto.

Il principale “take-home-message” dai dati a questo punto, secondo Mack, è «che ci sono due buone opzioni per i pazienti a basso rischio e che dovrebbero esserci processi decisionali condivisi con il paziente su quale sia l’opzione migliore per loro».

Discussione su anticoagulanti orali, trombosi e deterioramento strutturale della valvola
Durante la discussione a seguito della presentazione, Howard Herrmann, della Perelman School of Medicine dell’Università di Pennsylvania a Filadelfia, ha affermato che la sua più grande preoccupazione per i dati era «l’aumento dell’ictus e della trombosi valvolare sia numericamente che rispetto alla sostituzione valvolare chirurgica (SAVI) tra gli anni 1 e 2 nonostante la mancanza generale di differenza nell’endpoint primario tra TAVI e SAVI a 2 anni».

Ha chiesto, in particolare, quanti dei pazienti dello studio avevano avuto conferma TC di trombosi valvolare o ispessimento valvolare e se qualcuno di questi eventi era correlato all’AF.

«Tutti i pazienti che avevano una dimostrazione di trombosi valvolare hanno avuto una conferma di imaging della trombosi valvolare mediante TC o ecografia» ha risposto Mack. «Dei 6 pazienti in cui si è verificato un ictus, vi era un paziente con AF preesistente e un paziente con AF di nuova insorgenza. Quindi, solo due dei pazienti erano probabilmente correlati all’AF».

«Dato il rischio di terapia anticoagulante orale con DAPT (doppia terapia antipiastrinica) vista in altri studi, dovremmo usare preferibilmente antagonisti della vitamina K in questa situazione?» ha chiesto ancora Herrmann.

Mack ha detto che un cambiamento nell’emodinamica, un aumento del gradiente valvolare, un aumento della perdita paravalvolare o un cambiamento dei sintomi dovrebbe stimolare uno studio di imaging. «Solo con la conferma della trombosi valvolare nello studio di imaging dovrebbe essere presa in considerazione l’anticoagulazione» ha consigliato.

«L’anticoagulazione orale non è benigna» ha aggiunto. «Degli eventi clinici associati alla trombosi valvolare, due su sei erano correlati all’anticoagulazione, quindi la decisione deve essere basata sulla gravità della trombosi valvolare nel singolo paziente e sul suo rischio di anticoagulazione. Riguardo al fatto se i pazienti debbano ricevere warfarin o un anticoagulante orale non antagonista della vitamina K, non credo che abbiamo alcuna prova del fatto che ci sia qualche beneficio a parte il warfarin al momento attuale, sempre sulla base di altri studi».

La panelist Judy Hung, del Massachusetts General Hospital di Boston, ha chiesto informazioni sui parametri emodinamici utilizzati per identificare la sospetta trombosi valvolare.

Mack ha spiegato che i ricercatori hanno usato le definizioni VARC 2 per la trombosi valvolare, i quali impiegano un gradiente elevato > 20 mm Hg come valore soglia. «Abbiamo anche cercato di utilizzare le definizioni VARC 3 dello studio e utilizzando gli attuali criteri VARC 3 per il deterioramento strutturale della valvola e il fallimento della valvola bioprotesica l’incidenza è molto bassa in entrambi i bracci con nessuna differenza tra TAVI e chirurgia» ha aggiunto.

Hung ha anche chiesto informazioni sulla durata, che è «ovviamente un problema critico» per i pazienti a basso rischio che sono spesso più giovani. «I lembi TAVI possono essere soggetti a maggiori stress meccanici dovuti alla progettazione e alla necessità di essere piegati all’interno di una guaina» ha affermato. «L’aumento della trombosi valvolare osservata nella TAVI è potenzialmente correlata alla degenerazione precoce della valvola strutturale?»

Mack ha sottolineato la limitata capacità del follow-up a 2 anni di mostrare qualcosa di definito sulla durability. «Detto questo, guardando specificamente al deterioramento strutturale della valvola utilizzando i nuovi criteri, non vediamo una maggiore incidenza con la TAVI rispetto all’intervento chirurgico» ha detto.

«L’incidenza è molto bassa, nell’intervallo dell’1%, sia nella TAVI che nella chirurgia utilizzando le attuali definizioni di deterioramento strutturale della valvola. Ancora una volta, penso che sia troppo presto per aspettarsi un segnale, ma ritengo abbastanza confortante che a questo punto non ci sia alcun segnale di deterioramento precoce strutturale della valvola». Questi pazienti saranno seguiti per 10 anni, ha concluso Mack, e a quel punto diventeranno evidenti eventuali problemi relativi al deterioramento strutturale della valvola.

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