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Lupus: nuove terapie migliorano qualità di vita

I pazienti con Lupus eritematoso sistemico hanno un rischio di infezioni gravi che necessitano di ospedalizzazione da 2 a 4 volte più elevato

Lupus eritematoso sistemico: con le nuove terapie migliora la qualità della vita. Controllando la malattia, anche la gravidanza è possibile

Nelle settimane scorse, a Parma, si è tenuto un congresso organizzato da GSK che ha avuto come focus una malattia rara (in generale, ma non in Europa) e insidiosa, il lupus eritematoso sistemico (LES). Il LES è una patologia autoimmune, causata cioè da un’attivazione disfunzionale del sistema immunitario: invece che contro elementi esterni e potenzialmente nocivi, gli anticorpi vanno ad agire contro le cellule dello stesso organismo, provocando danni a volte irreparabili a tessuti e organi.

La diagnosi e la cura del LES non sono banali, a causa alle profonde differenze che si possono riscontrare da paziente a paziente, sia in termini di sintomatologia, sia per quanto riguarda la risposta alle terapie. Per questo motivo, il congresso di Parma ha visto riuniti medici di medicina generale, immunologi, reumatologi, nefrologi, cardiologi e dermatologi, per un confronto di esperienze e conoscenze in un’ottica innanzitutto di formazione, ma anche di scambio di idee. Obiettivo primario dell’evento è stato quello di aggiornare la comunità clinica su approcci diagnostici e terapeutici innovativi.

“Abbiamo messo a confronto varie esperienze – commenta Andrea Doria, Ordinario di Reumatologia dell’Università di Padova – sul decorso della malattia, sull’uso del cortisone, sull’accumulo di danno, e su come raggiungere alcuni target terapeutici come la remissione e la bassa attività di malattia, e quello che è emerso sono esperienze simili: l’impiego del farmaco belimumab, primo anticorpo monoclonale espressamente mirato per la malattia, da iniettare autonomamente attraverso una ‘penna’ pre-riempita, porta un risparmio dell’uso di cortisone e una diminuzione della progressione del LES”. In particolare, il farmaco risulta particolarmente efficace nella riduzione del danno d’organo (uno dei sintomi del LES che più impattano sulla qualità della vita e sulla sopravvivenza media dei pazienti): “Quello che abbiamo visto negli studi – continua infatti Doria – è che il belimumab riduce l’attività di malattia, riduce la dose giornaliera del cortisone così come il danno a carico degli organi. Un risultato importante soprattutto nel medio/lungo termine”.

Certo, la diagnosi precoce rimane elemento necessario per ottenere risultati significativi, ma nel LES la sintomatologia che si manifesta più precocemente (alterazioni a livello cutaneo e articolare, stanchezza, febbre) è variegata e non specifica. È quindi importante che il medico, in presenza di questi sintomi, richieda il dosaggio degli autoanticorpi, che sono i biomarcatori della malattia. “Gli autoanticorpi – spiega Doria – compaiono prima delle manifestazioni cliniche, in un paziente che ha un sospetto di malattia il dosaggio degli autoanticorpi ci consente di confermare la diagnosi. La strategia deve essere quella di diffondere la conoscenza della malattia anche ai medici di medicina generale perché sono loro che vengono a contatto per primi con i pazienti e sono quindi loro quelli che dovrebbero indicare le ‘red flags’ della malattia”.

Diagnosticare, e quindi intervenire precocemente, permette di raggiungere risultati importanti a medio e lungo termine, come spiega Marcello Govoni, Professore Ordinario di Pneumatologia all’Università di Ferrara: “Un inserimento più precoce della terapia immunosoppressiva, tra cui il belimumab, può garantire migliori esiti alla distanza, in particolare nella riduzione del danno e nel minor numero di riacutizzazioni nel tempo, un dato che fa presagire che anche per il lupus esista una finestra di opportunità terapeutica sfruttando la quale si possano massimizzare i risultati”.

Tra questi risultati ce n’è uno, ritenuto fino a pochi anni fa irraggiungibile dalle pazienti affette da LES, e che invece ora vede – con le dovute accortezze – il favore degli esperti: quello di una gravidanza serena. “Al giorno d’oggi possiamo dire che la gravidanza nel lupus è possibile e può avere un esito favorevole, a patto che ci siano delle condizioni particolari”, commenta infatti la prof.ssa Laura Andreoli, degli Spedali Civili di Brescia. “Una delle regole è che la malattia deve essere in buon controllo o in remissione stabile con dei farmaci che possono essere compatibili con la gravidanza, per non rischiare un riacutizzarsi della malattia dovuta alla sospensione di trattamenti non compatibili. Uno dei messaggi che diamo alle giovani pazienti che si preoccupano per il rischio di aborti spontanei o malformazioni del feto – aggiunge la reumatologa – è che i farmaci non aumentano questi rischi, ma che una gravidanza li ha naturalmente. Quello che i medici possono fare è cercare di minimizzare i rischi legati alla malattia autoimmune”.

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