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Resistenza a terapie CAR-T: una nuova spiegazione

Una nuova ipotesi per spiegare la resistenza alle terapie CAR-T: secondo un nuovo studio potrebbe essere attribuita alle cellule tumorali "immortali"

Una nuova ipotesi per spiegare la resistenza alle terapie CAR-T: secondo un nuovo studio potrebbe essere attribuita alle cellule tumorali “immortali”

È caccia aperta al colpevole che provoca una resistenza alle terapie CAR-T finora approvate (Kymriah sviluppata da Novartis e Yescarta da Gilead) nel 10-20% dei pazienti con leucemia linfoblastica acuta (LLA). Sebbene infatti, si tratti di terapie rivoluzionarie che hanno drasticamente cambiato il modo di trattare alcuni tumori del sangue, come la LLA, molto resta ancora da fare sia per ridurne la potenziale tossicità sia per capire cosa induce la resistenza al trattamento. Un recente studio ha ipotizzato che il motivo della mancata efficacia in alcuni pazienti potrebbe risiedere nelle cellule tumorali stesse.

Un target preciso
Le terapie CAR-T si basano sull’ingegnerizzazione delle cellule T (o linfociti T) del sistema immunitario del paziente, che vengono “potenziate” per combattere il tumore. Per farlo gli scienziati usano un vettore virale contenente un gene in grado di far esprimere sulla superficie delle cellule T un recettore chimerico (il recettore dell’antigene chimerico, CAR, a cui la terapia deve il suo nome). Questo recettore è progettato in modo tale da riconoscere un target espresso dai tumori, che nel caso di quelli del sangue a grandi cellule B si chiama CD19. Il recettore in questo modo “guida” le cellule T potenziate verso quelle tumorali specifiche, una volta reinfuse nel paziente. Le cellule CAR-T possono quindi legarsi al tumore e distruggerlo. In una piccola percentuale di pazienti però l’attacco del sistema immunitario potenziato non funziona totalmente e non elimina le cellule tumorali.

A cosa è dovuta la resistenza?
La ricerca finora suggerisce che la resistenza alle terapie CAR-T sia dovuta alla capacità delle cellule leucemiche di perdere il CD19. Quando succede diventano invisibili alle terapie CAR-T. Motivo che secondo Marco Ruella, professore di ematologia-oncologia presso l’Università della Pennsylvania, spiegherebbe forse la metà delle ricadute nella leucemia linfoblastica acuta e forse un terzo nel linfoma. “Ma resta ancora una grande percentuale di pazienti in cui non sappiamo cosa succede” ha aggiunto. Una seconda causa potrebbe essere la disfunzionalità delle cellule T. Infine una terza ipotesi – che Ruella ha portato avanti in un uno studio pubblicato a gennaio su Cancer discovery, una rivista dell’American Association for Cancer Research – è che anche in presenza di CD19 le CAR-T non siano in grado di eliminare le cellule leucemiche. “L’ipotesi è che le cellule tumorali diventino una sorta di ‘highlander’ immortale, il che provoca una disfunzione nelle cellule T”, ha aggiunto Ruella. “All’inizio le cellule CAR-T funzionano bene ma poi continuano a cercare di uccidere le cellule leucemiche senza successo, perché intrinsecamente non possono morire, e poi, nel tempo le cellule CAR-T diventano disfunzionali”.

Prima parte: la ricerca in vitro
Per capire cosa succede a queste cellule, il team ha pensato prima di ideare un modello di resistenza sulla base dell’analisi del genoma di una linea cellulare di LLA e poi di verificarlo sui pazienti. Per prima cosa, i ricercatori hanno eseguito uno screening con Crisp-cas9 del genoma di una linea cellulare di LLA per isolare i percorsi associati alla resistenza. Dopodiché le cellule sono state modificate in modo tale che i singoli geni venissero inattivati e messe in coltura con le cellule CAR-T per 24 ore, per capire quale via cellulare era coinvolta nella resistenza primaria. I dati in vitro hanno mostrato che nelle cellule di LLA che hanno resistito all’attacco delle cellule CAR-T, vi era una carenza di geni coinvolti nell’attivazione del processo di morte cellulare e un picco di geni necessari per eludere la morte cellulare.

Seconda parte: la verifica in clinica
I risultati sono stati ripetuti e amplificati in modelli animali e, infine, verificati con i campioni di pazienti pediatrici con LLA inclusi in due precedenti studi clinici sulle CAR-T. Sono stati analizzati i geni nelle cellule leucemiche e nelle cellule T – pre e post infusione – di pazienti che hanno risposto o meno al trattamento con CAR-T. Ne è emerso molto chiaramente che una ridotta espressione dei geni del recettore che attiva il processo di morte nelle cellule tumorali, era associata a una peggior sopravvivenza globale e a una ridotta funzionalità delle cellule T. Indice che questo recettore coinvolto nel processo di morte cellulare, ha un ruolo chiave anche nella resistenza primaria alla terapia con le cellule CAR-T nella LLA. “I nostri risultati suggeriscono che la deregolazione intrinseca del processo che porta alla morte delle cellule di LLA, determina direttamente il fallimento della terapia CAR-T” spiegano i ricercatori nel lavoro. “Perché la resistenza iniziale delle cellule tumorali all’uccisione altera la citotossicità delle cellule T, che progressivamente non funzionano più”.

In conclusione, secondo i ricercatori, sarà fondamentale in futuro capire in che modo la disfunzione che le cellule T possono avere già in origine, o acquisire a causa delle cellule tumorali “immortali”, è coinvolta nel fenomeno di resistenza al trattamento con le cellule CAR-T. In modo da progettare al meglio la prossima generazione di terapie cellulari.

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