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Operazione all’anca: vitamina D chiave per deambulazione

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Dalla vitamina D un possibile aiuto alla deambulazione post-chirurgica dell’anca secondo uno studio pubblicato su The American Journal of Clinical Nutrition

Stando ad uno studio pubblicato su The American Journal of Clinical Nutrition, il riscontro di livelli deficitari di vitamina D in soggetti anziani precedentemente operati per frattura all’anca si associa a peggiori chance di deambulazione post-operatoria. E’ stato peraltro osservato che i benefici della vitamina D sembrano manifestarsi entro un range di concentrazione definito (intorno alle 800 UI/die), per scomparire in presenza di livelli troppo elevati o troppo ridotti.

I presupposti dello studio

Le fratture all’anca si associano, notoriamente, ad un tasso elevato di morbi- mortalità, e una deambulazione efficiente post-chirurgica rappresenta un outcome importante per questa popolazione di pazienti.

“Tra le fratture di più frequente riscontro nell’anziano, quelle all’anca sono particolarmente temute in quanto le probabilità di recupero sono più ardue e causa di perdita di autonomia – spiegano i ricercatori nell’introduzione allo studio”.

Quasi 3 donne su 4 sperimentano questo tipo di frattura e, stando alle stime dei centri Usa per il controllo e la prevenzione delle patologie, destinate ad aumentare con il progressivo invecchiamento della popolazione.

La riconquista della piena mobilità dopo frattura all’anca rappresenta, pertanto, un traguardo importante per il pieno recupero di queste persone e per la riduzione della mortalità.

E’ noto, peraltro, che il deficit vitaminico D [concentrazioni di 25(OH)D<20 ng/ml] è un noto fattore di rischio di frattura e si associa ad outcome più sfavorevoli e che il mantenimento di concentrazioni vitaminiche nella norma è in grado di influenzare positivamente un certo numero di funzioni diverse nell’organismo, come la salute muscolare e i domini cognitivi che potrebbero influenzare sia la mobilità che il rischio di cadute.

Un altro fattore che influenza gli outcome postoperatori è rappresentato dallo stato nutrizionale. La condizione di sottopeso o di malnutrizione espone i pazienti operati ad una mortalità più elevata nel corso del primo anno dall’intervento chirurgico rispetto ai pazienti normopeso, anche dopo aggiustamento dei dati in base all’età e alla presenza di comorbilità.

Nel corso degli anni sono stati sviluppati punteggi di valutazione dello stato nutrizionale ad hoc, in grado di misurare in modo più affidabile gli outcome clinici rispetto al solo dato del peso corporeo, utilizzati per misurare la mortalità e altri outcome sfavorevoli post-chirurgia.

Per fare degli esempi, il punteggio relativo al “Mini-Nutrition Assessment” è stato utilizzato per predire la durata della degenza ospedaliera post-frattura, mentre l’indice GNRI (the Geriatric Nutritional Risk Index) è utilizzato per valutare se un cattivo stato nutrizionale influenza gli outcome post-intervento chirurgico all’anca in una popolazione di individui in età più avanzata.

Su questi presupposti è stato implementato il nuovo studio, che si è proposto di verificare se i livelli di 25(OH)D o il GNRI fossero in grado di predire gli outcome sfavorevoli sopra indicati (mortalità ed efficienza della deambulazione) nella stessa popolazione.

Sono stati presi in considerazione 290 pazienti ottuagenari (82±7 anni; BMI 25±5; 73% di sesso femminile) ed è stata calcolata la morbi- mortalità a 30 e a 60 giorni dall’intervento chirurgico. I ricercatori hanno registrato i dati relativi alla presenza di albumina nel sangue, alle concentrazioni di 25(OH)D e di ormone paratiroideo.

La categorizzazione dei pazienti in base ai livelli di 25(OH)D ha portato ad individuare:

La categorizzazione dei pazienti in base allo stato nutrizionale (GNRI) ha portato ad individuare:

Risultati principali
Rispetto ai pazienti con concentrazioni di vitamina D deficitarie (<12 ng/ml), quelli con concentrazioni più elevate hanno mostrato tassi più elevati di deambulazione a 30 giorni. Nello specifico, l’odd ratio aggiustato  di migliore capacità di deambulazioneè stato pari a:

Non solo: i ricercatori hanno rilevato anche una maggiore mobilità a 60 giorni (p=0,028) nei pazienti con le concentrazioni maggiori di 25(OH)D rispetto al gruppo di riferimento (<12 ng/ml).

E’ stato anche osservato che un cattivo stato nutrizionale (GNRI<92) si associava ad un trend di mobilità ridotta (p non corretto: 0,044; p corretto: 0,056) a 30 giorni, ma non a 60 giorni.

Infine, non è stata documentata l’esistenza di un’associazione tra i livelli di vitamina D o i punteggi GNRI con la mortalità sia a 30 che a 60 giorni.

Implicazioni dello studio
I risultati dello studio sembrano sgombrare il campo dai risultati contrastanti finora ottenuti sull’associazione tra bassi livelli circolanti di 25(OH)D e gli outcome funzionali: concentrazioni di 25(OH)D <122 ng/ml sono associate ad una minore efficienza nella deambulazione dopo chirurgia.

Sarà interessante, a questo punto, verificare come questo sia possibile. Non è ancora chiaro, per esempio, se questi valori ridotti di vitamina D siano associati ad effetti diretti sulla muscolatura, le funzioni cognitive e/o altri organi.

Quanto allo stato nutrizionale, i risultati dello studio hanno indicato che GNRI tende ad essere associato anch’esso ad una ridotta mobilità: le persone con buon stato nutrizionale (>92) hanno mostrato una migliore mobilità rispetto a quelle con cattivo stato nutrizionale (<92).

Dato che la combinazione di una concentrazione ridotta di 25(OH)D (<20 ng/ml) a uno stato nutrizionale a rischio non hanno predetto la mobilità, è possibile che entrambi lavorino in maniera indipendente l’una dall’altro per influenzare negativamente la deambulazione.
Sono necessari studi ulteriori per confermare la bontà di questi ipotesi.

In attesa di risposte ulteriori, lo studio ci indica che:

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